domenica 15 aprile 2018

Ed è Vita

Riascoltando questa canzone devo dire che mi piace ancora, infatti racchiude delle buonissime intuizioni teologico-spirituali e dei bellissimi ricordi... E forse ha l'arrangiamento più indovinato del mio primo lavoro discografico "Innamorami di te". Brevissima, solo 2 minuti, ma se la spremi esce tutta la mia vita: Gesù Crocifisso e Abbandonato, "non ho altro Dio", ci insegnava Chiara Lubich, e io non ho altro amore, ma me lo devo sempre ridire ogni giorno. Ci vuole tutto lo Spirito e tutta la Grazia per poter dire con la vita e non solo con le parole, il "Sì", che ho detto alla mia consacrazione. E ripensando anche ai tantissimi tradimenti, Giuda sembra un angelo e Pietro un Arcangelo. Stiamo sotto al Cielo e fare i conti con la propria finitudine è un'impresa giornaliera, ma utile e concreta. Più uno si conosce e più ha bisogno della Grazia di Dio e, le Parole di Gesù: "Senza di me non potete fare nulla" (Gv 15, 5), danno fondamento alla mia esistenza e all'esistente. O mio Signore e mio Dio, da quale abisso vuoi tirarci fuori, davvero solo Dio-Amore poteva pensare e realizzare un tale piano di salvezza. Come non dirti grazie, e come non ripeterlo ogni giorno, ogni momento, ogni attimo. Cosa si perdono i tanti, presi dalle macine del tempo e dello spazio! Stritolati da bisogni indotti che fanno perdere di vista ciò che è veramente essenziale. In quale povertà è caduta l'umanità, che dopo 2000 anni di cristianesimo, non è riuscita ancora a liberarsi dall'inutile, dal superfluo, da ciò che gli fa male... Ed è Vita, questa mia canzone, è un grido dell'anima nel momento in cui ha compreso il senso del suo esistere nel tempo e di come dar senso al suo esserci nel cuore di Dio-Amore. Ascoltiamola...

 

Il titolo. Ed è Vita.  Quando si incontra Gesù, si incontra la Vita, non solo perché Lui ha detto di sé: "Io sono la Vita", ma perché se stai all'inferno, risali la china e ti ritrovi altrove, che con sprazzi di Paradiso vissuti e sperimentati qui ed ora, cominci a sperare, a vedere la Luce in fondo al tunnel. Davvero bella è la esortazione di Papa Francesco sulla santità Gaudete et exultate. D'altronde è la prima volta che leggendo uno scritto di un Papa, la mia anima veramente esulta e gioisce. Ci sono dei passaggi che a me hanno colpito e che nello spiegare la canzone vi leggerò. Già l'incipit è un'esortazione a volare alto: 

"«Rallegratevi ed esultate» (Mt 5,12), dice Gesù a coloro che sono perseguitati o umiliati per causa sua. Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente. In realtà, fin dalle prime pagine della Bibbia è presente, in diversi modi, la chiamata alla santità. Così il Signore la proponeva ad Abramo: «Cammina davanti a me e sii integro» (Gen 17,1). (GetE, 1)

Il Signore chiede tutto, perché il vero amore dona tutto, e se vogliamo somigliare all'Amore, dobbiamo anche noi dare tutto. Gesù Crocifisso è il modello del dono totale di sè, che esprime non solo un gesto, un fare, ma l'essenza stessa di Dio, che è Amore, perché è dono totale di sé. Chi non vuol donarsi, ferma la sua crescita umana e spirituale e si appantana nelle squallide buche dell'essere, create dal fetente per eccellenza, aiutato da tutti quelli che gli somigliano. Una società tutte buche d'aspide è il risultato di consacrazioni al potere, al denaro e al sesso. Povera umanità alla deriva e ora non sa neanche più di essere all'inferno. Gridava San Paolo: "lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5, 20). Anch'io con lui voglio gridare: fatevi riconciliare con Dio, altrimenti morireste sotto le spire di Satana. Ed è Vita, allora, è anche un'esortazione a cercare l'Amore, quello vero, quello divino, a sceglierlo come l'unica cosa buona che possa esistere sotto al Cielo.


Prima strofa

Sarà amore quel che provo qui?
Ti ritrovo, finalmente, Amore,
in questa vita che mi spinge via,
via da qui.

Dio lo si ritrova proprio quando il fondo è oramai raggiunto, la spinta verso l'alto te la da proprio lo Spirito, che non può assistere al suicidio di un'anima. Ma questa deve fare i suoi passi, deve arrivare a chiedere aiuto, deve arrivare a sentire che le manca la Vita, ossia Dio. Oggi sembra che tanta gente sia così inebedita dal frastuono di tantissime sirene, da non saper neppure cercare, e dunque non troverà mai, ciò che le può dare la Vita, ossia Dio in Gesù. Come può una umanità smarrita cercare la santità? Eppure sarebbe la soluzione a tutti i mali. Infatti scrive il Papa:

"Il consumismo edonista può giocarci un brutto tiro, perché nell’ossessione di divertirsi finiamo con l’essere eccessivamente concentrati su noi stessi, sui nostri diritti e nell’esasperazione di avere tempo libero per godersi la vita. Sarà difficile che ci impegniamo e dedichiamo energie a dare una mano a chi sta male se non coltiviamo una certa austerità, se non lottiamo contro questa febbre che ci impone la società dei consumi per venderci cose, e che alla fine ci trasforma in poveri insoddisfatti che vogliono avere tutto e provare tutto. Anche il consumo di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli. In mezzo a questa voragine attuale, il Vangelo risuona nuovamente per offrirci una vita diversa, più sana e più felice." (GetE, 108).

Occore dunque compiere continuamente un esodo, da dove stiamo verso la meta: vivere la vita in Dio, ossia farsi plasmare dalla grazia, diventare santi. Non è impossibile, ma faticoso sì. Se il premio è la Vita Eterna, credo che ne valga la pena provarci.

Seconda strofa

Sarà vero ritrovarti ancora?
Ed ancora sono solo:
solitudine che riempie il vuoto,
la mia assenza...

 Ritrovare la strada, dopo averla smarrita, dà un senso di pace e di pienezza che se uno non li ha provati, non può neanche descrivere. Mi ricordo la mia conversione all'Amore di Dio, mi faceva vedere la realtà da un'altra angolatura. Non più il mio solo sguardo menomato da tante deficienze, ma finalmente uno sguardo ampio su tutta la mia vita e su tutto quanto mi circondava. La mia vita riacquistava senso, andava finamente verso Qualcuno e non verso qualcosa. Che gioia e che pace nell'aver scoperto la Luce della Vita: Gesù. Eppure non conoscevo ancora nulla della teologia, della Sacra Scrittura, della Teologia morale... Cosa era successo? Avevo incontrato il Signore, il suo immenso amore misericordioso. Camminado, camminando, la strada si apriva e vi ho potuto scorgere anche la mia vocazione al sacerdozio. Ma se all'inizio era oro e fiori poi sono arrivate le prime prove, ma per fortuna anche l'aiuto divino, per riuscire a chiamare per nome ogni dolore. Nel capitolo quinto della Esortazione Gaudete et Exultate, ci sono tutti i consigli per superare le lotte spirituali...

"La vita cristiana è un combattimento permanente. Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita.
Non si tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia. Nemmeno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie inclinazioni (ognuno ha la sua: la pigrizia, la lussuria, l’invidia, le gelosie, e così via). È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male. Gesù stesso festeggia le nostre vittorie. Si rallegrava quando i suoi discepoli riuscivano a progredire nell’annuncio del Vangelo, superando l’opposizione del Maligno, ed esultava: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore» (Lc 10,18).
Non ammetteremo l’esistenza del diavolo se ci ostiniamo a guardare la vita solo con criteri empirici e senza una prospettiva soprannaturale. Proprio la convinzione che questo potere maligno è in mezzo a noi, è ciò che ci permette di capire perché a volte il male ha tanta forza distruttiva. (...)
Non pensiamo dunque che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea. Tale inganno ci porta ad abbassare la guardia, a trascurarci e a rimanere più esposti. Lui non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio, con la tristezza, con l’invidia, con i vizi. E così, mentre riduciamo le difese, lui ne approfitta per distruggere la nostra vita, le nostre famiglie e le nostre comunità, perché «come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1 Pt 5,8).
La Parola di Dio ci invita esplicitamente a «resistere alle insidie del diavolo» (Ef 6,11) e a fermare «tutte le frecce infuocate del maligno» (Ef 6,16). Non sono parole poetiche, perché anche il nostro cammino verso la santità è una lotta costante. Chi non voglia riconoscerlo si vedrà esposto al fallimento o alla mediocrità. Per il combattimento abbiamo le potenti armi che il Signore ci dà: la fede che si esprime nella preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la celebrazione della Messa, l’adorazione eucaristica, la Riconciliazione sacramentale, le opere di carità, la vita comunitaria, l’impegno missionario. (...)
In questo cammino, lo sviluppo del bene, la maturazione spirituale e la crescita dell’amore sono il miglior contrappeso nei confronti del male. Nessuno resiste se sceglie di indugiare in un punto morto, se si accontenta di poco, se smette di sognare di offrire al Signore una dedizione più bella. Peggio ancora se cade in un senso di sconfitta, perché «chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. […] Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male»." (158-163 GetE)

Bisogna accettare di combattere, perché chi non combatte non vince, e verrà certamente vinto.

