lunedì 3 aprile 2017

50 lune d'argento


Questa canzone l'ho scritta in vista del compimento dei miei 50 anni di età e 20 di sacerdozio, come "Innamorami di Te" è la canzone dell'inizio del mio ministero sacerdotale, e dei miei 30 anni e "Attimi di cielo" quella dei primi dieci anni di sacerdozio e dei miei 40 anni di vita. Non è che mi sono messo lì a pensare a questi numeri, sono semplicemente arrivate ed io cerco di scriverle in fretta sennò si dimenticano... come diceva una vecchia canzone di Vasco: "... non resta  che scriverle in fretta perché poi svaniscono e non si ricordano più".
Cinquant'anni sono mezzo secolo, ed è più della metà di una vita. Dopo i cinquanta incomincia il tramonto ed è un continuo fare i conti col corpo che va verso la discesa. I capelli diventano bianchi, non puoi scherzare più di tanto con te stesso e con gli altri, tutto diventa terribilmente serio, ma una buona dose di ironia, rende tutto meno pesante e bello comunque.
In una società dove tutti vogliono essere giovani anche a 70 e 80 anni, snaturandosi addirittura con tiraggi di pelle e aggiusti con viagra, per non frenare l'appetito del senso, che da solo porta dritto all'inferno, saper invecchiare sta diventando quasi una nuova specializzazione. Vuoi vedere che bisognerà frequentare qualche master per poter invecchiare bene? Il Salmo 90 dice: "Insegnaci a contare i nostri giorni, e giungeremo alla Sapienza del Cuore". Proprio così, invecchia bene chi invoca la Sapienza da Dio, e impara a consegnarsi come Gesù si consegnò al Padre.

Così si legge in un blog:

"Avere presente i giorni, i fatti e il tempo della vita davanti agli occhi, per l'uomo della Bibbia, significa essere correttamente realisti.
Non farsi prendere dagli affanni.
Non farsi disperdere dalle preoccupazioni.
Vedere correttamente le prove e le tribolazioni.
Gustare nella lode le gioie.
Il peso e il metro dei giorni sono il "giorno", quello vero che ci attende e che noi spesso abbiamo dimenticato di citare a noi stessi e alle nostre catechesi: l'Eternità!
Quando l'Eternità diventa la misura di tutto, tutto acquista un senso.
Anzi tutto acquista il suo vero senso.
Solo nell'eternità l'uomo è "realmente realista".
Solo nell'eternità l'uomo è realmente incidente a livello sociale e politico. 
Qui si fonda, se si è onesti, la vera laicità, di cui si fa tanto parlare: nel contare i giorni e giungere alla sapienza del cuore.
Per l'uomo della Bibbia la sapienza sta proprio nello sguardo verso l'Eternità che è Dio.
Solo in questo sguardo l'uomo coglie il suo destino futuro e attuale.
Solo in questo sguardo l'uomo "pesa" nella storia.
Altrimenti è solo un agitarsi nel tempo, spesso inutile e dannoso.
Non solo.
Ma questa eternità, che da la sapienza del cuore, è proprio Dio e tutto ciò che viene da Lui.
Non "vedere", non "contare" agli occhi del cuore questa realtà significa produrre ideologie, surrogati, deviazioni che costantemente ci distraggono dal senso vero e profondo e da quel grido verso l'Eterno che, come dono di Dio, da sempre portiamo nel cuore.
Contare i giorni significa dunque riconoscere che il "Signore è Dio", passo dopo passo, attimo dopo attimo."
(fonte: https://www.ilcattolico.it/liturgia/riflessioni-dalla-liturgia/insegnaci-a-contare-i-nostri-giorni.html)

Ascoltiamo la canzone:

Uno sguardo al testo...

Prima strofa

Quanta sapienza c’è,
nel grigio del mio capo?
Cinquanta lune d’argento,
non tutte piene di fiori:
alternanza di gioie e dolori.

Ebbene sì, gli anni passano e, quando ne hai 50 alle spalle, ti accorgi che sono passati in fretta, senza frenate, rallentamenti... tutto è scivolato via inesorabilmente. Ti accorgi che hai bisogno di fare il punto della situazione. Ti chiedi: "dove sono? cosa ho realizzato? a cosa sono servito? Vedi il bicchiere mezzo pieno, ma anche mezzo vuoto... Vorresti rimproverare di questo, te stesso o magari Dio? Quanta Sapienza traspare, da questa mia esistenza, da questa vita, donata, ma da cui mi sembra a volte d'aver "rubato" tempo, emozioni, e tante posibilità impossibilitate da tanti limiti che spesso non sono riuscito a focalizare e a rendermente conto. Dunque gli anni sono trascorsi con alternanza di gioie e dolori. La mia vita accanto a quella di tanti altri, più o meno uguale, più o meno diversa e ora sono qui a contare i giorni per avere in dono la Sapienza del cuore.
Davanti al "panta rei" dell'esistenza, puoi fermare solo il tuo incontro col Dio della Misericordia nell'attimo presente e chiedergli perdono per tutte le omissioni, per tutte le cadute, per tutti i rimbrotti ingiustificati. Povero Dio, ma se lui non ha colpa e non ha peccato, perché deve prendersi le nostre lamentele. Piuttosto non dovremmo accettare la nostra sorte e la dose di dolore che ci servirà per la purificazione per poter comparire alla sua presenza nel "giorno" che Lui vorrà?

Seconda strofa

Quanta speranza c’è,
nel lustro di una vita?
Mi sembra di aver vissuto,
cinquanta primavere
in un attimo d’amore, di eternità.

 Solo il Signore da speranza. Lui solo ha promesso un giorno senza tramonto, "in nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4, 12). Salvati significa che c'è un oltre che ci attende. Qui si fonda tutta la nostra speranza. Questa terra purtroppo o menomale è "un cimitero". Le generazioni che oggi ci sono passeranno, e se non avessimo la speranza dell'oltre e di una vita oltre la morte, davvero sarebbe triste, rimanere in questo mondo solo per dare sfogo ai nostri istinti. «Ricorda quant’è breve la mia vita./ Perché quasi un nulla hai creato ogni uomo?/ Quale vivente non vedrà la morte, sfuggirà al potere degli inferi?» (Sal 89,48-49). Ci percepiamo infinitamente piccoli, ma poi qualcuno ci ha amati fino a darci la sua stessa vita per renderci degni e vivi: 

"Chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Che vuol dire questo? Chi crede in me, anche se è morto come è morto Lazzaro, vivrà, perché egli non è Dio dei morti ma dei viventi. Cosí rispose ai Giudei, riferendosi ai patriarchi morti da tanto tempo, cioè ad Abramo, Isacco e Giacobbe: Io sono il Dio di Abramo, il Dio d'Isacco e il Dio di Giacobbe, non sono Dio dei morti ma dei viventi: essi infatti sono tutti vivi. Credi dunque, e anche se sei morto, vivrai; se non credi, sei morto anche se vivi. Proviamolo. Ad un tale che indugiava a seguirlo Permettimi prima di andare a seppellire mio padre, il Signore rispose: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu vieni e seguimi. Vi era là un morto da seppellire, e vi erano dei morti intenti a seppellirlo: questi era morto nel corpo, quelli nell'anima. Quando è che muore l'anima? Quando manca la fede. Quando è che muore il corpo? Quando viene a mancare l'anima. La fede è l'anima della tua anima. Chi crede in me - egli dice - anche se è morto nel corpo, vivrà nell'anima, finché anche il corpo risorgerà per non più morire. Cioè: chi crede in me, anche se morirà vivrà. E chiunque vive nel corpo e crede in me, anche se temporaneamente muore per la morte del corpo, non morirà in eterno per la vita dello spirito e per l’immortalità della risurrezione. Questo è il senso delle sue parole: E chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Lo credi tu? - domanda Gesù a Marta -; ed essa risponde: Si, Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo. E credendo questo, ho con ciò creduto che tu sei la risurrezione, che tu sei la vita; ho creduto che chi crede in te, anche se muore, vivrà, e che chi vive e crede in te, non morirà in eterno." (S. Agostino, Comm. al Vangelo di Giovanni 49, 15)

Le mie 50 primavere, sono già diventate quasi 53, e la speranza, per queste parole di Gesù, aumenta di giorno in giorno. Ho solo da dire GRAZIE al Signore Gesù.


 Ritornello

Cinquanta strade, ma ne ho percorsa una,
verso la vita piena.
Cinquanta ponti crollati dietro a me.
Spinto in avanti sempre.
Tra mille sorprese:
una danza di luci e colori,
in Dio Amore, in Dio Amore,
in Dio Amore, In Dio Amore… 

Quando si è ragazzi si sogna e si sognano tante cose. Volevo fare lo scienziato per salvare dalle malattie, poi crescendo e rendendomi conto di tanti limiti, le strade e i sogni si assottigliavano, fino a quando ho imboccato la strada del seminario. Avevo 21 anni. E così fra tante strade ne ho percorsa una: quella di Dio. Questa è stata in salita, basta pensare a quanto ho dovuto sudare sui libri e anche sentire l'umiliazione di qualche professore a cui faceva un pò pena uno che aveva studiato in un istituto tecnico. Per quanto sia stato doloroso, lasciare affetti, amici, mondo e quant'altro, mi sono ritrovato con "un tutto" che mi riempie la vita. Gesù a Pietro che chiedeva: «Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito», rispose: «In verità io vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà» (Lc 18, 29-30). L'ho sperimentato, ne sono testimone, è vero, si lasciano tante cose, ma per quello che ho trovato e ricevuto, ne è valsa la pena e benedico i giorni pesanti degli esami, e quelli ancora più duri sui libri di filosofia, e quelli altrettanto duri delle incomprensioni coi superiori.
Davvero "più grande è la lotta più glorioso è il trionfo". Questa è la frase che fa capire tutto il film: "Il circo della farfalla", dove un ragazzo nato senza braccia e senza gambe, accetta la sfida che la vita gli ha imposto, e diventa una star del circo, non per mostrare le sue menomazioni, ma per fare cose, che altri non farebbero, come lanciarsi da 15 metri in una piccola pozza d'acqua. È bellissimo l'abbraccio fra questo e un bambino storpio che vedendo che stava peggio di lui,  e poteva fare cosè così fuori dal comune, riprende fiducia nella vita. Le lacrime della mamma e il suo grazie, sono il degno finale per un film di soli 22 minuti, nei quali il regista, riesce a dire poeticamente e con immagini stupende, cos'è la vita, che tanti calpestano con approssimata superficialità.
Questa frase così: "più grande è la lotta più glorioso è il trionfo"posso dire, col senno di poi, che ha avuto un risvolto anche per me. Sono riuscito a diventare sacerdote, sono uscito dagli studi meglio di come mi aveva prospettato quel "professore" e in seguito mi sono anche laureato in Scienze delle comunicazione"... tutto a Gloria di Dio...

