giovedì 31 dicembre 2015

Mi hai amato


Dal CD "In fondo all'Anima" (2015), questa canzone mi è molto cara. L'ho scritta a marzo del 2014 e subito l'ho voluta arrangiare e inserirla nel CD.



Cosa me l'ha ispirata?

Il continuo sbarco di profughi africani a Lampedusa, il giro a largo per l'Egeo di siriani che scappano dalla guerra e le risposte inadeguate delle politiche occidentali che devono guadagnare anche sulle sventure degli altri. Un grido dunque, l'ennesimo di questa umanità sempre più alla deriva. Quante volte il dolore di questa gente mi bussa al cuore e mi trova stanco di assistere alle immagini di naufragi, naufraghi e corpi di bambini senza vita sulle spiagge delle nostre povere sicurezze...

Lo straniero è mio fratello, anche se diverso da me, per colore della pelle, della religione, delle convinzioni ideali e per stili di vita... La paura della diversità e l'appiattimento dell'omologazione sono gli estremi che non dovrebbero riguardare noi cristiani.

E' venuto a fare proprio questo, Gesù-Dio, umanandosi.

 L'esempio di accoglienza che Gesù ci ha lasciato, verso tutti, senza discriminare nessuno, con la sola clausola, che esige di ripercorrere i suoi stessi passi, non per omologarci, ma per ritrovare la "Via" dove le diversità sono ricchezza, e dove le confusioni create dal tentatore, fanno deviare dall'originale creato da Dio.
La Parola di Vita del mese di Maggio 2016 ci invita ad amare i popoli altrui come il proprio, ammesso che lo amiamo il nostro popolo...



Cerchiamo ora di spiegare il testo.

Mi hai amato

Il titolo dovrebbe avere un bel punto interrogativo. E' la domanda che Gesù ci farà all'incontro con Lui. Ma è bello anche vederlo come affermazione. Ossia: "Sì, Signore... ci ho provato ad amarti in ogni prossimo..."



Prima strofa - prima parte

Il tempo passa e va, verso l’Eternità.
Dio c’incontrerà e sarà gioia o dolore.

Proprio così il tempo passa inesorabile per andare verso l'Eternità: lì siamo diretti. Anche gli atei ci arriveranno per constatare la grande verità anche su di loro. Leggendo la biografia della mistica di Paravati, Natuzza Evolo, mi ha tanto impressionato il dono che Dio le aveva dato, quello della xenoglossia.


 Natuzza Evolo - trasmissione di Porta a Porta a un anno dalla morte - terza parte...


 Natuzza Evolo - trasmissione di Porta a Porta a un anno dalla morte - settima parte.
Altre parti si trovano su Youtube...

Alcune anime di "trasumanati" potevano parlare attraverso di lei. Illustri personaggi della nostra cultura prendono la parola per comando del Signore. Dante Alighieri dice di aver avuto 500 anni di Purgatorio per aver giudicato irresponsabilmente nella Divina Commedia;  e un giornalista cattolico dalla firma importante, dannato e all'inferno per aver omesso di confessare dei peccati mortali, non avendone avuto il tempo di confessarli e Benedetto Croce... Riporto la pagina dal libro di Luciano regolo, Il segreto di una vita... 


Dal libro di Luciano Regolo, Il miracolo di una vita...


Queste storie ci devono far pensare, meditare, che il tempo che ci è dato è prezioso e non va sciupato, banalizzato, ma vissuto bene per custodire il Dio ricevuto nel Battesimo e per meritarsi un giorno "il posto" che Gesù ci ha promesso in Paradiso...


Prima strofa - seconda parte

Il tempo passa e va, inesorabile.
Meglio prepararsi e vivere per incontrare Dio.

Prepararsi dunque, all'incontro, con ogni sforzo, con ogni volontà per non lasciarsi sorprendere all'improvviso dall'inesorabile evento: la morte.
Dice Gesù:
«Ho dettato un’Ora Santa per coloro che lo desideravano. Ho svelato la mia Ora di Agonia del Getsemani per darti un gran premio, perché non vi è atto di fiducia più grande fra amici che quello di svelare all’amico il proprio dolore. Non è il riso e il bacio prova suprema d’amore, ma il pianto e il dolore reso noto all’amico. Tu, amica mia, lo hai conosciuto. Per quando eri nel Getsemani. Ora sei sulla Croce. E senti pene di morte. Appoggiati al tuo Signore mentre ti dà un’Ora di preparazione alla morte.