Terza strofa con variazione nella melodia

Poterti sempre dare un nome
anche quando non ci sei
e quando non ci sono neanch’io
ma ancora tu m’incontri
ed ancora io m’incontro con Te.

 La strada si può smarrire allora occorre impegnarsi nel ritrovarla qui gioca un ruolo decisivo il saper discernere la Volontà di Dio. Così scrive il Papa nella esortazioen Gaudium et exultet:

"Come sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo è il discernimento, che non richiede solo una buona capacità di ragionare e di senso comune, è anche un dono che bisogna chiedere. Se lo chiediamo con fiducia allo Spirito Santo, e allo stesso tempo ci sforziamo di coltivarlo con la preghiera, la riflessione, la lettura e il buon consiglio, sicuramente potremo crescere in questa capacità spirituale.

Un bisogno urgente
Al giorno d’oggi l’attitudine al discernimento è diventata particolarmente necessaria. Infatti la vita attuale offre enormi possibilità di azione e di distrazione e il mondo le presenta come se fossero tutte valide e buone. Tutti, ma specialmente i giovani, sono esposti a uno zapping costante. È possibile navigare su due o tre schermi simultaneamente e interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali. Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento.
Questo risulta particolarmente importante quando compare una novità nella propria vita, e dunque bisogna discernere se sia il vino nuovo che viene da Dio o una novità ingannatrice dello spirito del mondo o dello spirito del diavolo. In altre occasioni succede il contrario, perché le forze del male ci inducono a non cambiare, a lasciare le cose come stanno, a scegliere l’immobilismo e la rigidità, e allora impediamo che agisca il soffio dello Spirito. Siamo liberi, con la libertà di Gesù, ma Egli ci chiama a esaminare quello che c’è dentro di noi – desideri, angustie, timori, attese – e quello che accade fuori di noi – i “segni dei tempi” – per riconoscere le vie della libertà piena: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1 Ts 5,21).


Sempre alla luce del Signore
Il discernimento è necessario non solo in momenti straordinari, o quando bisogna risolvere problemi gravi, oppure quando si deve prendere una decisione cruciale. È uno strumento di lotta per seguire meglio il Signore. Ci serve sempre: per essere capaci di riconoscere i tempi di Dio e la sua grazia, per non sprecare le ispirazioni del Signore, per non lasciar cadere il suo invito a crescere. Molte volte questo si gioca nelle piccole cose, in ciò che sembra irrilevante, perché la magnanimità si rivela nelle cose semplici e quotidiane.[124] Si tratta di non avere limiti per la grandezza, per il meglio e il più bello, ma nello stesso tempo di concentrarsi sul piccolo, sull’impegno di oggi. Pertanto chiedo a tutti i cristiani di non tralasciare di fare ogni giorno, in dialogo con il Signore che ci ama, un sincero esame di coscienza. Al tempo stesso, il discernimento ci conduce a riconoscere i mezzi concreti che il Signore predispone nel suo misterioso piano di amore, perché non ci fermiamo solo alle buone intenzioni.


Un dono soprannaturale
È vero che il discernimento spirituale non esclude gli apporti delle sapienze umane, esistenziali, psicologiche, sociologiche o morali. Però le trascende. E neppure gli bastano le sagge norme della Chiesa. Ricordiamo sempre che il discernimento è una grazia. Anche se include la ragione e la prudenza, le supera, perché si tratta di intravedere il mistero del progetto unico e irripetibile che Dio ha per ciascuno e che si realizza in mezzo ai più svariati contesti e limiti. Non è in gioco solo un benessere temporale, né la soddisfazione di fare qualcosa di utile, e nemmeno il desiderio di avere la coscienza tranquilla. È in gioco il senso della mia vita davanti al Padre che mi conosce e mi ama, quello vero, per il quale io possa dare la mia esistenza, e che nessuno conosce meglio di Lui. Il discernimento, insomma, conduce alla fonte stessa della vita che non muore, cioè «che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). Non richiede capacità speciali né è riservato ai più intelligenti e istruiti, e il Padre si manifesta con piacere agli umili (cfr Mt 11,25).
Anche se il Signore ci parla in modi assai diversi durante il nostro lavoro, attraverso gli altri e in ogni momento, non è possibile prescindere dal silenzio della preghiera prolungata per percepire meglio quel linguaggio, per interpretare il significato reale delle ispirazioni che pensiamo di aver ricevuto, per calmare le ansie e ricomporre l’insieme della propria esistenza alla luce di Dio. Così possiamo permettere la nascita di quella nuova sintesi che scaturisce dalla vita illuminata dallo Spirito.


Parla, Signore
Tuttavia potrebbe capitare che nella preghiera stessa evitiamo di disporci al confronto con la libertà dello Spirito, che agisce come vuole. Occorre ricordare che il discernimento orante richiede di partire da una disposizione ad ascoltare: il Signore, gli altri, la realtà stessa che sempre ci interpella in nuovi modi. Solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini, ai propri schemi. Così è realmente disponibile ad accogliere una chiamata che rompe le sue sicurezze ma che lo porta a una vita migliore, perché non basta che tutto vada bene, che tutto sia tranquillo. Può essere che Dio ci stia offrendo qualcosa di più, e nella nostra pigra distrazione non lo riconosciamo.
Tale atteggiamento di ascolto implica, naturalmente, obbedienza al Vangelo come ultimo criterio, ma anche al Magistero che lo custodisce, cercando di trovare nel tesoro della Chiesa ciò che può essere più fecondo per l’oggi della salvezza. Non si tratta di applicare ricette o di ripetere il passato, poiché le medesime soluzioni non sono valide in tutte le circostanze e quello che era utile in un contesto può non esserlo in un altro. Il discernimento degli spiriti ci libera dalla rigidità, che non ha spazio davanti al perenne oggi del Risorto. Unicamente lo Spirito sa penetrare nelle pieghe più oscure della realtà e tenere conto di tutte le sue sfumature, perché emerga con altra luce la novità del Vangelo.


La logica del dono e della croce
Una condizione essenziale per il progresso nel discernimento è educarsi alla pazienza di Dio e ai suoi tempi, che non sono mai i nostri. Lui non fa “scendere fuoco sopra gli infedeli” (cfr Lc 9,54), né permette agli zelanti di “raccogliere la zizzania” che cresce insieme al grano (cfr Mt 13,29). Inoltre si richiede generosità, perché «si è più beati nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Non si fa discernimento per scoprire cos’altro possiamo ricavare da questa vita, ma per riconoscere come possiamo compiere meglio la missione che ci è stata affidata nel Battesimo, e ciò implica essere disposti a rinunce fino a dare tutto. Infatti, la felicità è paradossale e ci regala le migliori esperienze quando accettiamo quella logica misteriosa che non è di questo mondo. Come diceva san Bonaventura riferendosi alla croce: «Questa è la nostra logica». Se uno assume questa dinamica, allora non lascia anestetizzare la propria coscienza e si apre generosamente al discernimento.
Quando scrutiamo davanti a Dio le strade della vita, non ci sono spazi che restino esclusi. In tutti gli aspetti dell’esistenza possiamo continuare a crescere e offrire a Dio qualcosa di più, perfino in quelli nei quali sperimentiamo le difficoltà più forti. Ma occorre chiedere allo Spirito Santo che ci liberi e che scacci quella paura che ci porta a vietargli l’ingresso in alcuni aspetti della nostra vita. Colui che chiede tutto dà anche tutto, e non vuole entrare in noi per mutilare o indebolire, ma per dare pienezza. Questo ci fa vedere che il discernimento non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista, ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli.

* * *
Desidero che Maria coroni queste riflessioni, perché lei ha vissuto come nessun altro le Beatitudini di Gesù. Ella è colei che trasaliva di gioia alla presenza di Dio, colei che conservava tutto nel suo cuore e che si è lasciata attraversare dalla spada. È la santa tra i santi, la più benedetta, colei che ci mostra la via della santità e ci accompagna. Lei non accetta che quando cadiamo rimaniamo a terra e a volte ci porta in braccio senza giudicarci. Conversare con lei ci consola, ci libera e ci santifica. La Madre non ha bisogno di tante parole, non le serve che ci sforziamo troppo per spiegarle quello che ci succede. Basta sussurrare ancora e ancora: «Ave o Maria…»." (166-176 G et E)

Affidarsi a Maria, nostra Madre è saggezza e vittoria certa.

Ritornello

Ed è vita, perché Tu sei la Vita;
ed è luce, perché Tu sei la Luce;
ed è verità, perché Tu sei la Verità,
l’unica Via di questa... realtà.