Per chi vuole vederlo ecco il film: Il circo della farfalla

 Terza strofa

Quant’altra strada da fare,
e quanto grigio ancora:
salite e poi discese.
Ma Cinquanta sono ora,
e ringrazio Dio per questa vita sempre nuova.

Chi potrà sapere quanto manca all'incontro con Lui? Credo che a 53 anni gli sono certamente più vicino che negli anni precedenti. A ogni giorno che passa realizzo sempre meglio che il tempo per prepararmi è sempre più esiguo e allora prego il Signore e il mio Angelo Custode, affinché non perda tempo, ma lo valorizzi il più possibile. Le salite e le discese sono all'ordine del giorno, ossia gli alti e bassi. Proprio la settimana scorsa ho rifatto l'esperienza della mia finitudine. Quando sopraggiunge la debolezza mi percepisco meno che verme, un reietto, e mi chiedo e mi domando: "Ma come fai, Dio, ad amarci nonostante questo fango che ci opprime e non ci fa essere all'altezza della purezza che necessita lo stare, come addetto ai lavori, davanti a Te, attimo per attimo?". Mi consolo leggendo e meditando il Salmo 139:

Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
mi scruti quando cammino e quando riposo.
Ti sono note tutte le mie vie;
la mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la conosci tutta.
Alle spalle e di fronte mi circondi
e poni su di me la tua mano.
Stupenda per me la tua saggezza,
troppo alta, e io non la comprendo.
Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove fuggire dalla tua presenza?
Se salgo in cielo, là tu sei,
se scendo negli inferi, eccoti.
Se prendo le ali dell'aurora
per abitare all'estremità del mare,
anche là mi guida la tua mano
e mi afferra la tua destra.
Se dico: «Almeno l'oscurità mi copra
e intorno a me sia la notte»;
nemmeno le tenebre per te sono oscure,
e la notte è chiara come il giorno;
per te le tenebre sono come luce.
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne esisteva uno.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri,
quanto grande il loro numero, o Dio;
se li conto sono più della sabbia,
se li credo finiti, con te sono ancora.

Dopodiché mi abbandono confidenzialmente e riprendo il cammino con le potature necessarie... e credo che solo in questo modo si potrà "portare più frutto".

Ritornello

Cinquanta strade, ma ne ho percorsa una,
verso la vita piena.
Cinquanta ponti crollati dietro a me.
Spinto in avanti sempre.
Tra mille sorprese:
una danza di luci e colori,
in Dio Amore, in Dio Amore,
in Dio Amore, In Dio Amore…  

 I ponti crollati, sono gli anni passati, con tutto quello che c'è dentro e che non torneranno mai più. E gi anni futuri non ci sono ancora, c'è solo il presente da tener presente. Quando lo spirito mio vola, mi sento spinto da una forza... e  attraverso, volo, il tempo e gli spazi che Dio mi da quotidianamente, in modo leggero. Ci sono a volte periodi che mi sento pesante come un obeso, carico di materia, che non mi permette di volare a allora mi sembra di perdere tempo, di essere un di più nella storia e non dico di desiderare già di partire, ma quasi. Proprio quando accetto, amo e scorgo in queste pesantezze il volto di Gesù Crocifisso, allora arrivano le sorprese di Dio, le "ferite diventano feritoie" attraverso cui passa la Grazia di Dio, e sono luci che riscaldano il cuore, e magari diventano canzoni a gloria di Dio Amore.

Di Madre Teresa di Calcutta

Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,

i capelli diventano bianchi,

i giorni si trasformano in anni.


Però ciò che é importante non cambia; 

la tua forza e la tua convinzione non hanno età.

Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno.


Dietro ogni linea di arrivo c'è una linea di partenza.

Dietro ogni successo c'è un'altra delusione.


Fino a quando sei viva/o, sentiti viva/o. 

Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo. 

Non vivere di foto ingiallite…

insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni. 


Non lasciare che si arruginisca il ferro che c'è in te.

Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto. 


Quando a causa degli anni 
non potrai correre, cammina veloce.

Quando non potrai camminare veloce, cammina.

Quando non potrai camminare, usa il bastone.

Però non trattenerti mai!

(fonte: https://www.piccolifiglidellaluce.it/pfdl/preghiere/44-i-santi-ci-insegnano-a-pregare/240-preghiere-di-madre-teresa-di-calcutta)

Alla prossima canzone per dare e cantare Dio...


lunedì 27 marzo 2017

I tralci e la vite

"I tralci e la vite" è una delle canzoni del Cd "Ravvivate il cuore e l'anima", pensato per l'anno della fede indetto da Papa Benedetto XVI (2012). Nato per la catechesi e dunque destinato ai bambini del catechismo, ma alcune canzoni estrapolate da Cd, si prestano anche ad un ascolto attento e meditativo. "I tralci e la vite" si rifà al capitolo 15 di Giovanni dove Gesù per far comprendere la necessità di essere innestati in Lui, prende come esempio dalla natura l'indispensabilità che un tralcio sia legato alla vite per portare frutto. Insomma più chiaro di così non poteva essere. Riportiamo il brano evangelico. Gv 15, 1-11:
"Io sono la vite e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto lo taglia e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto. E voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunziata.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto perché senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e poi secca: poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà fatto”.

La frase "Perché senza di me non potete fare nulla" è il centro di questi 11 versetti. Dovremmo meditarla ogni giorno. Infatti, davvero senza Gesù non possiamo fare nulla. Né esistere, visto che Lui è la Vita (Gv 14, 6); né sussistere, perché il Lui siamo, viviamo e ci muoviamo (Atti 17, 28).

Ascoltiamo la canzone...



Adesso entriamo nel testo.

Prima strofa

Se rimaniamo in te come tralci alla vite,
daremo il meglio di noi senza fatica.
Mondi nel mondo senza Dio,
per la Parola che vive in noi.


Il "Se" è la condizione per la quale ci giochiamo la nostra esistenza... se crediamo, se amiamo, se seguiamo il Maestro... dipende da noi quel "Se", dalla nostra buona volontà. Ma cosa ci potrà convincere così profondamente e da farci orientare senza tentennamenti? Si tratta di un "circolo ermeneutico", lo chiamano alcuni esperti, che "se" si spezza infrange ogni possibilità di sperimentarne i frutti. Rcordando ciò che Gesù ci insegna dalla croce, possiamo carpirne qualche luce. Gesù è tutto donato (Kenosi), per amore al Padre (agape) in una donazione reciproca per cui Egli è nel Padre e il PAdre è in Lui (pericoresi). Ciò che mostra Gesù è che è totalmete donato, totalmente amore, totalmente nel Padre. Gesù dalla croce ci insegna che o si è totalmente in Dio o altrimenti non si è. Le mezze misure non ci fanno sperimentare niente di Dio. E oggi siamo pieni di mezze figure, di mezzi uomini e mezze donne, in una miscela di confusione direi "diabolica". Quando il "Se" lo spingiamo fino in fondo, senza tenerci niente allora si apre il Cielo, la mente, il cuore, e finalmente vediamo, sperimentiamo Dio e non tentenniamo più. Occorre allora lanciarsi totalmente nell'avventura divina e senza aspettarsi niente, tutto si riceve. L'amore infatti, o è gratuito o non è. Per sperimentare l'AMORE di Dio, bisogna consegnarsi a Lui totalmente, senza tenersi niente. E quando gli abbiamo dato qualcosa, cosa gli avremmo dato? Siamo "nulla", ma se il "nulla" è dato per amore, diventa tutto, perché nel darci totalmente, saremo GESU'. Proprio allora daremo "il meglio di noi senza fatica". Saremo "mondi", ossia purificati dal dono totale di noi stessi, in un mondo che tutto è al di fuori che mondo, puro. E se siamo tutti donati saremo la Parola vissuta, perché Gesù è il Verbo, e mostrandoci la via, ci fa diventare Lui, in un attimo, mentre il "se" diventa dono totale di sé. Provare per credere e credere per provare.

Seconda strofa

Se rimaniamo in te come tralci alla vite,
si ottiene il centuplo quaggiù e la vita eterna lassù.
Senza di Te non si può nulla.
Fuori di Te non si può nulla.


Chi fa l'esperienza di essersi donato totalmente,  riceve doni sovrannaturali sempre più grandi, ma è così nella misura in cui si purifica il proprio donarsi da tutto quanto è umano, ossia attaccato agli schemi di quaggiù. L'io non ancora purificato, sempre vuole gratificazioni e tutto fa per averne contraccambio, ma questo non è amore. L'amore vero dà soltanto, gratuitamente e totalmente e non vorrebbe ricambio, a meno che questo non è altrettanto gratuito e altrettanto purificato. Il primo frutto dell'amore puro, è l'io risorto emendato dall'egoismo. Così Dio aveva creato Adamo, e così è Gesù il nuovo Adamo. Gesù per riportarci alle origini ha dovuto mostrarci una strada in salita, perché la discesa agli inferi è una voragine enorme. Risalire quella china non è senza dolore, e non è senza fatica. La salvezza operata da Gesù così è gratuità purissima e bisogna anche meritarla. Bisogna comprendere il male che ci facciamo con la disobbedienza ed evitarla. Non si può dire di amare Dio e poi comportarsi all'incontrario. Ecco allora che la scelta di Dio , il Sì a Dio è il primo passo, ma poi ci vuole il suo sostegno. Ci impegniamo a rimanere uniti alla Vite, come i tralci, ma chi porta la linfa non siamo noi è Gesù, coi suoi doni: la Grazia, che viene dalla Parola vissuta e dai Sacramenti. Senza Gesù davvero non si può nulla.