I.
“Padre mio, se è possibile passi da me questo calice”.
Non è una delle sette Parole della Croce. Ma è già parola di passione. È il primo atto della Passione che inizia. È la necessaria preparazione per le altre fasi dell’olocausto. È invocazione al Dator della vita, rassegnazione, umiltà, è orazione in cui si intrecciano, nobilitandosi la carne e perfezionandosi l’anima, la volontà dello spirito e la fralezza della creatura che ripugna alla morte.
“Padre!...”. Oh! è l’ora in cui il mondo si allontana dai sensi e dal pensiero mentre si avvicina, come meteora che scende, il pensiero dell’altra vita, dell’ignoto, del giudizio. E l’uomo, sempre un pargolo anche se centenario, come un bambino spaurito, rimasto solo, cerca il seno di Dio.
Marito, moglie, fratelli, figli, genitori, amici... Erano tutto finché la vita era lontana dalla morte, finché la morte era un pensiero nascosto sotto nebbie lontane.
Ma adesso che la morte esce da sotto al velo e avanza, ecco che per un capovolgimento di situazione, sono i genitori, i figli, gli amici, i fratelli, il marito, la moglie che perdono i loro tratti decisi, il loro valore affettivo, e si offuscano davanti all’imminente avanzarsi della morte. Come voci che si affievoliscono per la distanza, ogni cosa della terra perde vigore mentre ne acquista ciò che è al di là, ciò che fino a ieri pareva così lontano... E un moto di paura colpisce la creatura.
Se non fosse penosa e paurosa, la morte non sarebbe l’estremo castigo e l’estremo mezzo per espiare concesso all’uomo. Sinché non vi fu la Colpa, la morte non fu morte ma dormizione. E dove non fu colpa non fu morte come per Maria Ss. Io morii perché su Me era tutto il Peccato, e ho conosciuto il ribrezzo del morire.
“Padre!”. Oh! questo Dio tante volte non amato, o amato ultimo, dopo che il cuore ha amato parenti e amici, od ha avuto più indegni amori per creature di vizio, o ha amato le cose come dèi, questo Dio tanto sovente dimenticato, e che ha permesso di dimenticarlo, che ha lasciato liberi di dimenticarlo, che ha lasciato fare, che è stato irriso talora, tal’altra maledetto, tal’altra negato, ecco che risorge nel pensiero dell’uomo e riprende i suoi diritti. Tuona: “io sono!” e per non far morire di spavento con la rivelazione della sua potenza, medica quel potente “io sono” con una parola soave: “Padre”. “io sono Padre tuo”. Non è più terrore. È abbandono il sentimento che dà questa parola. Io, io che dovevo morire, che comprendevo cosa è il morire, dopo avere insegnato agli uomini a vivere chiamando “Padre” l’Altissimo Jeovè, ecco che vi ho insegnato a morire senza  terrore, chiamando “Padre” il Dio che fra gli spasimi dell’agonia risorge o si fa più presente allo spirito del moribondo.
“Padre!”. Non temete! Non temetelo, voi che morite, questo Dio che è Padre! Non viene avanti, giustiziere armato di registri e di scure, non viene avanti cinico strappandovi alla vita e agli affetti. Ma viene aprendovi le braccia, dicendo: “Torna alla tua dimora. Vieni al riposo. Io ti compenserò, ad usura di ciò che qui lasci. E, Io te lo giuro, in seno a Me sarai più attivo per coloro che lasci che rimanendo quaggiù in lotta affannosa e non sempre rimunerata”.
Ma la morte è sempre dolore. Dolore per la sofferenza fisica, dolore per la sofferenza morale, dolore per la sofferenza spirituale. Deve essere dolore per essere mezzo di ultima espiazione nel tempo, lo ripeto. E in un ondeggiare di nebbie, che offuscano e scoprono in alterna vicenda ciò che nella vita si è amato, ciò che ci rende paurosi dell’al di là, l’anima, la mente, il cuore, come nave presa da gran tempesta, passano - da zone calme già nella pace dell’imminente porto ormai vicino, visibile, così sereno che già dà una quiete beata e un senso di riposo simile a quello di chi, terminata quasi una fatica, pregusta la gioia del prossimo riposo - passano a zone in cui la tempesta li scrolla, li colpisce, li fa soffrire, spaurire, gemere. È di nuovo il mondo, l’affannoso mondo con tutti i suoi tentacoli: la famiglia, gli affari; è l’angoscia dell’agonia, è lo spavento dell’ultimo passo... E poi? E poi?... La tenebra investe, soffoca la luce, sibila i suoi terrori...
Dove è più il Cielo? Perché morire? Perché dover morire? E l’urlo gorgoglia già in gola: “Non voglio morire!”.
No, fratelli miei che morite perché giusto è il morire, santo è il morire essendo voluto da Dio. No. Non gridate così! Quell’urlo non viene dalla vostra anima. È l’Avversario che suggestiona la vostra debolezza per farvelo dire. Mutate l’urlo ribelle e vile in un grido d’amore e di fiducia: “Padre, se è possibile passi da me questo calice”. Come l’arcobaleno dopo il temporale, ecco che quel grido riporta la luce, la quiete. Rivedete il Cielo, le sante ragioni del morire, il premio del morire, ossia il ritornare al Padre, e allora comprendete che anche lo spirito, anzi, che lo spirito ha dei diritti più grandi della carne perché esso è eterno e di natura soprannaturale, e ha perciò la precedenza sulla carne, e allora dite la parola che è assoluzione a tutti i vostri peccati di ribellione: “Però non la mia ma la tua volontà sia fatta”.
Ecco la pace, ecco la vittoria. L’angelo di Dio si stringe a voi e vi conforta perché avete vinto la battaglia, preparatoria a far della morte un trionfo.