 Il Papa nella esortazione G et E, traccia la strada delle Beatitudini per la santità nella cultura attuale:

"Nonostante le parole di Gesù possano sembrarci poetiche, tuttavia vanno molto controcorrente rispetto a quanto è abituale, a quanto si fa nella società; e, anche se questo messaggio di Gesù ci attrae, in realtà il mondo ci porta verso un altro stile di vita. Le Beatitudini in nessun modo sono qualcosa di leggero o di superficiale; al contrario, possiamo viverle solamente se lo Spirito Santo ci pervade con tutta la sua potenza e ci libera dalla debolezza dell’egoismo, della pigrizia, dell’orgoglio. Torniamo ad ascoltare Gesù, con tutto l’amore e il rispetto che merita il Maestro. Permettiamogli di colpirci con le sue parole, di provocarci, di richiamarci a un reale cambiamento di vita. Altrimenti la santità sarà solo parole. Ricordiamo ora le singole Beatitudini nella versione del vangelo di Matteo (cfr 5,3-12).

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli»
Il Vangelo ci invita a riconoscere la verità del nostro cuore, per vedere dove riponiamo la sicurezza della nostra vita. Normalmente il ricco si sente sicuro con le sue ricchezze, e pensa che quando esse sono in pericolo, tutto il senso della sua vita sulla terra si sgretola. Gesù stesso ce l’ha detto nella parabola del ricco stolto, parlando di quell’uomo sicuro di sé che, come uno sciocco, non pensava che poteva morire quello stesso giorno (cfr Lc 12,16-21).
Le ricchezze non ti assicurano nulla. Anzi, quando il cuore si sente ricco, è talmente soddisfatto di sé stesso che non ha spazio per la Parola di Dio, per amare i fratelli, né per godere delle cose più importanti della vita. Così si priva dei beni più grandi. Per questo Gesù chiama beati i poveri in spirito, che hanno il cuore povero, in cui può entrare il Signore con la sua costante novità.
Questa povertà di spirito è molto legata con quella “santa indifferenza” che proponeva sant’Ignazio di Loyola, nella quale raggiungiamo una bella libertà interiore: «Per questa ragione è necessario renderci indifferenti verso tutte le cose create (in tutto quello che è permesso alla libertà del nostro libero arbitrio e non le è proibito), in modo da non desiderare da parte nostra più la salute che la malattia, più la ricchezza che la povertà, più l’onore che il disonore, più la vita lunga piuttosto che quella breve, e così in tutto il resto».
Luca non parla di una povertà “di spirito” ma di essere «poveri» e basta (cfr Lc 6,20), e così ci invita anche a un’esistenza austera e spoglia. In questo modo, ci chiama a condividere la vita dei più bisognosi, la vita che hanno condotto gli Apostoli e in definitiva a conformarci a Gesù, che «da ricco che era, si è fatto povero» (2 Cor 8,9).
Essere poveri nel cuore, questo è santità.


«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra».
È un’espressione forte, in questo mondo che fin dall’inizio è un luogo di inimicizia, dove si litiga ovunque, dove da tutte le parti c’è odio, dove continuamente classifichiamo gli altri per le loro idee, le loro abitudini, e perfino per il loro modo di parlare e di vestire. Insomma, è il regno dell’orgoglio e della vanità, dove ognuno crede di avere il diritto di innalzarsi al di sopra degli altri. Tuttavia, nonostante sembri impossibile, Gesù propone un altro stile: la mitezza. È quello che Lui praticava con i suoi discepoli e che contempliamo nel suo ingresso in Gerusalemme: «Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro» (Mt 21,5; cfr Zc 9,9).
Egli disse: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,29). Se viviamo agitati, arroganti di fronte agli altri, finiamo stanchi e spossati. Ma quando vediamo i loro limiti e i loro difetti con tenerezza e mitezza, senza sentirci superiori, possiamo dar loro una mano ed evitiamo di sprecare energie in lamenti inutili. Per santa Teresa di Lisieux «la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti altrui, non stupirsi assolutamente delle loro debolezze».
Paolo menziona la mitezza come un frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,23). Propone che, se qualche volta ci preoccupano le cattive azioni del fratello, ci avviciniamo per correggerle, ma «con spirito di dolcezza» (Gal 6,1), e ricorda: «e tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (ibid.). Anche quando si difende la propria fede e le proprie convinzioni, bisogna farlo con mitezza (cfr 1 Pt 3,16), e persino gli avversari devono essere trattati con mitezza (cfr 2 Tm 2,25). Nella Chiesa tante volte abbiamo sbagliato per non aver accolto questo appello della Parola divina.
La mitezza è un’altra espressione della povertà interiore, di chi ripone la propria fiducia solamente in Dio. Di fatto nella Bibbia si usa spesso la medesima parola anawim per riferirsi ai poveri e ai miti. Qualcuno potrebbe obiettare: “Se sono troppo mite, penseranno che sono uno sciocco, che sono stupido o debole”. Forse sarà così, ma lasciamo che gli altri lo pensino. E’ meglio essere sempre miti, e si realizzeranno le nostre più grandi aspirazioni: i miti «avranno in eredità la terra», ovvero, vedranno compiute nella loro vita le promesse di Dio. Perché i miti, al di là di ciò che dicono le circostanze, sperano nel Signore e quelli che sperano nel Signore possederanno la terra e godranno di grande pace (cfr Sal 37,9.11). Nello stesso tempo, il Signore confida in loro: «Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola» (Is 66,2).
Reagire con umile mitezza, questo è santità. (65-74 G et E)

Terza strofa

Sarà tempo che riprenda il volo
per non riaffogare qui
appesantito come sono
dal mio io.

Il Papa continua con le Beatitudini come specchio per il cammino verso la santità:

"«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati»
Il mondo ci propone il contrario: il divertimento, il godimento, la distrazione, lo svago, e ci dice che questo è ciò che rende buona la vita. Il mondano ignora, guarda dall’altra parte quando ci sono problemi di malattia o di dolore in famiglia o intorno a lui. Il mondo non vuole piangere: preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle, nasconderle. Si spendono molte energie per scappare dalle situazioni in cui si fa presente la sofferenza, credendo che sia possibile dissimulare la realtà, dove mai, mai può mancare la croce.
La persona che vede le cose come sono realmente, si lascia trafiggere dal dolore e piange nel suo cuore è capace di raggiungere le profondità della vita e di essere veramente felice. Quella persona è consolata, ma con la consolazione di Gesù e non con quella del mondo. Così può avere il coraggio di condividere la sofferenza altrui e smette di fuggire dalle situazioni dolorose. In tal modo scopre che la vita ha senso nel soccorrere un altro nel suo dolore, nel comprendere l’angoscia altrui, nel dare sollievo agli altri. Questa persona sente che l’altro è carne della sua carne, non teme di avvicinarsi fino a toccare la sua ferita, ha compassione fino a sperimentare che le distanze si annullano. Così è possibile accogliere quell’esortazione di san Paolo: «Piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12,15).
Saper piangere con gli altri, questo è santità.
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati»
«Fame e sete» sono esperienze molto intense, perché rispondono a bisogni primari e sono legate all’istinto di sopravvivenza. Ci sono persone che con tale intensità aspirano alla giustizia e la cercano con un desiderio molto forte. Gesù dice che costoro saranno saziati, giacché presto o tardi la giustizia arriva, e noi possiamo collaborare perché sia possibile, anche se non sempre vediamo i risultati di questo impegno.
Ma la giustizia che propone Gesù non è come quella che cerca il mondo, molte volte macchiata da interessi meschini, manipolata da un lato o dall’altro. La realtà ci mostra quanto sia facile entrare nelle combriccole della corruzione, far parte di quella politica quotidiana del “do perché mi diano”, in cui tutto è commercio. E quanta gente soffre per le ingiustizie, quanti restano ad osservare impotenti come gli altri si danno il cambio a spartirsi la torta della vita. Alcuni rinunciano a lottare per la vera giustizia e scelgono di salire sul carro del vincitore. Questo non ha nulla a che vedere con la fame e la sete di giustizia che Gesù elogia.
Tale giustizia incomincia a realizzarsi nella vita di ciascuno quando si è giusti nelle proprie decisioni, e si esprime poi nel cercare la giustizia per i poveri e i deboli. Certo la parola “giustizia” può essere sinonimo di fedeltà alla volontà di Dio con tutta la nostra vita, ma se le diamo un senso molto generale dimentichiamo che si manifesta specialmente nella giustizia con gli indifesi: «Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1,17).
Cercare la giustizia con fame e sete, questo è santità."  (G et E 75-79)


Quarta strofa

Sarà logico ribere fresche
a quell’acqua cristallina
le parole di sorgente,
a quella Roccia.