Ritornello

Con Te si porta frutto, con Te.
Con Te si ottiene tutto, con Te.
Con Te si dà gloria al Padre. Con Te.
Con Te si è nella gioia piena…

Con Te, con Te…

Una volta innestati in Gesù bisogna portare frutto e se questi non ci sono ci sono dei risvolti negativi terribili. I tralci senza frutto e secchi il contadino li taglia perché servono per il fuoco. E' un'analogia che ci dovrebbe far tremare. Dovremmo verificare ogni giorno se ci sono stati frutti di conversione, se abbiamo aiutato altri a convertirsi, se abbiamo fatti passi come il gambero, all'indietro... C'è un episodio raccontato da Marco al capitolo 11 versetti 12-14 e così commentato in un blog:

"Il testo inizia notando che Gesù “ebbe fame”. Come se volesse dirci, in filigrana, che Gesù ha fame di vita, di frutti, di amore. Passando vede quel (povero) albero di fichi, tutto fogliame e niente frutti. Una metafora e un'allusione alla Genesi, al giardino di Eden in cui Adamo ed Eva dopo la caduta si coprono con delle foglie di fico, per dire che quell'albero è tutta “scena”, tutto foglie che vogliono coprire, nascondere la realtà di una vita arida, incolore, infruttuosa. Noi oggi diremmo: nasconderci dietro un'immagine falsa, che mostra un'apparenza che non corrisponde alla realtà e alla verità di quello che siamo. 
Gesù si rivolge all'albero e decreta: “Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti”. È come se Gesù volesse spogliare quell'albero di tutte quelle inutili foglie e mostrare la sua nudità. La Vita a volte ci spoglia come i lunghi inverni, fa emergere quello che siamo, le nostre sterilità, le nostre incapacità di amare e dare frutto. Gesù smaschera le vite tiepide che non sanno di nulla, le ipocrisie che coprono le nostre fragilità.
L'evangelista annota però: “Non era quella la stagione dei fichi”. Ma allora Gesù che pretende? Che l'albero sia pieno di frutti anche fuori stagione? Questo contrasto etico-botanico mi ha davvero lasciato tante volte interdetto. Finchè non ho scoperto che l'albero di fichi è il primo a dare frutti (e i suoi primi frutti sono in realtà dei fiori, i fioroni) ed è anche l'ultimo a dare frutti; praticamente dalla primavera all'autunno da frutti e durante l'inverno spesso rimangono attaccati all'albero dei fichi secchi. Insomma, è un albero che da sempre dei frutti.  Allora Gesù si meraviglia che l'albero non abbia frutti perchè è sempre la stagione dei frutti. È come  dire che non c'è stagione della vita in cui non si possa dare frutto.
Siamo noi quell'albero di fico, chiamati a fiorire in ogni stagione, senza rimandare a “tempi migliori”. Oggi è il tempo perchè la nostra vita diventi cibo saporito per gli altri, non aspettiamo che finisca la crisi o i problemi, non aspettiamo di essere perfetti. Siamo fatti per portare frutto, per amare, per la gioia, e non saremo in pace finchè la nostra vita non sboccerà in nuove fioriture dell'essere."

Dunque, siamo chiamati a dare frutto in ogni stagione, per dare Gloria a Dio e sperimentare sempre la vera gioia che viene solo da Dio.

Terza strofa

Se rimaniamo in te come tralci alla vite,
come Te e il Padre tuo, rimaniamo in Te.
Per il tuo nuovo comandamento,
saremo tuoi discepoli.


Gesù non ci indica solo una strada, ma ci dà l'esempio. Come Lui e il Padre sono una cosa sola, anche noi in Lui dovremo (e non dovremmo) essere una cosa sola Gv 17, 20-23:

20Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; 21perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
22E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. 23Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.

Cosa ci fa diventare "UNA COSA SOLA"? Il comandamento che Gesù dice "Suo" e "Nuovo": amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati" Gv 15, 12-17:

 12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.

Fuori da questa dinamica non ci può essere vita "trinitaria". Sì, credo, che la nostra vita di cristiani o rispecchia quella trinitaria, o non è vita cristiana.

Ritornello

Con Te si porta frutto, con Te.
Con Te si ottiene tutto, con Te.
Con Te si dà gloria al Padre. Con Te.
Con Te si è nella gioia piena…

 Davvero essere cristiani significa addentrarci in qualcosa di molto bello e grande. La luce in cui possiamo immergerci dipende dalla qualità del nostro vivere l'innesto in Dio. Il Battesimo ci innesta in Dio, ma poi riceviamo la linfa che ci fa essere sempre nella luce, o più spesso accade che recidiamo questa possibilità divenendo sterili, incapaci di dare frutto, e seccati al niente del demonio, che ogni giorno cerca di spegnere cuori e menti, creando mostri capaci di ogni aberrazione? 
Come si fa a uccidere asbrangate un coetaneo perché difendeva a sua fidanzata? 
Come si fa in nome di Dio a portare avanti una guerra dove Dio non c'entra nulla? 
Come si fa in nome solo del dio danaro, affamre interi popoli?
 Il "senza di me non potete fare nulla" di geù, ritorna con forza. Papa Francesco Ai 27 capidistato d'Europa, nel suo discorso ha ribadito l'imprescindibilità della cultura europea dalle radici cristiane. Riporto uno stralcio del discorso tenuto venerdì 24 marzo in Vaticano:

Illustri Ospiti,
Ai Padri dell’Europa ho dedicato questa prima parte del mio intervento, perché ci lasciassimo provocare dalle loro parole, dall’attualità del loro pensiero, dall’appassionato impegno per il bene comune che li ha caratterizzati, dalla certezza di essere parte di un’opera più grande delle loro persone e dall’ampiezza dell’ideale che li animava. Il loro denominatore comune era lo spirito di servizio, unito alla passione politica, e alla consapevolezza che «all’origine della civiltà europea si trova il cristianesimo»[12], senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e giustizia risultano per lo più incomprensibili. «E ancor oggi – affermava san Giovanni Paolo II –, l’anima dell’Europa rimane unita, perché, oltre alle sue origini comuni, vive gli identici valori cristiani e umani, come quelli della dignità della persona umana, del profondo sentimento della giustizia e della libertà, della laboriosità, dello spirito di iniziativa, dell’amore alla famiglia, del rispetto della vita, della tolleranza, del desiderio di cooperazione e di pace, che sono note che la caratterizzano»[13]. Nel nostro mondo multiculturale tali valori continueranno a trovare piena cittadinanza se sapranno mantenere il loro nesso vitale con la radice che li ha generati. Nella fecondità di tale nesso sta la possibilità di edificare società autenticamente laiche, scevre da contrapposizioni ideologiche, nelle quali trovano ugualmente posto l’oriundo e l’autoctono, il credente e il non credente. (fonte: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/march/documents/papa-francesco_20170324_capi-unione-europea.html)

"I tralci e la vite" è una canzonetta per ragazzi, che abbiamo cercato di comprendere meglio, ci ha detto tante cose, e ci ha fatto penetrare nel desiderio più grande che aveva nostro Signore Gesù Cristo: "Siate Uno affinché il mondo creda"... Una Unità che è personale (tra me e Dio), comunitaria (tra cattolici, tra questi e cristiani di altre Chiese; tra cristiani e membri di altre religioni e anche con chi ha convinzioni diverse), che va al di là delle culture, della razze, dei popoli...

"Come tralci alla vite" allora per essere sempre rivestiti di Luce, e intrisi di Linfa vitale che è la Grazia che viene solo da Dio.

Alla prossima canzone per dare e cantare Dio...

martedì 21 marzo 2017

Oltre il tempo

Dal CD "Attimi di cielo" 2005. Si tratta di una canzone dedicata ad un carissimo amico e mio collaboratore da sempre. L'arrangiatore di quasi tutte le mie canzoni e mio amico e compagno di tanti concerti in giro per l'Italia e anche oltre confine. Sto parlando di Niki Saggiomo. Ebbene le nostre storie si sono intrecciate attraverso l'Associazione Nazionale dei cantautori: "Il mio Dio canta giovane" fondata da Giosy Cento, Cionfoli ed altri che ora non ricordo... Io vi aderii solo verso il 1996 e qui vi incontrai un giovane tutto vestito di nero, con una capigliatura ricciuta, magro e già si affacciava al mondo degli arrangiamenti facendoli per il padre, anche lui cantautore, e per lo zio. Lo misi subito alla prova facendomi arrangiare un pezzo che poi non ho mai pubblicato, forse perché troppo rock, ma che nei concerti dal vivo attirava moltissimo e poi perché aveva un titolo altisonante, forse un pò esagerato: "E' necessario il mio martirio".