II
“Padre, perdona loro”.
È il momento di spogliarsi di tutto quanto è peso per volare più sicuri a Dio. Non potete portare con voi né affetti né ricchezze che non siano spirituali e buone.
E non c’è uomo che muoia senza avere da perdonare qualcosa ad uno od a molti suoi simili e in molte cose, per molti motivi. Quale l’uomo che giunga a morire senza aver patito l’acre di un tradimento, di un disamore, di una menzogna, un’usura, un danno qualsiasi, da parenti, consorti, o amici? Ebbene: è l’ora di perdonare per essere perdonati. Perdonare completamente, lasciando andare non solo il rancore, non solo il ricordo, ma anche la persuasione che il nostro motivo di sdegno era giusto. È l’ora della morte. Il tempo, il mondo, gli affari, gli affetti hanno fine, divengono “nulla”. Un solo vero esiste ormai: Dio. A che dunque portare oltre le soglie ciò che è del di qua delle soglie?
Perdonare. E poiché giungere alla perfezione d’amore e di perdono, che è il neppur più dire: “Eppure io avevo ragione”, è molto, troppo difficile per l’uomo, ecco passare al Padre l’incarico di perdonare per noi. Dargli il nostro perdono, a Lui che non è uomo, che è perfetto, che è buono, che è Padre, perché Egli lo depuri nel suo Fuoco e lo dia, divenuto perfetto, a chi merita il perdono.
Perdonare, ai vivi e ai morti. Si. Anche ai morti che sono stati cagione di dolore. La loro morte ha levato molte punte al corruccio degli offesi, talora le ha levate tutte. Ma il ricordo dura ancora. Hanno fatto soffrire, e si ricorda che hanno fatto soffrire. Questo ricordo mette sempre un limite al nostro perdono. No. Ora non più. Ora la morte sta per levare ogni limite allo spirito. Si entra nell’infinito. Levare perciò anche questo ricordo che limita il perdono. Perdonare, perdonare perché l’anima non abbia peso e tormento di ricordi e possa essere in pace con tutti i fratelli viventi o penanti, prima di incontrarsi col Pacifico.
“Padre, perdona loro”. Santa umiltà, dolce amore del perdono dato, che sottintende perdono chiesto a Dio per i debiti verso Dio e verso il prossimo che ha colui che chiede perdono per i fratelli. Atto d’amore. Morire in un atto d’amore è avere l’indulgenza dell’amore. Beati quelli che sanno perdonare in espiazione di tutte le loro durezze di cuore e delle colpe dell’ira.