 Ancora altre due beatitudini commentate da Papa Francesco:

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia».
La misericordia ha due aspetti: è dare, aiutare, servire gli altri e anche perdonare, comprendere. Matteo riassume questo in una regola d’oro: «Tutto quanto vorrete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (7,12). Il Catechismo ci ricorda che questa legge si deve applicare «in ogni caso», in modo speciale quando qualcuno «talvolta si trova ad affrontare situazioni difficili che rendono incerto il giudizio morale».
Dare e perdonare è tentare di riprodurre nella nostra vita un piccolo riflesso della perfezione di Dio, che dona e perdona in modo sovrabbondante. Per questo motivo nel vangelo di Luca non troviamo «siate perfetti» (Mt 5,48), ma «siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati; date e vi sarà dato» (6,36-38). E dopo Luca aggiunge qualcosa che non dovremmo trascurare: «Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (6,38). La misura che usiamo per comprendere e perdonare verrà applicata a noi per perdonarci. La misura che applichiamo per dare, sarà applicata a noi nel cielo per ricompensarci. Non ci conviene dimenticarlo.
Gesù non dice “Beati quelli che programmano vendetta”, ma chiama beati coloro che perdonano e lo fanno «settanta volte sette» (Mt 18,22). Occorre pensare che tutti noi siamo un esercito di perdonati. Tutti noi siamo stati guardati con compassione divina. Se ci accostiamo sinceramente al Signore e affiniamo l’udito, probabilmente sentiremo qualche volta questo rimprovero: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18,33).
Guardare e agire con misericordia, questo è santità.


«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».
Questa beatitudine si riferisce a chi ha un cuore semplice, puro, senza sporcizia, perché un cuore che sa amare non lascia entrare nella propria vita alcuna cosa che minacci quell’amore, che lo indebolisca o che lo ponga in pericolo. Nella Bibbia, il cuore sono le nostre vere intenzioni, ciò che realmente cerchiamo e desideriamo, al di là di quanto manifestiamo: «L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1 Sam 16,7). Egli cerca di parlarci nel cuore (cfr Os 2,16) e lì desidera scrivere la sua Legge (cfr Ger 31,33). In definitiva, vuole darci un cuore nuovo (cfr Ez 36,26).
84. «Più di ogni cosa degna di cura custodisci il tuo cuore» (Pr 4,23). Nulla di macchiato dalla falsità ha valore reale per il Signore. Egli «fugge ogni inganno, si tiene lontano dai discorsi insensati» (Sap 1,5). Il Padre, che «vede nel segreto» (Mt 6,6), riconosce ciò che non è pulito, vale a dire ciò che non è sincero, ma solo scorza e apparenza, come pure il Figlio sa «quello che c’è nell’uomo» (Gv 2,25).
È vero che non c’è amore senza opere d’amore, ma questa beatitudine ci ricorda che il Signore si aspetta una dedizione al fratello che sgorghi dal cuore, poiché «se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1 Cor 13,3). Nel vangelo di Matteo vediamo pure che quanto viene dal cuore è ciò che rende impuro l’uomo (cfr 15,18), perché da lì procedono gli omicidi, i furti, le false testimonianze, e così via (cfr 15,19). Nelle intenzioni del cuore hanno origine i desideri e le decisioni più profondi che realmente ci muovono.
Quando il cuore ama Dio e il prossimo (cfr Mt 22,36-40), quando questo è la sua vera intenzione e non parole vuote, allora quel cuore è puro e può vedere Dio. San Paolo, nel suo inno alla carità, ricorda che «adesso noi vediamo come in uno specchio, in modo confuso» (1 Cor 13,12), ma nella misura in cui regna veramente l’amore, diventeremo capaci di vedere «faccia a faccia» (ibid.). Gesù promette che quelli che hanno un cuore puro «vedranno Dio».
Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, questo è santità." (80-86 G et E)

Quarta strofa con variazione nella melodia

Poterti sempre dare un nome
anche quando non ci sei
e quando non ci sono neanch’io
ma ancora tu m’incontri
ed ancora io m’incontro con Te.

Le ultime due Beatitudini: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».
Questa beatitudine ci fa pensare alle numerose situazioni di guerra che si ripetono. Per noi è molto comune essere causa di conflitti o almeno di incomprensioni. Per esempio, quando sento qualcosa su qualcuno e vado da un altro e glielo dico; e magari faccio una seconda versione un po’ più ampia e la diffondo. E se riesco a fare più danno, sembra che mi procuri più soddisfazione. Il mondo delle dicerie, fatto da gente che si dedica a criticare e a distruggere, non costruisce la pace. Questa gente è piuttosto nemica della pace e in nessun modo beata.
I pacifici sono fonte di pace, costruiscono pace e amicizia sociale. A coloro che si impegnano a seminare pace dovunque, Gesù fa una meravigliosa promessa: «Saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Egli chiedeva ai discepoli che quando fossero giunti in una casa dicessero: «Pace a questa casa!» (Lc 10,5). La Parola di Dio sollecita ogni credente a cercare la pace insieme agli altri (cfr 2 Tm 2,22), perché «per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia» (Gc 3,18). E se in qualche caso nella nostra comunità abbiamo dubbi su che cosa si debba fare, «cerchiamo ciò che porta alla pace» (Rm 14,19), perché l’unità è superiore al conflitto.
Non è facile costruire questa pace evangelica che non esclude nessuno, ma che integra anche quelli che sono un po’ strani, le persone difficili e complicate, quelli che chiedono attenzione, quelli che sono diversi, chi è molto colpito dalla vita, chi ha altri interessi. È duro e richiede una grande apertura della mente e del cuore, poiché non si tratta di «un consenso a tavolino o [di] un’effimera pace per una minoranza felice», né di un progetto «di pochi indirizzato a pochi». Nemmeno cerca di ignorare o dissimulare i conflitti, ma di «accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo». Si tratta di essere artigiani della pace, perché costruire la pace è un’arte che richiede serenità, creatività, sensibilità e destrezza.
Seminare pace intorno a noi, questo è santità.


«Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli».
Gesù stesso sottolinea che questo cammino va controcorrente fino al punto da farci diventare persone che con la propria vita mettono in discussione la società, persone che danno fastidio. Gesù ricorda quanta gente è perseguitata ed è stata perseguitata semplicemente per aver lottato per la giustizia, per aver vissuto i propri impegni con Dio e con gli altri. Se non vogliamo sprofondare in una oscura mediocrità, non pretendiamo una vita comoda, perché «chi vuol salvare la propria vita, la perderà» (Mt 16,25).
Non si può aspettare, per vivere il Vangelo, che tutto intorno a noi sia favorevole, perché molte volte le ambizioni del potere e gli interessi mondani giocano contro di noi. San Giovanni Paolo II diceva che «è alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione [del] dono [di sé] e il costituirsi [della] solidarietà interumana». In una tale società alienata, intrappolata in una trama politica, mediatica, economica, culturale e persino religiosa che ostacola l’autentico sviluppo umano e sociale, vivere le Beatitudini diventa difficile e può essere addirittura una cosa malvista, sospetta, ridicolizzata.
La croce, soprattutto le stanchezze e i patimenti che sopportiamo per vivere il comandamento dell’amore e il cammino della giustizia, è fonte di maturazione e di santificazione. Ricordiamo che, quando il Nuovo Testamento parla delle sofferenze che bisogna sopportare per il Vangelo, si riferisce precisamente alle persecuzioni (cfr At 5,41; Fil 1,29; Col 1,24; 2 Tm 1,12; 1 Pt 2,20; 4,14-16; Ap 2,10).
Parliamo però delle persecuzioni inevitabili, non di quelle che ci potremmo procurare noi stessi con un modo sbagliato di trattare gli altri. Un santo non è una persona eccentrica, distaccata, che si rende insopportabile per la sua vanità, la sua negatività e i suoi risentimenti. Non erano così gli Apostoli di Cristo. Il libro degli Atti racconta insistentemente che essi godevano della simpatia «di tutto il popolo» (2,47; cfr 4,21.33; 5,13), mentre alcune autorità li ricercavano e li perseguitavano (cfr 4,1-3; 5,17-18).
Le persecuzioni non sono una realtà del passato, perché anche oggi le soffriamo, sia in maniera cruenta, come tanti martiri contemporanei, sia in un modo più sottile, attraverso calunnie e falsità. Gesù dice che ci sarà beatitudine quando «mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,11). Altre volte si tratta di scherni che tentano di sfigurare la nostra fede e di farci passare per persone ridicole.
Accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità." (87-94 G et E)


Ritornello

Ed è vita, perché Tu sei la Vita;
ed è luce, perché Tu sei la Luce;
ed è verità, perché Tu sei la Verità,
l’unica Via di questa... realtà. 

Per commentare il ritornello riporto alcune cose della Guudium et Exultet, che riguardano proprio l'isegnamento di Gesù che il Papa chiama la grande regola di comportamento:

"Nel capitolo 25 del vangelo di Matteo (vv. 31-46), Gesù torna a soffermarsi su una di queste beatitudini, quella che dichiara beati i misericordiosi. Se cerchiamo quella santità che è gradita agli occhi di Dio, in questo testo troviamo proprio una regola di comportamento in base alla quale saremo giudicati: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,35-36).