Ebbene la prova la superò e così cominciai la collaborazione, soprattutto andando a suonare insieme.
Dopo aver lavorato sodo per completare BuoneNuove e dato ormai alle Edizioni Paoline, si profilavano tantissimi concerti e il gruppo che io chiamavo "Bioritmo" ormai andava consolidandosi con una bella intesa basata sulla musica e il messaggio da tutti condiviso. Sembrava che oramai mancasse solo il passettino mediatico e mentre ci accingevamo a farlo nel novembre 1999 con la partecipazione alla manifestazione sulla canzone religiosa all'Ariston di Sanremo, e con altre uscite televisive, a marzo 2000 di ritorno da un cocerto in Puglia, Niki mi rivela che aveva un serio problema di salute. Qualche settimana prima mi aveva detto di avere dei problemi ed io subito lo invitai a farsi le analisi, che fece ma da cui non era risultato niente. Una sera era andato a cena con amici e tra questi vi era un ematologo che lo invitò a farsi degli esami più approfonditi. Quell'incontro fortuito e provvidenziale gli salvò la vita e gliela aggiustò anche. Infatti, cominciò le cure ed io andai con la madre e mentre lui era dentro, noi fuori pregavamo la Supplica alla Madonna di Pompei. Con le cure, si riuscì a debellare la malattia. Inoltre la dottoressa che lo seguiva è poi diventata sua moglie da cui ha avuto due figli bellissimi e intelligentissimi. A gennaio di quell'anno avevo perso mia madre, e ora avrei dovuto prepararmi a chissà quale evento? Verso la fine dell'estate di quell'anno, mentre ero con un altro sacerdote in Sila per qualche giorno di vacanza, pensando a quello che viveva Niki in quel periodo, mi uscì la canzone "Oltre il tempo". Ricordo che la feci ascoltare a don Mario Migliarese, un altro amico che in quel periodo stava attraversando una brutta prova e che rimase molto colpito. Quando la feci ascoltare a Niki, guardavo la sua faccia per carpirne qualche emozione, ma Niki, le emozioni se le vive tuttora tutte dentro, ma quando mise le chitarre al pezzo allora capii che gli era piaciuta e che aveva apprezzato il pensiero.
A volte è proprio strano come due amici non trovino le parole per dirsi quello che hanno in cuore, e che debbano ricorrere alla musica e al testo di una canzone... Ma ascoltiamola...




Entriamo nella canzone...

Il primo arrangiamento fu dei "bioritmo", avevamo nel frattempo dovuto chiamare un altro chitarrista, che subito si fece apprezzare per bravura e creatività. "Oltre il tempo" piacque a tutti e vollero suonarla e così ho una versione live indimenticabile, di un concerto ad Ascoli Piceno nell'ambito di una manifestazione che vedeva in rassegna diversi gruppi della città (se prossimamente avrò tempo realizzerò il video...). Un altro arrangiamento, di F. Cleopatra, con le chitarre di Niki, è quello nel video di Elena Rener, presente nel CD del 2005 "Attimi di cielo".

La prima strofa

Camminavo per la mia strada
quando a un tratto me ne sono andato
coi pensieri, navigando a sprazzi,
un cielo nuvoloso.


 Ho immaginato di stare nei panni di Niki, e rivivere l'attimo in cui gli dissero della malattia. La sua vita così serena, solare, ora si annuvolava. Si annuvolava anche la vita della sua famiglia che doveva adesso mettere mano a nuove energie per far fronte alla situazione. La Madre di Niki, una leonessa, con una fede davvero grande. Non dimenticherò mai la Supplica alla Madonna di Pompei, pregata con lei nel corridoio del Policlinico di Napoli. Il mio pensiero però non andava solo a NIki, ma a tutte quelle persone che stavano lì, e c'erano tantissimi ragazzi. Davvero un giorno in ospedale ti insegna a puntare all'essenziale, e l'essenziale non sono i giorni davanti a te, ma Dio e l'Eternità che bisogna meritarsi vivendo bene il dolore e la sofferenza. O Signore Gesù, tu che sai cosa è il dolore, fa comprendere a questa umanità smarrita il senso della vita e dell'esserci. Siamo di passaggio per una vita che non ha termine, non ha fine. Gesù nel Vangelo dice: "Non temete chi può uccidere il corpo, ma chi invece ha il potere di far perire il corpo e l'anima nella Geenna. Bisogna dunque vivere per un fine più alto e le malattie servono proprio a focalizzare questo obiettivo "Oltre".

Seconda strofa

Camminando per la stessa strada
mi si disse: «Resta ancora a casa»,
ma cambiai il ritmo alle parole
del cielo nuvoloso.


 Quando sembra che non ci sia più speranza, essa affiora come un dono del Cielo. Così per Niki. Dopo il combattimento ecco la risurrezione e una nuova piega alla sua vita. Prima della malattia, non parlava mai di matrimonio. Perché carino, gli piaceva la vita e le ragazze, sembrava che mai dovesse accasarsi, costruirsi un nido da condividere con qualcuno. Inoltre i suoi discorsi sul futuro erano molto incerti, un pò per il lavoro che non arrivava, un pò per l'incognita della carriera da musicista e un pò per quella adolescenza, che gli artisti non amano scrollarsi di dosso. Sembra davvero che la malattia abbia avuto come effetto il superamento di quella fase e finalmente l'adultità si è affacciata con progetti e volti nuovi. Soprattutto la moglie, Silvia, e poi i due figli: Daniele ed Emanuele e poi anche il lavoro, come insegnante di musica in una scuola media. Davvero la Provvidenza l'ha baciato in lungo e in largo. Nel testo dico: "Resta ancora a casa", infatti non era ancora giunto per lui il momento di sciogliere le vele e così ha potuto mettere radici, costruirsi un futuro che ancora è lì a donargli tante gioie, ma a volte anche dolori, perché la vita è così...

Il ritornello

E m’affacciai per dire: «Ciao!
Ci rivedremo forse mai».
A denti stretti salutai
in un addio improvviso.

E m’affacciai per dire: «Ciao!».
Un altro mondo v’incontrai
in una luce intensa dove il cielo è vivo,
come il cielo estivo,
come il cielo estivo,
come il cielo…estivo…


 Prima delle cure, andammo in Svizzera per un concerto e lì Niki viveva dentro di sè il già e il non ancora. Quell'interrogativo che faceva essere incerto il futuro ed io glielo leggevo dentro: "Forse non ci rivedremo più". Era un concerto dove ci ritrovavamo in tanti amici cantautori, e lui senza dire niente a nessuno con la sua solita voglia di vivere che traspariva da una grande capacità di trasformare tutto in risata, non lasciava trasparire il dramma delle notti insonni e dei suoi tanti "perché?". Io ho voluto immaginare anche i suoi colloqui con quel Dio, che tante volte per Niki era nascosto, era in un: "forse non esiste" e poi si risvegliava una luce dentro di sé a dirgli il contrario. Il Cielo dunque è VIVO e si fa scorgere proprio nelle pieghe che la vita prende.

Terza strofa

Camminavo per la stessa strada,
l’asfalto lungo un viale albeggiato
da tanti sogni, alcuni avverati
e un cielo senza fine.


 La strada della vita come una grande strada asfaltata, che a volte sale, a volte scende, e a volte ci puoi trovare delle buche più o meno profonde, ma se la percorri nella luce, ossia dall'alba al tramonto, e non di notte, ti accorgi che tutto ha senso anche quei sogni che credevi irrealizzabili e che ora sono vivi e li stai vivendo e sogni più non sono perché c'è un Dio Amore, che ci ama e per noi ha dato la Vita, riempiendo di sé tutto il creato e solo dove vi è il peccato non c'è. Aimè quante anime che credono che il peccato non esista, rimangono al buio, e si perdono la gioia dell'incontro con Dio, di quel Cielo senza fine che è l'Eternità.

Quarta strofa

Camminando per la mia strada
mi si disse: «E’ ora di partire»,
ma cambiai il tono alle parole
del cielo senza fine.


La malattia di Niki ha significato così una svolta alla sua esistenza. Una nuova ripartenza, non per arrivare già di là, ma per tracciare un altro solco in questa vita, dove seminare ancora. Ecco allora spiegata la frase: "cambiai il tono alle parole del cielo senza fine". Quest'ultima parola la può dire solo Dio, ma quantunque la dicesse per questa vita, di là non c'è fine all'amore che troveremo.

Il secondo ritornello

E allora mi fermai così
raccogliendo il mio respiro,
nell’ultimo minuto
prima di partire.
E poi me ne andai così
con in cuore solo un sogno,
d’incontrare il senso della vita mia,
che va oltre il tempo.
… che va oltre il tempo,
che va oltre il tempo,
che va oltre il tempo.


 Tutta la canzone è un entrare in quello che Niki viveva durante quel periodo. Un fermarsi per poi andare, un arrestarsi per procedere di nuovo. Tutto per trovare il senso dell'esserci, dell'esistere, ma esso è "OLTRE IL TEMPO".

Mi piace completare questo commento con due frasi trovate su internet (fonte: http://aforisticamente.com/2015/04/09/frasi-citazioni-e-aforismi-sulla-consolazione/):

Una delle più gran consolazioni di questa vita è l’amicizia; e una delle consolazioni dell’amicizia è quell’avere a cui confidare un segreto.
(Alessandro Manzoni)

Un amico conosce la melodia del nostro cuore e la canta quando ne dimentichiamo le parole.
(C.S. Lewis)

Credo che queste due frasi possano dire il senso ultimo della mia canzone dedicata a Niki, ma anche a tutti i Niki della storia che fanno l'esperienza della malattia.

Alla prossima canzone per dare e cantare Dio...



domenica 12 marzo 2017

Perchè?

Dal CD "In fondo all'anima" 2 Luglio 2015. Una data importanta perché ricorre Santa Maria delle Grazie. Posso dire che l'uscita di ogni mio CD sia avvenuta in concomitanza con una festa liturgica importante. "In fondo all'anima" ha il "matricinio" (se così si può dire) di Maria SS. delle Grazie...
La canzone "Perché?" l'ho scritta quando ancora ero in seminario dunque è databile tra il 4° e 5° anno di Seminario maggiore, tra il 90 e il 92, dunque nello scorso secolo. Non ricordo la sensazione che me l'ha ispirata, certo stavo vivendo quache prova. Dalla Spiritualità dell'Unità propria del Movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich, ho imparato a dare un volto ad ogni dolore, ad ogni sofferenza, ad ogni prova. Il titolo richiama il "Perché?" di Gesù gridato sulla croce, che sente l'Abbandono del Padre. Ed è proprio Gesù Abbandonato la chiave per entrare nell'uomo come Dio lo ha pensato e amato e per capire la distanza che l'uomo ha determinato con la sua disubbidienza, tanto che la Seconda Persona della Trinità s'è dovuta scomodare dai Cieli per venire in nostro soccorso e prendere in sè tutto l'umano per poterlo poi sollevare dall'inferno in cui era caduto. La Storia della Salvezza così, è una storia umano-divina straordinaria, che ha il suo culmine proprio nel grido di Gesù sulla Croce. Lì Dio si è fatto prossimo all'uomo, sperimentando tale distanza e colmandola col suo Amore infinito-dono totale di sé.