Per fedeltà al Maestro
Essere santi non significa, pertanto, lustrarsi gli occhi in una presunta estasi. Diceva san Giovanni Paolo II che «se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi». Il testo di Matteo 25,35-36 «non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia, che proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo». In questo richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi.
Davanti alla forza di queste richieste di Gesù è mio dovere pregare i cristiani di accettarle e di accoglierle con sincera apertura, “sine glossa”, vale a dire senza commenti, senza elucubrazioni e scuse che tolgano ad esse forza. Il Signore ci ha lasciato ben chiaro che la santità non si può capire né vivere prescindendo da queste sue esigenze, perché la misericordia è il «cuore pulsante del Vangelo».
Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda, posso sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente ozioso, un ostacolo sul mio cammino, un pungiglione molesto per la mia coscienza, un problema che devono risolvere i politici, e forse anche un’immondizia che sporca lo spazio pubblico. Oppure posso reagire a partire dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità, una creatura infinitamente amata dal Padre, un’immagine di Dio, un fratello redento da Cristo. Questo è essere cristiani! O si può forse intendere la santità prescindendo da questo riconoscimento vivo della dignità di ogni essere umano?
Questo implica per i cristiani una sana e permanente insoddisfazione. Anche se dare sollievo a una sola persona già giustificherebbe tutti i nostri sforzi, ciò non ci basta. I Vescovi del Canada lo hanno affermato chiaramente mostrando che, negli insegnamenti biblici riguardo al Giubileo, per esempio, non si tratta solo di realizzare alcune buone azioni, bensì di cercare un cambiamento sociale: «Affinché anche le generazioni a venire fossero liberate, evidentemente l’obiettivo doveva essere il ripristino di sistemi sociali ed economici giusti perché non potesse più esserci esclusione»." (95-99 G et E)

Voglio infine riportare i consigli che da il Papa per le comunità:

"In comunità
E’ molto difficile lottare contro la propria concupiscenza e contro le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati. E’ tale il bombardamento che ci seduce che, se siamo troppo soli, facilmente perdiamo il senso della realtà, la chiarezza interiore, e soccombiamo.
La santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due. Così lo rispecchiano alcune comunità sante. In varie occasioni la Chiesa ha canonizzato intere comunità che hanno vissuto eroicamente il Vangelo o che hanno offerto a Dio la vita di tutti i loro membri. Pensiamo, ad esempio, ai sette santi fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria, alle sette beate religiose del primo monastero della Visitazione di Madrid, a san Paolo Miki e compagni martiri in Giappone, a sant’Andrea Taegon e compagni martiri in Corea, ai santi Rocco Gonzáles e Alfonso Rodríguez e compagni martiri in Sud America. Ricordiamo anche la recente testimonianza dei monaci trappisti di Tibhirine (Algeria), che si sono preparati insieme al martirio. Allo stesso modo ci sono molte coppie di sposi sante, in cui ognuno dei coniugi è stato strumento per la santificazione dell’altro. Vivere e lavorare con altri è senza dubbio una via di crescita spirituale. San Giovanni della Croce diceva a un discepolo: stai vivendo con altri «perché ti lavorino e ti esercitino nella virtù».
La comunità è chiamata a creare quello «spazio teologale in cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore risorto». Condividere la Parola e celebrare insieme l’Eucaristia ci rende più fratelli e ci trasforma via via in comunità santa e missionaria. Questo dà luogo anche ad autentiche esperienze mistiche vissute in comunità, come fu il caso di san Benedetto e santa Scolastica, o di quel sublime incontro spirituale che vissero insieme sant’Agostino e sua madre santa Monica: «All’avvicinarsi del giorno in cui doveva uscire di questa vita, giorno a te noto, ignoto a noi, accadde, per opera tua, io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti, che ci trovassimo lei ed io soli, appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della casa che ci ospitava […]. Aprivamo avidamente la bocca del cuore al getto superno della tua fonte, la fonte della vita, che è presso di te […]. E mentre parlavamo e anelavamo verso di lei [la Sapienza], la cogliemmo un poco con lo slancio totale della mente [… così che] la vita eterna [somiglierebbe] a quel momento d’intuizione che ci fece sospirare».
Ma queste esperienze non sono la cosa più frequente, né la più importante. La vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani. Questo capitava nella comunità santa che formarono Gesù, Maria e Giuseppe, dove si è rispecchiata in modo paradigmatico la bellezza della comunione trinitaria. Ed è anche ciò che succedeva nella vita comunitaria che Gesù condusse con i suoi discepoli e con la gente semplice del popolo.
Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari.
Il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa.
Il piccolo particolare che mancava una pecora.
Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine.
Il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda.
Il piccolo particolare di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano.
Il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba.

La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre. A volte, per un dono dell’amore del Signore, in mezzo a questi piccoli particolari ci vengono regalate consolanti esperienze di Dio: «Una sera d’inverno compivo come al solito il mio piccolo servizio, […] a un tratto udii in lontananza il suono armonioso di uno strumento musicale: allora mi immaginai un salone ben illuminato tutto splendente di ori, ragazze elegantemente vestite che si facevano a vicenda complimenti e convenevoli mondani; poi il mio sguardo cadde sulla povera malata che sostenevo; invece di una melodia udivo ogni tanto i suoi gemiti lamentosi […]. Non posso esprimere ciò che accadde nella mia anima, quello che so è che il Signore la illuminò con i raggi della verità che superano talmente lo splendore tenebroso delle feste della terra, che non potevo credere alla mia felicità».
Contro la tendenza all’individualismo consumista che finisce per isolarci nella ricerca del benessere appartato dagli altri, il nostro cammino di santificazione non può cessare di identificarci con quel desiderio di Gesù: che «tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te» (Gv 17,21).

 In preghiera costante
Infine, malgrado sembri ovvio, ricordiamo che la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione. Il santo è una persona dallo spirito orante, che ha bisogno di comunicare con Dio. E’ uno che non sopporta di soffocare nell’immanenza chiusa di questo mondo, e in mezzo ai suoi sforzi e al suo donarsi sospira per Dio, esce da sé nella lode e allarga i propri confini nella contemplazione del Signore. Non credo nella santità senza preghiera, anche se non si tratta necessariamente di lunghi momenti o di sentimenti intensi.
" (140-147 G et E)

Davvero bella questa esortazione e ai gufi che vedono negativo dappertutto, vorrei dire di mettersi anche loro all'ascolto dello Spirito, e aiutare a costruire invece che distruggere.


martedì 3 aprile 2018

Vogliamo essere migliori

Dal CD Ravvivate il cuore e l'anima, una canzone per far capire ai bambini l'importanza della Santa Messa e di come bisogna comportarsi durante la sua celebrazione. Me l'ha ispirata uno scritto un pò particolare, si tratta infatti, di una rivelazione privata ad una veggente sudamericana che si chiama Catalina Rivas. La Madonna le sarebbe apparsa durante una celebrazione facendole vedere e capire tantissime cose. Lo scritto si chiama: "Testimonianza di Catalina Rivas durnate la Messa" (fonte: http://profezie3m.altervista.org/archivio/Rivas_SantaMessa.htm)

È davvero interessante e fa riflettere molto. Aiuta anche i più dubbiosi a farsi un bell'esame di coscienza. Parlo di coloro che si dicono cristiani e vanno a Messa. Non è uno scritto filosofico, ne ideologico. Descrive cosa accade misticamente durante la Messa. L'autrice ha visto, sentito, e ne riporta la sua testimonianza.

Intanto ascoltiamo la canzone...



Il titolo: Vogliamo essere migliori. L'ho pensato proprio perché la canzone servisse a migliorare la qualità della presenza dei bambini alle celebrazioni eucaristiche.

Prima e seconda strofa
Alla Messa non si viene in ritardo.
Gesù ci aspetta ed è già là.
Farlo attendere
è da figli senza amore.

Alla Messa non si viene in ritardo,
perché è il miracolo più grande che c’è.
È il dono dell’Altissimo,
tutto l’Amore che è.


 Nello scritto di Catalina Rivas menzionato proma si legge:

" Era la vigilia del giorno dell’Annunciazione e noi tutti del nostro gruppo eravamo andati a confessarci. Alcune signore del gruppo di preghiera non riuscirono a farlo e rimandarono la confessione al giorno seguente, prima della Santa Messa.
Quando il giorno seguente giunsi in chiesa con un po’ di ritardo, il signor Arcivescovo e i sacerdoti stavano entrando già nel presbiterio. In quel momento la Vergine disse [...]: "Oggi per te è un giorno di apprendistato e voglio che tu faccia molta attenzione perchè, di ciò che sei testimone oggi, dovrai farne partecipe l'umanità".
[...]
Il signor Arcivescovo cominciò la Santa Messa e giunto all'Atto Penitenziale, la SS. Vergine disse: "Dal profondo del tuo cuore, chiedi perdono al Signore per tutte le tue colpe, per averlo offeso, così potrai partecipare degnamente a questo privilegio di assistere alla Santa Messa".
Per una frazione di secondo pensai: "Sono in grazia di Dio, mi sono appena confessata ieri sera". La Madonna rispose:- "E tu credi che da ieri sera non hai offeso il Signore? Lascia che ti ricordi alcune cose. Quando stavi uscendo per venire qui, la ragazza che ti aiuta ti si avvicinò per chiederti alcune cose, e poiché eri in ritardo, sbrigativamente le rispondesti in modo non molto cortese. E' stata una mancanza di carità da parte tua, e dici di non avere offeso Dio...?
Nella strada che hai fatto per venire qui, un autobus ti ha attraversato la strada e ti ha quasi urtato e tu ti sei espressa in maniera poco conveniente contro quel pover'uomo, invece di venire in chiesa a fare le tue orazioni, preparandoti per la Santa Messa. Hai mancato di carità e hai perso la pace, la pazienza. E dici di non aver offeso il Signore?...
E arrivi all'ultimo momento, quando già la processione dei celebranti sta uscendo per celebrare la Messa... e stai per parteciparvi senza una previa preparazione...".
[...]
"Perchè arrivare all'ultimo momento? Dovreste essere qui prima, per poter fare una preghiera e chiedere al Signore di mandare il Suo Santo Spirito, perchè vi conceda uno spirito di pace che scacci via lo spirito del mondo, le preoccupazioni, i problemi e le distrazioni, e poter essere così capaci di vivere questo momento tanto sacro. Invece arrivate quasi all'inizio della celebrazione e vi partecipate come se andaste ad assistere ad un evento qualsiasi, senza nessuna preparazione spirituale. Perché? E' il miracolo più grande, e voi avete la possibilità di vivere il momento del più grande regalo da parte dell'Altissimo, ma non lo sapete apprezzare".
[...]
Era un giorno di festa e si doveva recitare il Gloria. Nostra Signora disse: "Glorifica e benedici con tutto il tuo amore la Santissima Trinità, riconoscendoti una Sua creatura".
[...]
Arrivò il momento della Liturgia della Parola e la Vergine mi fece ripetere: "Signore, voglio oggi ascoltare la Tua Parola e dare frutto abbondante; che il Tuo Santo Spirito mondi il terreno del mio cuore, perchè la Tua Parola cresca e si sviluppi, purifica il mio cuore perchè sia ben disposto".
"Voglio che tu stia attenta alle letture e a tutta l'omelia del sacerdote. Ricorda che la Bibbia dice che la Parola di Dio non ritorna senza aver dato frutto. Se stai attenta, resterà qualcosa in te di tutto quello che ascolti. Devi cercare di ricordare tutto il giorno quelle Parole, che hanno lasciato in te un’impronta. Potranno essere una volta due frasi, poi sarà l'intera lettura del Vangelo, qualche volta solo una parola, da assaporare per il resto del giorno; questo si farà carne in te perchè è questa la maniera di trasformare la vita, e fare in modo che la parola di Dio trasformi".
"E ora, dillo al Signore che sei qui per ascoltare ciò che tu vuoi che Egli dica oggi al tuo cuore".
Ringrazio nuovamente Dio perché mi dà l’opportunità di ascoltare la Sua Parola; chiedo perdono per aver mantenuto un cuore tanto duro per così tanti anni e per aver insegnato ai miei figli ad andare alla Messa la domenica perché così comandava la Chiesa, e non per amore e per il bisogno di riempirsi di Dio...
Io che avevo assistito a tante Eucaristie, più che altro come un obbligo, e avevo creduto con questo di essere salva... Di viverla, nemmeno per sogno, di porre attenzione alle letture e alla omelia del sacerdote ancor meno. Quale dolore ho provato per tanti anni persi inutilmente, a causa della mia ignoranza!... Quanta superficialità nelle Messe alle quali assistiamo quando c’è un matrimonio, o una Messa da morto, oppure perché ci teniamo a farci vedere dagli altri! Quanta ignoranza riguardo questa nostra Chiesa e riguardo i Sacramenti! Quanto spreco nel voler istruirci e coltivarci nelle cose del mondo, che in un momento possono sparire senza che nulla rimanga, e che alla fine della vita non ci servono neanche ad aggiungere un minuto alla nostra esistenza! Ma di quello che ci farà guadagnare un poco di cielo sulla terra e poi la vita eterna, non sappiamo niente! E ci consideriamo uomini e donne istruiti...! " (fonte: http://profezie3m.altervista.org/archivio/Rivas_SantaMessa.htm)

 Lancio e ritornello 
 
Vogliamo essere migliori, nel giorno del Signore.
Vogliamo essere migliori, nel giorno del Signore.

Si arriva prima ci si prepara:
una preghiera e anche due.
Perché Gesù sia in mezzo a noi,
in mezzo a noi.


Ancora dallo scritto di Catalina Rivas: 

" Un attimo dopo si arrivò all'Offertorio e la Vergine Santissima disse: "Recita così: «Signore, Ti offro tutto ciò che sono, quello che ho, quello che posso, tutto pongo nelle Tue mani. Eleva Tu, Signore, quel poco che io sono. Per i meriti del Tuo Figlio, trasformami, Dio Altissimo. Ti supplico per la mia famiglia, per i miei benefattori, per ogni membro del nostro apostolato, per tutte le persone che ci combattono, per quelli che si raccomandano alle mie povere preghiere... Insegnami ad umiliare il mio cuore affinché il loro cammino sia meno duro!» E' così che pregavano i Santi e così voglio che facciate voi".
[...]
All'improvviso, cominciarono ad alzarsi in piedi delle persone che non avevo visto prima. Era come se dal fianco di ogni persona che si trovava nella Cattedrale, uscisse un'altra persona. La chiesa si riempì così di varie persone giovani e belle, vestite con tuniche bianchissime. Si diressero fino al corridoio centrale procedendo poi verso l'altare.
Disse nostra Madre: "Osserva, sono gli Angeli Custodi di ognuna delle persone che si trovano qui. E' il momento nel quale il vostro Angelo Custode porta le vostre offerte e preghiere all'Altare del Signore".
[...]
Alcuni di loro portavano un vassoio d'oro con qualcosa che risplendeva di una luce bianco-dorata. Disse la Vergine: "Sono gli angeli Custodi che stanno offrendo questa Santa Messa per molte varie intenzioni, di quelle persone che sono coscienti di ciò che significa questa celebrazione, di quelle che hanno qualcosa da offrire al Signore...
In questo momento..., offrite le vostre pene, i vostri dolori, le vostre speranze, le vostre gioie e tristezze, le vostre richieste. Ricordatevi che la Messa ha un valore infinito, quindi siate generosi nell'offrire e nel chiedere".
Dietro ai primi Angeli, ne venivano altri che non avevano niente nelle mani, le avevano vuote. Disse la Vergine: "Sono gli Angeli delle persone che pur essendo qui, non offrono mai niente, che non sono interessate a vivere ogni momento liturgico della Messa e non hanno offerte da portare all'altare del Signore".
Per ultimi, vi erano degli altri Angeli che erano piuttosto tristi, con le mani giunte in preghiera, ma con gli occhi bassi: "Sono gli Angeli Custodi delle persone che pur essendo qui, è come se non ci fossero, vale a dire delle persone che sono venute per forza, che sono venute perchè si sentono obbligate, ma senza nessun desiderio di partecipare alla Santa Messa, e così gli Angeli vanno tristemente perchè non hanno niente da portare all'Altare, salvo le proprie preghiere.
Non intristite il vostro Angelo Custode... Pregate molto, pregate per la conversione dei peccatori, pregate per la pace nel mondo, per i vostri famigliari, per il vostro prossimo e per quelli che si raccomandano alle vostre preghiere. Pregate, pregate molto, non solo per voi, ma anche per gli altri.
Ricordatevi che l'offerta più gradita al Signore la fate quando offrite voi stessi come olocausto, affinché Gesù, nello scendere, vi trasformi con i Suoi propri meriti. Cosa avete da offrire al Padre che sia solo vostro? Il nulla ed il peccato, ma se vi offrite in unione ai meriti di Gesù, quell’offerta è gradita al Padre".
[Catalina vede ora tante persone vestite con tuniche di vari colori; N.d.R.] Tutti questi si inginocchiavano al canto "Santo, Santo, Santo il Signore...". Nostra Signora disse: "Sono tutti i Santi e i Beati del Cielo e fra di essi vi sono anche le anime dei vostri famigliari che godono già della Presenza di Dio".
[...]
La Vergine disse: "Ti colpisce il fatto di vedermi un poco più indietro di Monsignore [il celebrante; N.d.T.], vero? Ma così deve essere... Per quanto mi ami, il Figlio Mio non Mi ha dato la dignità che dà ad un sacerdote, di poterlo continuamente portare quotidianamente tra le Mie mani, come lo fanno le mani sacerdotali. Ecco perchè provo un profondissimo rispetto per il sacerdote e per quel miracolo che Dio realizza per suo mezzo, e che mi obbliga qui ad inginocchiarmi".
Dio mio, quanta dignità, quanta grazia riversa il Signore sulle anime sacerdotali, e noi non ne siamo coscienti, e talvolta, nemmeno tanti di loro!
Di fronte all'altare cominciarono a presentarsi delle ombre di persone di colore grigio, che sollevavano le mani verso l'alto. Disse la Vergine Santissima: "Sono anime benedette del Purgatorio che aspettano le vostre preghiere per trovare refrigerio. Non cessate di pregare per loro. Pregano per voi, ma non possono pregare per loro stesse, siete voi che dovete pregare per loro, per aiutarle ad uscire per incontrarsi con Dio e godere eternamente di Lui.
Come vedi, Io sono qui sempre... La gente fa pellegrinaggi, cerca i luoghi delle apparizioni, e questo va bene per tutte le grazie che si ricevono in quei luoghi, ma in nessuna apparizione, in nessun luogo Io sono presente per più tempo, come durante la Santa Messa. Ai piedi dell'Altare dove si celebra l'Eucaristia, sempre Mi potrete trovare; Io rimango ai piedi del Tabernacolo insieme agli Angeli, perchè Io sto sempre con Lui".
Lo dico con dolore: la maggioranza degli uomini, ancor più delle donne, se ne stanno in piedi [durante la consacrazione] con le braccia incrociate come se dovessero rendere un omaggio al Signore da pari a pari, da uguale ad uguale. Disse la Vergine: "Dillo agli esseri umani, che mai un uomo è così davvero uomo come quando piega le ginocchia davanti a Dio". " (fonte: http://profezie3m.altervista.org/archivio/Rivas_SantaMessa.htm)

Terza strofa

Dalla Messa non si va via prima.
Si aspetta sempre la benedizione.
Nel Sacerdote c’è Gesù,
non puoi andar via, prima tu.