Il testo della canzone "Perché?"

Chiuso come dentro a un guscio
duro il mio io a morire.
Guerra da laggiù.
Non riesco a venir su.
Torre di Babele cielo
che mi pesa e tu… Abbandonato

Vorrei fuggire per non dover dir di sì.
Quasi sconfitto innalzerò
il mio grido al tuo:
“Perché mi hai abbandonato?”…

Quale dolore può somigliarti:
tutti i dolori miei.
Eccomi son tuo.
Prendimi con Te.
Cancella quella sete
che hai di me… Abbandonato.

Vorrei fuggire per non dover dir di sì.
Quasi sconfitto innalzerò
il mio grido al tuo:
“Perché mi hai abbandonato?”…

Un altro scritto di Chiara Lubich per entrare ancor di più nella comprensione del dolore...





venerdì 24 febbraio 2017

Che occhi erano

Dal Cd " Vegliando le stelle". Una canzone che scrissi per il grande Papa Giovanni Paolo II. Lui è stato il prescelto per preparare l'umanità agli ultimi tempi così scriveva suor Faustina nel suo diario:

“Una volta che pregavo per la Polonia, udii queste parole: « Amo la Polonia in modo particolare e, se ubbidirà al Mio volere, l’innalzerò in potenza e santità. Da essa uscirà la scintilla che preparerà il mondo alla Mia ultima venuta »” (Diario Santa Faustina Kowalska – maggio 1938 – Q. VI, n.1732) (fonte: https://oracolocooperatoresveritatis.wordpress.com/2015/04/03/santa-faustina-kowalska-le-profezie-dimenticate/)

Dunque, se lo è scelto proprio Gesù, daltronde la sua elezione fu una grande novità. Fu il primo Papa straniero, dopo secoli in cui venivano sempre scelti italiani. 
(Papa dal 22/10/1978 al 02/04/2005 ).
"Nato a Wadovice, in Polonia, è il primo papa slavo e il primo Papa non italiano dai tempi di Adriano VI. Nel suo discorso di apertura del pontificato ha ribadito di voler portare avanti l'eredità del Concilio Vaticano II. Il 13 maggio 1981, in Piazza San Pietro, anniversario della prima apparizione della Madonna di Fatima, fu ferito gravemente con un colpo di pistola dal turco Alì Agca. Al centro del suo annuncio il Vangelo, senza sconti. Molto importanti sono le sue encicliche, tra le quali sono da ricordare la "Redemptor hominis", la "Dives in misericordia", la "Laborem exercens", la "Veritatis splendor" e l'"Evangelium vitae". Dialogo interreligioso ed ecumenico, difesa della pace, e della dignità dell'uomo sono impegni quotidiani del suo ministero apostolico e pastorale. Dai suoi numerosi viaggi nei cinque continenti emerge la sua passione per il Vangelo e per la libertà dei popoli. Ovunque messaggi, liturgie imponenti, gesti indimenticabili: dall'incontro di Assisi con i leader religiosi di tutto il mondo alla preghiere al Muro del pianto di Gerusalemme. Così Karol Wojtyla traghetta l'umanità nel terzo millennio. La sua beatificazione ha luogo a Roma il 1° maggio 2011."

"Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Encicliche, 15 Esorta-zioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche. A Papa Giovanni Paolo II si ascrivono anche 5 libri: "Varcare la soglia della speranza" (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); "Trittico romano", meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); "Alzatevi, andiamo!" (maggio 2004) e "Memoria e Identità" (febbraio 2005)."

"Nessun Papa ha incontrato tante persone come Giovanni Paolo II: alle Udienze Generali del mercoledì (oltre 1160) hanno partecipato più di 17 milioni e 600mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000), nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo; numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri". 

Quando morì, dovevo andare a fare un concerto, ma decidemmo di non farlo, davvero mi sentivo di nuovo orfano. 
Devo dire che con i Papi successivi non è stata la stessa cosa. 
Sono entrato in semianario a settembre 1986, ed a settembre dell'87 partecipai ad un convegno per seminaristi simpatizzanti del Movimento dei Focolari, a Castelgandolfo e lì il Papa volle accoglierci, nel cortile per nazionalità, venivamo infatti dai 5 continenti. E di quell'evento eccovi la foto. Si la mano di San Giovanni Paolo II è sulla mia testa. Quella mano me la sento ancora.
Da un anno in seminario avevo fatto una bellissima esperienza con altri seminaristi che non sapevo fossero "focolarini". Il loro modo di volersi bene e di tenere in alto la Parola di Dio e di condividere, mi piaceva molto. Venivo da una fabbrica e trovare il calore di una vita condivisa, per me era il top. Purtroppo con l'alternarsi dei rettori non fu più la stessa cosa e questa vita me la sono dovuta tenere stretta e difenderla da tutti gli attacchi possibili e immaginabili. Facessero la stessa lotta alle vere malattie del clero, non staremmo nella situazione attuale.
...ascoltiamo la canzone che è meglio...



Dal CD Vegliando le stelle: "Che occhi erano"

Entriamo nel testo...

Prima strofa

Occhi chiari, mare calmo,
alla sera della vita
sei rimasto dentro al cuore
e dentro l’anima.


Mi ha colpito ultimamente un articolo su Aleteia: "Le persone che credono hanno una luce negli occhi. Le Piccole sorelle dell'Agnello condividono la saggezza dei poveri". Qui si legge:
Mentre stavamo andando alla Rambla a prendere dei fiori per la festa della Madonna, abbiamo incontrato Claudio, uno dei nostri amici di strada, che ci ha detto: “Come sono felice di vedervi. Mi piace parlare con persone che credono. Quando si ha la fede, si ha tutto!”.
“Guardate tutte queste persone che passano”, dice guardandosi intorno, in un momento di silenzio. “Sono tristi, non cercano nulla, non desiderano Dio. Camminano come dei ciechi. Le persone che credono portano una luce negli occhi”.
“Io sono un peccatore, ma mi piace pregare il Padre Nostro. Perché chi recita questa preghiera diventa puro. Poi torno ad essere un peccatore, ma mentre la recito sono purificato. Venite, preghiamo insieme adesso: voi la recitate, e io ripeto ogni frase dopo di voi“.
E in mezzo a fiumi di persone che attraversano la Rambla, abbiamo iniziato a pregare il Padre Nostro. È una preghiera che ha il potere di guarire, di purificare e di trasformare i cuori, “ricoprendo con la Sua infinita misericordia la miseria del nostro peccato”. Rimetti a noi i nostri debiti … e liberaci dal male". (fonte: http://it.aleteia.org/2017/02/02/persone-credono-luce-occhi/)

San Giovanni Paolo II aveva questa luce negli occhi. Io me ne beavo. I primi piani delle televisioni mostravano questa sua bellissima qualità. Occhi belli, chiari, profondi, ma soprattutto mostranti Dio. E alla "sera della vita", ne traboccavano. E' stato un faro che ancora illumina.

Seconda strofa

Occhi chiari, mare dentro,
con la tua bella presenza,
rischiaravi mille lacrime,
mille e più speranze.


Parole dolci per gli ultimi, i poveri, i dimenticati, ma parole roventi per corrotti e corruttori. Chi non ricorda il discorso contro i mafiosi nella paina di Agrigento il 9 maggio 1993? Magari tanti di essi erano proprio tra le prime fila a prendere in giro il Santo...


Il Ritornello

Occhi chiari, e profondi,
occhi trasparenti il Cielo,
del Dio che muore per amore
perdonando.
Occhi chiari, e profondi,
occhi trasparenti il Cielo,
di quella Madre a cui dicevi: “tutto tuo”,
Che occhi erano? Erano specchi
Che occhi erano? Erano finestre
Che occhi erano?Erano ponti.


La sua vita certamente in salita, dopo l'attentato del 1981. Ha dovuto abbracciare croci non indifferenti, nel suo corpo e nella Chiesa. Un paragrafo della sua biografia su wikipedia elenca tutti i problemi di salute:

Essendo il più giovane papa eletto dai tempi di papa Pio IX (1846), Giovanni Paolo II iniziò il suo pontificato in ottima salute. Era un uomo relativamente giovane che, diversamente dai suoi predecessori, faceva abitualmente escursioni, nuotava e sciava. Tuttavia, dopo oltre quindici anni sul seggio papale, un attentato ed un gran numero di traumi fisici, la sua salute cominciò a declinare. Nell'estate del 1992 gli fu rimosso un tumore benigno al colon, nel 1993 si slogò una spalla scivolando al termine di un'udienza e nel 1994 si ruppe il femore destro a seguito di una caduta nel bagno del suo appartamento privato.
Fu sottoposto per questo, il 29 aprile 1994, ad un intervento di artroprotesi all'anca, il quale gli permise di tornare a camminare seppur con l'uso del bastone. Nel corso della benedizione natalizia del 1995 fu costretto ad interrompere il suo discorso per un malore. La stampa allora parlò di una recidiva del tumore asportatogli tre anni prima, ma solo dopo si seppe che, come confermato dal suo medico personale dott. Renato Buzzonetti si trattava di un attacco di appendicite acuta, il quale venne curato efficacemente attraverso una terapia medica fino all'intervento programmato di appendicectomia al quale il papa fu sottoposto nell'ottobre del 1996.
Il papa inoltre si ammalò di Parkinson. I primi sintomi, sempre secondo il dott. Buzzonetti in un'intervista a L'Osservatore Romano, apparvero alla fine del 1991 con un lieve tremore della mano sinistra, progredendo nel tempo e rendendo sempre più difficoltosi i movimenti e la pronuncia delle parole[34]. Con l'avanzare dell'età fecero comparsa anche problemi osteoarticolari, tra cui un'artrosi acuta al ginocchio destro, che, a partire dal 2002, rese sempre più difficoltoso per il papa il camminare e lo stare in piedi a lungo. Fu costretto per questo a utilizzare prima una pedana mobile e poi una sedia a rotelle. Nonostante questi disagi, continuò a girare il mondo. Disse di accettare la volontà di Dio che lo faceva papa e così rimase determinato a mantenere la carica fino alla morte, o finché non sarebbe diventato mentalmente inabile in maniera irreversibile. Coloro che lo hanno incontrato dicono che, sebbene provato fisicamente, sia sempre stato perfettamente lucido[35][36].
Nel settembre 2003, il cardinale Joseph Ratzinger, spesso considerato la «mano destra» di papa Wojtyła[37], disse «dovremmo pregare per il Papa», sollevando serie preoccupazioni circa lo stato di salute del pontefice.
(fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Giovanni_Paolo_II#I_problemi_di_salute)