" Il celebrante pronunciò le parole della "Consacrazione". Era una persona di statura normale, ma all'improvviso cominciò a crescere, a riempirsi di luce, di una luce soprannaturale, tra il bianco e il dorato che lo avvolgeva, e diventava fortissima nella parte del volto, tanto che non si potevano più vedere i suoi lineamenti. Quando sollevò l'Ostia, vidi che le sue mani avevano sul dorso dei segni, dai quali usciva molta luce. Era Gesù!... Era Lui che con il Suo Corpo avvolgeva quello del celebrante. [...]
Istintivamente abbassai la testa e Nostra Signora disse: "Non distogliere lo sguardo, alza gli occhi, contemplalo, incrocia il tuo sguardo con il Suo e ripeti la preghiera di Fatima: «Gesù mio, io credo, adoro spero e Ti amo. Ti chiedo perdono per tutti quelli che non credono, non adorano, non sperano e non ti amano». Perdono e Misericordia... Adesso digli quanto lo ami, rendi il tuo omaggio al Re dei Re".
[...]
Non appena Monsignore pronunciò le parole della Consacrazione del vino, insieme alle sue parole, incominciarono ad apparire dei bagliori come lampi, nel cielo e sullo sfondo. La chiesa non aveva più né tetto, né pareti, tutto era buio, vi era solamente quella luce che brillava nell'Altare.
All'improvviso sospeso in aria vidi Gesù Crocifisso, dalla testa sino alla parte bassa del torace. Il tronco trasversale della croce era sostenuto da grandi e forti mani. Dal centro di quello splendore, si distaccò un piccolo lume come una colomba molto piccola e molto brillante che, fatto velocemente il giro della chiesa, si posò sulla spalla sinistra del signor Arcivescovo [il celebrante; N.d.R.], che continuava ad essere Gesù, perchè potevo distinguere la Sua capigliatura, le Sue piaghe luminose, il Suo grandioso corpo, ma non vedevo il Suo volto.
In alto, Gesù Crocifisso, stava con il viso reclinato sulla spalla destra. Si vedevano sul volto e sulle braccia i segni dei colpi e delle ferite. Sul costato destro, all'altezza del petto, vi era una ferita da cui usciva a fiotti verso sinistra del sangue, e verso destra qualcosa che sembrava acqua, però molto brillante; ma erano piuttosto fasci di luce quelli che si dirigevano verso i fedeli, muovendosi a destra e a sinistra. Mi stupiva la quantità di sangue che traboccava dal Calice e pensai che avrebbe impregnato e macchiato tutto l'Altare, ma non ne cadde una sola goccia!
In quel momento la Vergine disse: "Te l'ho già ripetuto, questo è il miracolo dei miracoli, per il Signore non esistono né tempo, né distanza e nel momento della Consacrazione, tutta l'Assemblea viene trasportata ai piedi del Calvario nell'istante della Crocifissione di Gesù".
Può qualcuno immaginarselo? I nostri occhi non lo possono vedere, ma tutti siamo là, nello stesso momento nel quale lo stanno crocefiggendo e mentre chiede perdono al Padre, non solamente per quelli che lo uccidono, ma per ognuno dei nostri peccati: "Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno!".
A partire da quel giorno, non mi importa se mi prendono per pazza, io chiedo a tutti di inginocchiarsi, chiedo a tutti di cercare di vivere con il cuore e con tutta la sensibilità di cui sono capaci quel privilegio che il Signore ci concede.
Quando stavamo per cominciare a pregare il Padre Nostro, parlò il Signore, per la prima volta durante la celebrazione, e disse: "Ecco, voglio che tu preghi con la maggiore profondità di cui sei capace e che, in questo momento, ti ricordi della persona o delle persone che ti hanno causato più male nella tua vita, affinché tu li abbracci e dica loro con tutto il cuore: «Nel Nome di Gesù io ti perdono e ti auguro la pace. Nel Nome di Gesù io ti chiedo perdono e desidero la mia pace». Se questa persona merita la pace, la riceverà e ne avrà un gran bene; se questa persona non è capace di aprirsi alla pace, la pace tornerà al tuo cuore. Ma non voglio che tu riceva o dia la pace ad altre persone, fino a quando non sei capace di perdonare e di provare quella pace dapprima nel tuo cuore".
"Fate attenzione a quello che fate" - continuò il Signore - "Voi ripetete nel Padre Nostro: perdonaci come noi perdoniamo quelli che ci offendono. Se siete capaci di perdonare e non, come dicono alcuni, di dimenticare, state mettendo delle condizioni a Dio. State dicendo: perdonami soltanto come io sono capace di perdonare, non di più".
Non so come spiegare il mio dolore, nel comprendere quanto possiamo ferire il Signore e quanto possiamo fare male a noi stessi con tanti rancori, con i cattivi sentimenti e le cose brutte che nascono dai complessi e dalla suscettibilità. Perdonai, perdonai di cuore e chiesi perdono a tutti quelli che talvolta mi avevano offeso, per sentire la pace del Signore. " http://profezie3m.altervista.org/archivio/Rivas_SantaMessa.htm)

Secondo lancio e ritornello e ripetizione del lancio

Vogliamo essere migliori, nel giorno del Signore.
Vogliamo essere migliori, nel giorno del Signore.

Si va via dopo aver ringraziato:
una preghiera e anche due,
perché Gesù resti con noi,
resti con noi.

Vogliamo essere migliori, nel giorno del Signore.
Vogliamo essere migliori, nel giorno del Signore.

Vogliamo essere migliori, nel giorno del Signore.
Vogliamo essere migliori, nel giorno del Signore