Così scrisse nella lettera apostolica "SALVIFICI DOLORIS" datata 11 febbraio 1984: (...)
31. Questo è il senso veramente soprannaturale ed insieme umano della sofferenza. E'soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo, ed è, altresì, profondamente umano, perché in esso l'uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione.
La sofferenza certamente appartiene al mistero dell'uomo. Forse essa non è avvolta quanto lui da questo mistero, che è particolarmente impenetrabile. Il Concilio Vaticano II ha espresso questa verità che « in realtà, solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Infatti..., Cristo che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione »(100). Se queste parole si riferiscono a tutto ciò che riguarda il mistero dell'uomo, allora certamente si riferiscono in modo particolarissimo all'umana sofferenza. Proprio in questo punto lo « svelare l'uomo all'uomo e fargli nota la sua altissima vocazione » è particolarmente indispensabile. Succede anche — come prova l'esperienza — che ciò sia particolarmente drammatico. Quando però si compie fino in fondo e diventa luce della vita umana, ciò è anche particolarmente beato. « Per Cristo e in Cristo si illumina l'enigma del dolore e della morte ».

Nella canzone parlo ancora degli occhi di Giovanni Paolo II, che sono specchi, finestre, ponti. Tre elementi che servono a comunicare tutto di sè. Sono specchi, perché chiunque può vedere se stesso, in quella umanità martoriata da mille croci; sono finestre, in quanto attraverso di esse si può scorgere l'umano e il divino che aveva dentro; sono ponti, perché sempre con tutto quello che è stato ha voluto lanciare ponti di comunione per unire e mai dividere.


 Terza strofa

Occhi veri mai distratti,
pieni solo di mistero
che rispondono a ogni dubbio
con la vita di chi crede.


La testimonianza data da San Giovanni Paolo II è straordianria. Il suo ministero lunghissimo di 26 anni, 5 mesi e 17 giorni ed è stato il terzo pontificato più lungo della storia (dopo quello di Pio IX e quello tradizionalmente attribuito a Pietro apostolo). Alla storia ha consegnato un capitolo esageratamente ricco di opere di ogni tipo. La caduta del muro di Berlino si fa risalire a lui. La sua fede rispondeva ai dubbi di un mondo incredulo e sempre più brancolante nel buio. Le grandi menti volevano dei segni, come Padre Pio lo fu, anche Giovanni Paolo II lo è stato. Ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, e non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere. 

 Quarta strofa

Occhi veri mai illusi
che la croce sia di miele
ma dolore puro e crudo
che donato rende liberi


E ditemi se sia sceso dalla croce... Non l'ha forse abbracciata tutta e amata fino in fondo, pur di salvare qualcuno?  Certamente con i marpioni della curia romana sarà entrato in collisione tante volte, ma non poteva tenere tutto sotto controllo... Ma guardiamo al positivo. Le giornate mondiali dei giovani, sono nate da una sua grande intuizione. Io personalmente ho partecipato a quella di Parigi dell'agosto 1998, e a quella di Toronto di fine luglio 2002. Già a quella di Parigi, potei partecipare, come cantautore, ad una serata per gli italiani, in una zona che adesso non ricordo. A quella di Toronto, la cosa fu molto più grande. Prima che il Papa arrivasse, ci fu un concerto di cantanti internazionali ed ebbi la fortuna di parteciparvi. Avevo davanti a me 800.000 persone... Le note erano quelle di una mia canzone: Jesus on line. Quando a ottobre di quell'anno cominciai Scienze delle comunicazioni, alla Pontificia Univerisità Salesiana, un ragazzo sud americano collelga negli studi, appena mi vide mi riconobbe e mi disse: "Eri tu a Toronto che cantavi "Jesus on line"? Rimasi di stucco del fatto che uno degli 800.000 ragazzi, si ricordasse di me...


Ritornello

Occhi chiari, e profondi,
occhi trasparenti il Cielo,
del Dio che muore per amore
perdonando.
Occhi chiari, e profondi,
occhi trasparenti il Cielo,
di quella Madre a cui dicevi: “tutto tuo”,
Che occhi erano? Erano specchi
Che occhi erano? Erano finestre
Che occhi erano?Erano ponti.


Una cosa che molti non sanno dell'attentato al Papa del 13 maggio 1981, è che la mano di Agca (l'attentatore), fu deviato, dalla Madonna e da una suora mistica, suor Rita Montella. Antonio Socci, ha scritto una biografia a Giovanni Paolo II e una a Padre Pio. In quest'ultima parla di questo fatto straordinario. Riporto uno stralcio del libro

 Sistemando dei libri ho aperto un incartamento che neanche sapevo di avere e che conteneva la straordinaria vicenda di Cristina Montella, la "bambina" di padre Pio. Mi tuffo nella lettura, scopro un continente sconosciuto. E dopo qualche giorno mi metto alla ricerca di colui che ha raccolto tante testimonianze e documenti straordinari su di lei.
     Un caldo e luminoso giorno di agosto percorro in macchina verso sud la valle spoletana, che corre sotto Assisi. Sembra di essere in pellegrinaggio: sfioro Santa Maria degli Angeli con la grande basilica che contiene la Porziuncola, poi Rivotorto (una chiesina costruita sopra la stalla in cui Francesco visse alcuni mesi con i suoi compagni), quindi Spello, infine Trevi. E, dirigendomi verso Montefalco, nel mezzo della campagna trovo il santuario della Madonna della Stella.
     Vive quì il padre passionista Franco D'Anastasio, un raffinato biblista che è stato per anni rettore del santuario San Gabriele dell'Addolorata. Proprio sul santo e specialmente sulla sua "presenza carismatica" ha scritto una quantità di pregevoli opere che fanno di lui oggi il suo maggior biografo e storico. Uno dei suoi libri recenti è dedicato alle analogie fra San Gabriele e padre Pio.
     Ma negli ultimi anni padre D'Anastasio ha portato a termine una imponente ricerca storica, raccogliendo una montagna di documenti e testimonianze, sulla figura di suor Rita Montella (al secolo Cristina Montella), monaca agostiniana morta in fama di santità il 26 novembre 1992 nel monastero di clausura di Santa Croce sull'Arno, in Toscana. 
La vita di suor Rita, anzi soprattutto la sua vocazione, così piena di doni, di carismi superiori ( a cominciare dalla bilocazione), è intrecciata fin dall'inizio a quella di padre Pio e particolarmente alla sua "azione riparatrice". Il suo legame con il santo cappuccino è speciale, come vedremo, ed è documentato e testimoniato fra l'altro da padre Teofilo dal Pozzo - stimatissima e autorevole figura di francescano - che fu direttore spirituale di suor Rita e superiore della provincia cappuccina di Foggia, quindi superiore diretto e amico di padre Pio,
     Padre Teofilo fu un testimone diretto delle misteriose "missioni" congiunte di padre Pio e di suor Rita. E fu in modo rigoroso e profondo il primo a verificare i carismi e la santità di vita di suor Rita, insieme ad altri autorevoli religiosi e religiose. Padre D'Anastasio, raccogliendo tutte queste testimonianze, ha potuto però attingere anche alla sua conoscenza personale della suora da cui, nel corso degli anni, ha appreso informazioni importanti. Una delle quali davvero sconvolgente, riguarda l'attentato a Giovanni Paolo II di cui per altro suor Rita era coetanea.
     Suor Rita, subito dopo il 1981, in un colloquio confidò a padre Franco - facendogli promettere di tenere il segreto almeno fino alla morte di lei - di essere stata presente in bilocazione in piazza San Pietro quel 13 maggio 1981. Ma c'è di più : "Assieme alla Madonna deviai il colpo dell'attentatore del papa". Queste le sue testuali parole.
     Si tratta di una rivelazione che ovviamente lascia sconcertati, che può essere presa in esame solo considerando l'assoluta affidabilità di questa religiosa, la sua vita santa e i doni soprannaturali che ebbe e che sono testimoniati da persone del tutto degne di fiducia a cominciare da ciò che di lei attestò san Pio da Pietrelcina il quale, come vedremo, proprio con suor Rita ha compiuto alcune delle sue imprese straordinarie.
          (...) A questo sconcertante segreto peraltro si aggiunge un'altra breve frasetta che suor Rita si lasciò sfuggire - in una diversa circostanza in modo indipendente - alla signora Gabriella Panzani, da tanti anni amica della religiosa. Dunque suor Rita un giorno, mentre si parlava dell'attentato al papa, disse: "Quanto ho dovuto faticare perchè non avvenisse di peggio". 

(http://suorritamontella.com/Attentato_al_papa.htm; da Antonio Socci, Il segreto di Padre Pio, Rizzoli 2007, pp. 9-20)

Forse solo quando andremo di là conosceremo tutti i misteriosi legami che i Santi avevano già da quaggiù...

Alla prossima canzone per dare e cantare Dio... 

lunedì 13 febbraio 2017

Insieme a te

Dal CD Buone Nuove edito dalle Suore Paoline nel 1999. Ebbene sì questa canzone l'ho cantata all'Ariston di Sanremo verso la fine di Novembre 1999. La diocesi di Ventimiglia Sanremo organizzò l'evento dal titolo: Sanremo, dal Concilio al Giubileo del 2000: la canzone di Dio.
La canzone piacque molto a don Giosy Cento e a Piergiorgio Bussani, organizzatori dell'evento per la diocesi di Ventimiglia-Sanremo, e vollero che la cantassi accompagnato dal mio gruppo storico... Arrivammo lì volevamo bruciare il mondo con la nostra christian music... Intanto avevo mia mamma in ospedale morente e non riuscii a godermi il tutto come si deve. Quando hai una spina nel cuore, tutto passa in secondo piano anche il palco di Sanremo...
Avrei voluto farvi vedere la performance di Sanremo, mandata in onda da Telepace, ma ce l'ho su videoscassetta... accontentatevi di questo video che alla fine ha la foto mentre canto all'Ariston di Sanremo insieme ai Bioritmo...