" Arrivò il momento della Comunione dei celebranti [...] la Vergine disse: "Questo è il momento di pregare per il celebrante e per i sacerdoti che lo accompagnano, ripeti con me: Signore, benedicili, santificali, aiutali, purificali, amali, abbine cura, sostienili con il tuo amore... Ricordatevi di tutti i sacerdoti del mondo, pregate per tutte le anime consacrate...".
Amati fratelli, questo è il momento in cui dobbiamo pregare perché loro sono la Chiesa, così come lo siamo anche noi laici. Molte volte i laici esigono molto dai sacerdoti, però siamo incapaci di pregare per loro, di capire che sono persone umane, di comprendere e apprezzare la solitudine che molto spesso può circondare un sacerdote.
Dobbiamo capire che i sacerdoti sono persone come noi e che hanno bisogno di comprensione, di assistenza, che hanno bisogno di affetto e di attenzioni da parte nostra, perché stanno dando la loro vita per ognuno di noi, come Gesù, consacrandosi a Lui.
Il Signore vuole che la gente del gregge che Dio ha affidato loro, preghi e aiuti il proprio Pastore a santificarsi. Un giorno o l’altro, quando saremo dall’altra parte, comprenderemo la meraviglia compiuta dal Signore nel darci dei sacerdoti che ci aiutano a salvare la nostra anima.
[...]
La gente cominciò ad uscire dai banchi per andare a comunicarsi [...] Il Signore mi disse: "Aspetta un momento, voglio che tu osservi qualcosa...". Per un impulso interiore alzai gli occhi fino alla persona che andava a prendere la comunione nella lingua dalle mani del sacerdote. Devo precisare che questa persona [...] non si era potuta confessare la sera prima e lo fece quella mattina, prima della Santa Messa. Quando il sacerdote ebbe posto la Sacra Ostia sulla sua lingua, vi fu come un lampo di luce; quella luce di colore bianco dorato intenso, attraversò questa persona prima dalla spalla e poi circondando la spalla, gli omeri e la testa. Disse il Signore: "E' così che Io Mi compiaccio nell'abbracciare un'anima che viene a ricevermi col cuore puro!". Il tono di Gesù era quello di una persona contenta.
[...]
Quando mi diressi a ricevere la comunione, Gesù mi ripeté: "L'Ultima Cena fu il momento di maggiore intimità con i Miei. In quell'ora dell'amore, istituii quello che agli occhi degli uomini potrebbe sembrare la più grande pazzia, farmi prigioniero d'Amore. Istituii l'Eucaristia. Volli rimanere con voi fino alla fine dei secoli, perchè il Mio Amore non poteva sopportare che rimanessero orfani quelli che amavo più della Mia Vita...".
[...]
Quando tornai al mio posto, mentre mi inginocchiavo il Signore mi disse: "Ascolta...". [in quel momento una signora, seduta davanti a Catalina che aveva appena preso la Comunione, senza aprire bocca disse]: "Signore, ricordati che siamo alla fine del mese e che non ho i soldi per pagare l'affitto, la rata della macchina, il collegio dei bambini, devi fare qualcosa per aiutarmi... Per favore, fa che mio marito smetta di bere tanto, non posso sopportare più le sue ubriachezze, e mio figlio minore perderà di nuovo l'anno se non lo aiuti, questa settimana ha gli esami... e non dimenticarti della vicina che deve cambiare casa, che lo faccia una buona volta perchè io non la posso sopportare...".
[...] Gesù mi disse con un tono triste: "Ti sei resa conto? Non mi ha detto una sola volta che Mi ama, non una sola volta ha dato segni di gratitudine per il dono che le ho fatto di far scendere la Mia Divinità fino alla sua povera umanità, per elevarla a Me. Non una sola volta ha detto: «grazie, Signore». E' stata una litania di richieste... e sono così quasi tutti quelli che vengono a ricevermi.
Io sono morto per amore e sono risuscitato. Per amore aspetto ognuno di voi e per amore rimango con voi... ma voi non vi rendete conto del fatto che Io ho bisogno del vostro amore. Ricorda che Sono il Mendicante d'Amore in quest'ora sublime per l'anima".
[...]
Quando il celebrante stava per impartire la benedizione, la Vergine Santissima disse: "Fai attenzione, osserva bene... Invece di fare il segno della Croce, voi fate un ghirigoro. Ricorda che questa benedizione può essere l'ultima che ricevi nella tua vita dalla mano di un sacerdote. Tu non sai se uscendo da qui, morirai o no, e non sai se avrai l'opportunità che un altro sacerdote ti dia una benedizione. Quelle mani consacrate ti stanno dando la benedizione nel Nome della Santissima Trinità, pertanto, fai il Segno della Croce con rispetto e come se fosse l'ultimo della tua vita".
[...]
[subito dopo la fine della Messa, Gesù disse:] "Non andate via di corsa dopo terminata la Messa, rimanete un momento in Mia compagnia, traetene profitto e lasciate che anche Io possa trarre profitto dalla vostra compagnia...".
[... Catalina chiede a Gesù:] Signore quanto rimani davvero, dopo la comunione? Suppongo che il Signore abbia riso della mia ingenuità, perché disse: "Tutto il tempo che tu vorrai tenermi con te. Se mi parli durante tutto il giorno, dedicandomi qualche parola durante le tue faccende, Io ti ascolterò. Io sono sempre con voi, siete voi che vi allontanate da Me. Uscite dalla Messa, e per quel giorno è quanto basta; avete osservato il giorno del Signore, e tutto finisce lì, e non pensate che Mi piacerebbe condividere la vostra vita familiare con voi almeno in quel giorno.
Voi nelle vostre case avete un luogo per tutto, e una stanza per ogni attività: una camera per dormire, un'altra per cucinare, una per mangiare, ecc.. Qual'è il luogo che hanno destinato a Me? Deve essere un luogo nel quale non soltanto tenete una immagine permanentemente impolverata, ma un luogo nel quale almeno per cinque minuti al giorno la famiglia si riunisce a ringraziare per la giornata, per il dono della vita, a pregare per le necessità quotidiane, chiedere benedizioni, protezione, salute... Tutti hanno un posto nelle vostre case, tranne Io.
Gli uomini programmano la loro giornata, la settimana, il semestre, le vacanze ecc.. Sanno in quale giorno riposeranno, in che giorno andranno al cinema o ad una festa, a visitare la nonna o i nipoti, i figli, gli amici, quando andranno a divertirsi. Ma quante famiglie dicono almeno una volta al mese: «Questo è il giorno in cui dobbiamo andare a visitare Gesù nel Tabernacolo» e tutta la famiglia viene a fare conversazione con Me, a sedersi di fronte a Me e a parlarmi, a raccontarmi ciò che è accaduto negli ultimi giorni, raccontarmi i problemi, le difficoltà che hanno, chiedermi ciò di cui hanno necessità... Farmi partecipe delle loro faccende! Quante volte?
Io so tutto, leggo nel più profondo dei vostri cuori e delle vostre menti, però Mi piace che siate voi a raccontarmi le vostre cose, che me ne facciate partecipe come uno della famiglia, come con l'amico più intimo. Quante grazie perde l'uomo perchè non Mi dà un posto nella sua vita...".
[...]
"Volli salvare la Mia creatura, perchè il momento di aprirle la porta del Cielo è stato pieno di troppo dolore...
Ricorda che nessuna madre ha nutrito il proprio figlio con la sua carne. Io sono arrivato a questo eccesso d'Amore per comunicarvi i Miei meriti.
La Santa Messa sono Io stesso che prolungo la Mia vita e il Mio Sacrificio sulla Croce in mezzo a voi. Senza i meriti della Mia Vita e del Mio Sangue, che cosa avete voi per presentarvi davanti al Padre? Il nulla, la miseria, il peccato...
Voi dovreste sorpassare in virtù gli Angeli e gli Arcangeli, perchè loro non hanno la fortuna di ricevermi come alimento, voi sì. Essi bevono una goccia della sorgente, ma voi che avete la grazia di ricevermi, potete bere tutto l'oceano...".
L'altra cosa di cui il Signore mi parlò con dolore fu di quelle persone che si incontrano con Lui per abitudine. Di quelle che hanno perso il meraviglioso stupore di ogni incontro con Lui. Di come l'abitudine faccia diventare certe persone così tiepide che non hanno mai niente di nuovo da dire a Gesù quando Lo ricevono. Delle non poche anime consacrate che perdono l’entusiasmo di innamorarsi del Signore e fanno della loro vocazione un mestiere, una professione, alla quale non si dedicano più di quanto sia necessario, ma senza sentimento...
Quindi il Signore mi parlò dei frutti che ogni comunione deve portare in noi. Accade infatti che ci sia della gente che riceve il Signore ogni giorno, ma non cambia la propria vita.
Dedicano molte ore alla preghiera, compiono molte opere, ecc. ecc., ma la loro vita non si trasforma, e una vita che non si trasforma non può dare frutti autentici per il Signore. I meriti che riceviamo nell’Eucaristia debbono portare frutti di conversione in noi e frutti di carità per i nostri fratelli.
Noi laici abbiamo un incarico molto importante dentro la nostra Chiesa, non abbiamo nessun diritto di tacere davanti all’invito che ci fa il Signore, come lo fa ad ogni battezzato, di andare ad annunciare la Buona Novella. Non abbiamo alcun diritto di ricevere tutte queste conoscenze e non darle agli altri, e così permettere che i nostri fratelli muoiano di fame, mentre noi abbiamo tanto pane nelle nostre mani.
Non possiamo stare a guardare mentre la nostra Chiesa cade in rovina, perché siamo comodi nelle nostre Parrocchie, nelle nostre case, ricevendo e continuando a ricevere tanto dal Signore: la Sua Parola, le omelie del sacerdote, i pellegrinaggi, la Misericordia di Dio nel Sacramento della confessione, l’unione meravigliosa attraverso il cibo Eucaristico, i discorsi del tale o del tal’altro predicatore.
In altre parole, stiamo ricevendo tanto e non abbiamo il coraggio di uscire dalle nostre comodità, di andare in un carcere, in una casa di correzione, di parlare con chi è più bisognoso, di dirgli che non si dia per vinto, che è nato cattolico e che la sua Chiesa ha bisogno di lui, anche lì dove è, sofferente, perché questo suo dolore servirà per redimere altri, perché questo sacrificio gli farà guadagnare la vita eterna.
Non siamo capaci di andare negli ospedali dove ci sono i malati terminali e, recitando la coroncina alla Divina Misericordia, aiutarli con la nostra preghiera in quei momenti di lotta tra il bene e il male, per liberarli dalle insidie e dalle tentazioni del demonio. Ogni moribondo ha paura, e anche soltanto tenendo loro la mano, parlando loro dell’amore di Dio e della meraviglia che li aspetta nel Cielo con Gesù e Maria e insieme ai propri cari che sono già partiti, reca loro conforto.
L’ora che stiamo vivendo, non ammette che accettiamo l’indifferenza.
Dobbiamo essere per i nostri sacerdoti la mano d’aiuto che va dove loro non possono arrivare. Ma per fare questo, per averne il coraggio, dobbiamo ricevere Gesù, vivere con Gesù, alimentarci di Gesù. Abbiamo paura di impegnarci un po’ di più e quando il Signore dice: "Cerca prima il Regno di Dio e il resto ti sarà dato in aggiunta", è ricevere tutto. È cercare il Regno di Dio con tutti i mezzi e... aprire le mani per ricevere TUTTO in aggiunta; perché Egli è il Padrone che paga meglio, l’unico che è attento anche alle tue più piccole necessità!" http://profezie3m.altervista.org/archivio/Rivas_SantaMessa.htm)