Un'altra curiosità di questa canzone, è che mi fu chiesta dal mio Vescovo mons. Umberto Tramma, e doveva essere l'inno del Sinodo Diocesano, che verso la fine degli anni novanta, si sarebbe dovuto realizzare. Il Vescovo andò via, il sinodo non si realizzò e la canzone rimase nel cassetto finché non la pubblicai nel Cd Buonenuove.

Ma ora commentiamo il testo. 

Prime due strofe

Insieme a te, fratello mio, da soli non è più possibile,
andare altrove, né rimanere, fermarsi e spegnersi così.

Ma insieme a te e con Dio fra noi, la strada si fa piana, e il cuore,
crinale che non è impossibile tra il nulla e l’infinito.

Qualche giorno fa un mio amico è ritornato da un incontro con una decina di sacerdoti di diverse diocesi del nord est, in Friuli. Ha raccontato come lui vive alla scuola per sacerdoti di Loppiano (cittadella del Movimento dei Focolari che si trova vicino Firenze, dove si fa un'esperienza evangelica davvero intensa e importante sulla scia del Carisma di Chiara Lubich fondatrice del Movimento). Alla fine molti sacerdoti hanno detto, nella loro comunione d'anima, che davvero quello che manca è la fraternità vera, condivisa, vissuta. Insomma nei loro tre presbitèri loro notavano che ci fosse una "sete di fraternità autentica".
 Io, già da seminarista, prima di diventare diacono, chiesi al mio vescovo di poter frequentare quella scuola per circa sette masi, da ottobre '92 ad aprile '93. In sette mesi ho imparato quanto nei seminari non si studia, ossia una "spiritualità di comunione" che ti rende capace di tessere relazioni autentiche e, capire finalmente che la Trinità si studia vivendola e vivendola la si capisce. Il "come in cielo così in terra" del Padre Nostro, alla scuola "Vinea Mea" per sacerdoti a Loppiano, si realizzava giorno per giorno, imparando dalla Parola vissuta, da Gesù che si fa presente dove due o più si amano vicendevolmente. Posso dire col senno di poi che queste prime strofe potrebbero essere la sintesi di quanto ho vissuto alla scuola per sacerdoti di Loppiano. Innanzitutto mi sono reso conto che da soli non si va molto lontano, e con Gesù in mezzo, che c'è fra due o più..., si va davvero lontano, anzi si va in profondità, si può sprofondare in Dio Amore.

Terza e quarta strofa
   
Insieme a Te e con Dio fra noi, riprende fiato il cuore umano
e ovunque c’è da camminare ci spinge avanti la sua compagnia.

Insieme a Te, fratello mio, che mi stai accanto nel cammino
per quel comando che Lui disse “Suo”, ecco il miracolo.


DIALOGO APERTO
 di Chiara Lubich (10 Gennaio 1978)

Domanda: Quali sono gli effetti che derivano dal vivere quella frase del Vangelo che dice: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro»?

Risposta di Chiara. Realizzando questa parola del Vangelo si ha la presenza di Gesù fra noi: non la presenza di una particolare virtù, ma di una persona.

 Noi, coi nostri occhi non la vediamo, ma egli c’è e scruta ogni nostro pensiero, ogni palpito del nostro cuore, conosce ogni adesione della nostra anima. Egli c’è. È in tutti, avvolge tutti, aiuta, illumina, sprona ognuno e tutti insieme.

 E perché lui ci sia - e ciò è meraviglioso - bastano poche persone: due o tre. E - sbalorditivo - lì dove è lui, è la Chiesa. Dice Tertulliano (un padre della chiesa): «Dove due o tre (anche laici) sono uniti nel nome di Cristo lì è la Chiesa».

 E quando c’è la Chiesa, essa irradia la sua potenza. Cristo opera come ha operato quando era in Palestina, anche se magari in maniere diverse.

 Nel futuro potranno esserci grandi difficoltà per i cristiani. Io non lo so. Ma non dobbiamo aver paura, e proprio per questo: perché là dove due o più vivono pienamente questa frase del Vangelo, c’è Gesù in mezzo a loro. Ed egli potrà entrare nelle fabbriche, nelle scuole, nelle case, dovunque e render presente la Chiesa.

 Gli avvenimenti veramente grandi nascono da piccole cose. Come Gesù nasce a Betlemme in una stalla, così oggi può rinascere tra due o più: due o più ragazzi, due o più ragazze, due o più donne, una mamma e un figlio, una nuora e una suocera: due o più.

 Io vorrei, rispondendo alla tua domanda, comunicarti la passione che riempie il mio cuore, ed è quella di invadere l’umanità di questa presenza di Gesù nella società di oggi.

Ritornello

Tra due o più lì c’è di più, tra due o più lì c’è il futuro.
Con Lui fra noi, non siamo soli,
ma soli che risplendono, che donano la Vita,
e dove poi arriva risorge tutto,
e tutto è Paradiso...


E' la verità del cristianesimo, la potenza innovativa che si porta dentro, ma che viene annichilita da tante ideologie, da tante pseudoteologie, da tante pseudoecclesiologie... Se c'è Gesù chi potrà essere contro di noi? Ma una tale presenza va meritata. Non si può dire: "Gesù" e stare già con la mente altrove. L'essere in Dio richiede "totalità". Non possiamo dire di essere cristiani se non siamo tutti trasferiti in Dio, e dunque non avere più niente per noi.

Scrive Chiara Lubich nel 1949: «Vorrei che tutto il mondo crollasse, ma che Lui sempre rimanesse fra noi, fra noi uniti nel suo Nome, perché morti al nostro. Fratelli, Iddio ci ha dato un ideale che sarà la salvezza del mondo! Restiamogli fedeli, costi quel che costi anche se un giorno dovessimo gridare con l’anima in fiamma per infinito dolore: “Dio mio, Dio mio, perché anche Tu mi hai abbandonato?”. E avanti! Non con la nostra forza, meschina e debole, ma con l’onnipotenza dell’Unità. Ho constatato, toccato con mano che il Dio fra noi compie l’impossibile: il miracolo!». E si afferma, con certezza carismatica, che se noi saremo uno, tutti lo saranno. Ma occorre saper perdere tutto, saper non essere noi stessi perché Dio viva in noi attraverso l’amore ai fratelli. «Se noi resteremo fedeli alla nostra consegna, il mondo vedrà l’Unità e con essa la pienezza del Regno di Dio. Tutti saranno Uno, se noi saremo Uno! E non temete di cedere tutto all’Unità; senza amare – senza misura –, senza perdere il giudizio proprio; senza perdere la propria volontà, i propri desideri, non saremo mai Uno! Sapiente è chi muore per lasciar vivere in sé Dio! E l’Unità è la palestra di questi lottatori della vita vera contro la vita falsa. L’Unità innanzi tutto! In tutto! Dopo tutto! Poco contano le discussioni, le questioni anche più sante, se non diamo vita a Gesù fra noi, amandoci tanto da donarci tutto». Prima di tutto l’unità…»

Quinta e sesta strofa

Insieme a te, fratello mio riprende quota questa vita
e il mondo attende tanta luce dallo stare e andare insieme.

Ma con te e con Dio fra noi è un’avventura tutta nuova
anche per tante altre storie da far rivivere così...

Così scrive Chiara Lubich ad un sacerdote nel 1949:
«La Parola di Vita è il nostro tesoro nascosto: quella che ci monda (purifica) e ci consuma in uno con Gesù e fra noi.  E quel vincolo nessuno lo spezzerà.
Dica alle persone della sua città che siamo loro unite più di quanto possano pensare: che si consumino in uno, comunicandosi l’un l’altra tutti i tesori che posseggono specie quelli spirituali, onde sia Gesù in mezzo ad esse che si santifica e che guardino pur lontano a tutta la città, ché tutta sarà conquistata dal Gesù fra loro, se saranno unite.
Gesù fra le anime fa miracoli: le conversioni a Dio sono all’ordine del giorno e le rivoluzioni dei cuori sempre più frequenti: è l’onda infuocata della Carità che travolge; è la Luce di Gesù.
L’importante è che stiamo uniti e ci comunichiamo al massimo tutto: sia attraverso il telefono senza fili che è la Comunione dei Santi, sia attraverso tutti i mezzi esterni che Iddio mette a nostra disposizione: che le nostre lettere (ad es.) portino l’avanzare della Fiamma e Gesù abbia nel mondo tutta la Gloria. Ma, se è Egli fra noi che la dà a Se stesso, certo che sarà grande (…)».

Ritornello

Tra due o più lì c’è di più, tra due o più lì c’è il futuro.
Con Lui fra noi, non siamo soli,
ma soli che risplendono, che donano la Vita,
e dove poi arriva risorge tutto,
e tutto è Paradiso... (con Te).


La gioia del risorto in mezzo a due o più...
Proprio così, il vero cristianesimo ti fa sperimentare una gioia bellissima, il Paradiso già qui... Vale la pena farne la prova, per poi spendere tutta la vita per poterlo realizzare e poi viverlo in pienezza di là...
Alla prossima canzone per dare e cantare Dio...

domenica 5 febbraio 2017

E' la vita dove la vedi

Questa canzone è presente nel Cd Attimi di Cielo.  

È un inno alla vita, che ha i suoi alti e bassi,
che sembra scherzi con la nostra esistenza, ma c’è Dio “oltre il muro, oltre il duro della vita che corre, che avanza… è Dio VITA che vince”. Intrisa di chitarre e suoni elettronici,
è un pop melodico, fresco, frizzante.


Non mi ricordo quando l'ho scritta e in quali circostanze, ma ha per tema la Vita e Domenica 5 Febbraio (2017) è stata la giornata per la Vita e di questo vorrei parlare.



Ascoltiamo la canzone:


Il testo della canzone. 

Prima strofa:

Quante volte è normale,
quante volte è speciale,
ci monta e ci smonta ci suona e ci stona.
Quante volte è normale, quante volte è speciale,
ci esalta e ci prova, ci rialza di nuovo.

Da Famiglia Cristiana on line:

Accogliere la vita nel solco di Madre Teresa

A partire dal 1979 la Chiesa italiana celebra ogni anno, nella prima domenica di febbraio, la Giornata per la Vita. Il Consiglio Episcopale Permanente della Cei predispone per questa occasione un Messaggio che illustra un aspetto particolare del tema "Vita". Oggi si parla di accoglienza, bambini, nonni e di Santa Teresa di Calcutta.

DONNE E UOMINI PER LA VITA NEL SOLCO DI SANTA TERESA DI CALCUTTA

Il coraggio di sognare con Dio
Alla scuola di Papa Francesco s’impara a sognare. Spesso nelle udienze fa riferimento ai sogni dei bambini e dei giovani, dei malati e degli anziani, delle famiglie e delle comunità cristiane, delle donne e degli uomini di fronte alle scelte importanti della vita. Sognare con Dio e con Lui osare e agire! Quando il Papa commenta la Parola di Dio al mattino o quando tiene discorsi nei vari viaggi apostolici, non manca di incoraggiare a sognare in grande. È nota la sua devozione a san Giuseppe, che considera uomo del “sogno” (Cfr. Mt 1,20.24). Quando si rivolge alle famiglie, ricorda loro che il sogno di Dio “continua a realizzarsi nei sogni di molte coppie che hanno il coraggio di fare della loro vita una famiglia; il coraggio di sognare con Lui, il coraggio di costruire con Lui, il coraggio di giocarci con Lui questa storia, di costruire un mondo dove nessuno si senta solo, nessuno si senta superfluo o senza un posto”.

I bambini e i nonni, il futuro e la memoria
Per Papa Francesco il sogno di Dio si realizza nella storia con la cura dei bambini e dei nonni. I bambini “sono il futuro, sono la forza, quelli che portano avanti. Sono quelli in cui riponiamo la speranza”; i nonni “sono la memoria della famiglia. Sono quelli che ci hanno trasmesso la fede. Avere cura dei nonni e avere cura dei bambini è la prova di amore più promettente della famiglia, perché promette il futuro. Un popolo che non sa prendersi cura dei bambini e dei nonni è un popolo senza futuro, perché non ha la forza e non ha la memoria per andare avanti”.
Una tale cura esige lo sforzo di resistere alle sirene di un’economia irresponsabile, che genera guerra e morte. Educare alla vita significa entrare in una rivoluzione civile che guarisce dalla cultura dello scarto, dalla logica della denatalità, dal crollo demografico, favorendo la difesa di ogni persona umana dallo sbocciare della vita fino al suo termine naturale. È ciò che ripete ancora oggi Santa Teresa di Calcutta con il famoso discorso pronunciato in occasione del premio Nobel 1979: “Facciamo che ogni singolo bambino sia desiderato”; è ciò che continua a cantare con l’inno alla vita: “La vita è bellezza, ammirala. La vita è un’opportunità, coglila. La vita è beatitudine, assaporala. La vita è un sogno, fanne una realtà. … La vita è la vita, difendila”.

Prima parte del Ritornello: 

E’ la vita di sempre, è la vita che vive.
E’ la vita che non fa rumore,
che nasce, che cresce, fiorisce e poi muore
anche senza di noi, proprio dentro di noi.

E’ la vita che vale, è la vita che vince.
 

Con Madre Teresa
La Santa degli ultimi di Calcutta ci insegna ad accogliere il grido di Gesù in croce: “Nel suo ‘Ho sete’ (Gv 19,28) possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace”[3]. Gesù è l’Agnello immolato e vittorioso: da Lui sgorga un “fiume di vita” (Ap 22,1.2), cui attingono le storie di donne e uomini per la vita nel matrimonio, nel sacerdozio o nella vita consacrata religiosa e secolare. Com’è bello sognare con le nuove generazioni una Chiesa e un Paese capaci di apprezzare e sostenere storie di amore esemplari e umanissime, aperte a ogni vita, accolta come dono sacro di Dio anche quando al suo tramonto va incontro ad atroci sofferenze; solchi fecondi e accoglienti verso tutti, residenti e immigrati. Un tale stile di vita ha un sapore mariano, vissuto come “partecipazione alla feconda opera di Dio, e ciascuno è per l’altro una permanente provocazione dello Spirito. I due sono tra loro riflessi dell’amore divino che conforta con la parola, lo sguardo, l’aiuto, la carezza, l’abbraccio”.

(Roma, 22 ottobre 2016, Memoria di San Giovanni Paolo II
Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana)

Seconda Parte del ritornello
E’ la vita che a volte hai paura
Ma c’è l’Altro oltre il muro,
oltre il duro della vita che corre, della vita che avanza.

E’ la vita di sempre, è la vita che vive.
E’ la vita che vale, è Dio-Vita che vince.



Da Avvenire: 

La Giornata nazionale. Con la vita tutta intera, come Madre Teresa e il Papa

Che cosa significa difendere la vita e farsi promotori di una cultura per la vita? Prendiamo un esempio. Che è stato anche canonizzato: Madre Teresa di Calcutta. Questa donna non ha distillato un pensiero pro-life, ma con tutto il suo essere e in tutta la sua esistenza si è resa a tutti disponibile attraverso l’accoglienza spazzando via da sé le distinzioni di fedi, di razza, di origine, di cultura, di lingua o di stato sociale, secondo l’apertura universalistica del Vangelo. Si è prodigata per ogni vita umana, da quella non nata a quella abbandonata e scartata, non solo proclamando incessantemente che «chi non è ancora nato è il più debole, il più piccolo, il più misero», ma anche chinandosi in prima persona sulle persone sfinite, scartate, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva dato loro. La vita è anzitutto un dono. Sì, ma non al vento delle parole: Madre Teresa con la sua testimonianza ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini della miseria creata da loro nel deturpare questo dono. Per lei «essere rifiutati è la peggiore malattia che un essere umano possa provare». Particolare attenzione ha quindi voluto dedicare all’isolamento sociale, e per questo motivo le sue iniziative sono sempre state inclusive, anche in relazione alle diversità di cultura, lingua e religione.

Seconda strofa e prima parte del ritornello

Quante volte si parte, quante volte si arriva.
C’è un principio e una fine per tutte le cose.

E’ la vita di sempre, è la vita che vive.
E’ la vita che esce di casa È per strada,
sui muretti di sera c’invita, c’incontra proprio dove la vedi.

E’ la vita che vale, è la vita che vince.

Testimonianza o ideologia
Madre Teresa non è mai caduta nella tentazione di isolare e trasformare qualcuno dei principi morali in luce dal quale far provenire tutte le altre verità della fede: non ne ha perciò fatto un’ideologia. Ha reso testimonianza dell’unica dottrina: la Persona di Cristo, e solo Cristo in lei traspariva, servito e amato nel prossimo, soprattutto nelle piaghe dei poveri, dai quali lo ha ricevuto. «La santa degli ultimi di Calcutta ci insegna ad accogliere il grido di Gesù in croce – scrive la Cei nel Messaggio per la Giornata nazionale per la vita in programma domenica –. Nel suo "ho sete" (Gv 19,28) possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace». Così ha tenuto accesa la fiamma e la tensione della fraternità universale sul modello evangelico, dando esempio di relazione reciproca tra chi dona e chi riceve nella comprensione e nel rispetto, attraverso la condivisione di stili e condizioni di vita. Così ha mostrato come difendere la vita significhi amare Dio, che equivale ad amare il prossimo: perché questi due amori, per volere di Dio, sono inseparabili. È quanto scritto sulla sua semplice tomba a Calcutta, meta di pellegrinaggi di credenti di ogni fede, dove è stato inciso un verso del Vangelo di Giovanni: «Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi». Questa cultura della vita Madre Teresa ha incarnato e proclamato, e per questo la sua missione nelle periferie delle città e nelle periferie esistenziali permane come testimonianza eloquente, «simbolo e icona per i nostri tempi», come ha ricordato papa Francesco nel canonizzarla.


Seconda parte del ritornello 





E’ la vita che a volte hai paura
ma c’è l’Altro oltre il muro,
oltre il duro della vita che corre, della vita che avanza.

E’ la vita di sempre, è la vita che vive.
E’ la vita che vale, è Dio-Vita che vince.


 Cose o persone
Ed è esattamente su questa stessa lunghezza d’onda che si muove il suo magistero sulla cultura della vita, in opposizione alla non cultura dello scarto. È proprio l’esempio della santa di Calcutta al centro della riflessione dei vescovi italiani, che citano il Papa: «Le cose hanno un prezzo e sono vendibili, ma le persone hanno una dignità, valgono più delle cose e non hanno prezzo. Tante volte ci troviamo in situazioni in cui quello che costa di meno è la vita. Per questo l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del magistero della Chiesa, particolarmente a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro, al bambino, all’anziano, che è la vita più indifesa». Il grado di progresso di una civiltà non si misura solo dalla diffusione di strumenti tecnologici ma dalla capacità di custodire la vita, in tutte le sue fasi, dalla nascita fino alla morte, soprattutto nelle sue fasi più fragili. «Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana – ha affermato il Papa –. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità». E guardare con attenzione al tempo che unisce l’inizio con la fine, il che vuol dire anche riunire la risorsa di quel filo generazionale tra gli anziani e più i giovani per riconsegnare alla vita la memoria e il futuro. Quello che i poteri tendono a distruggere nella devastante «dittatura dello scarto» che produce «avanzi della convivenza sociale» e, implacabile, riduce a pezzi la vita, costringendo a lasciare in piedi solo smemorati utili, produttivi funzionali al dio del mercato globale, come fanno le guerre.

Alla prossima canzone per dare e cantare Dio