III
“Ecco tuo figlio”.
Ecco tuo figlio! Cedere ciò che è caro, con previdente e santo pensiero. Cedere gli affetti, e cedersi a Dio senza resistenza. Non invidiare chi possiede ciò che lasciamo. Nella frase potete affidare a Dio tutto quanto vi sta a cuore e che abbandonate, e tutto quanto vi angustia, anche il vostro stesso spirito.
Ricordare al Padre che è Padre. Mettergli nelle mani lo spirito che torna alla Sorgente. Dire: “Ecco. Sono qui. Prendimi con Te perché mi dono. Non cedo per forza di cose. Mi dono perché ti amo come figlio che torna a suo padre”. E dire: “Ecco. Questi sono i miei cari. Te li dono. Questi sono i miei affari, quegli affari che qualche volta mi hanno fatto essere ingiusto, invidioso del prossimo, e che mi hanno fatto dimenticare Te perché mi parevano - lo erano, ma io lo credevo più che non fossero - mi parevano di una importanza capitale per il benessere dei miei, per il mio onore, per la stima che mi attiravano. Ho creduto anche che solo io fossi capace di tutelarli. Mi sono creduto necessario per compirli. Ora vedo... Non ero che un congegno infinitesimale nel perfetto organismo della tua Provvidenza, e molte volte un congegno imperfetto che guastava il lavoro dell’organismo perfetto. Ora che le luci e le voci del mondo cessano e tutto si allontana, vedo... sento... Come le mie opere erano insufficienti, logore, incomplete! Come erano dissonanti dal Bene! Ho presunto di essere io un grande ‘che’. Tu eri - previdente, provvidente, santo - che correggevi i miei lavori e li rendevi utili ancora. Ho presunto. Talora ho anche detto che non mi amavi perché non mi riusciva, come agli altri che invidiavo, ciò che io volevo. Ora vedo. Miserere di me!”.
Umile abbandono, riconoscente pensiero alla Provvidenza in riparazione delle vostre presunzioni, avidità, invidie e sostituzioni di Dio con povere cose umane, con le golosità delle ricchezze diverse.

IV
“Ricordati di me”.
Avete accettato il calice di morte, avete perdonato, avete ceduto ciò che era vostro, persino voi stessi. Avete molto mortificato l’io dell’uomo, molto liberato l’anima da ciò che spiace a Dio: dallo spirito di ribellione, dallo spirito di rancore, dallo spirito di avidità. Avete ceduto la vita, la giustizia, la proprietà, la povera vita, la più povera giustizia, le tre volte povere proprietà umane, al Signore. Novelli Giobbe, siete languenti e spogli davanti a Dio. Potete allora dire: “Ricordati di me”.
Non siete più niente. Non salute, non fierezza, non ricchezza. Non possedete più neppure voi stessi. Siete bruco che può divenire farfalla o marcire nella carcere del corpo per un’ultima estrema ferita allo spirito. Siete fango che torna fango o fango che si muta in stella a seconda che preferite scendere nella cloaca dell’Avversario o ascendere nel vortice di Dio. L’ultima ora decide della vita eterna. Ricordatevelo. E gridate: “Ricordati di me!”.
Dio attende quel grido del povero Giobbe per colmarlo di beni nel suo Regno.
È dolce ad un Padre perdonare, intervenire, consolare. Non attende che questo grido per dirvi: “Sono con te, figlio. Non temere”. Ditela questa parola per riparare a tutte le volte che vi dimenticaste del Padre o foste superbi.

V
“Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Talora sembra che il Padre abbandoni. Non si è che nascosto per aumentare l’espiazione e dare maggior perdono. Può l’uomo lamentarsi con ira di ciò, egli che infinite volte ha abbandonato Iddio? E deve disperare perché Dio lo prova?
Quante cose avete messo nel vostro cuore che non erano Dio! Quante volte foste inerti con Lui! Con quante cose lo avete respinto e scacciato. Avete empito il cuore di tutto. Lo avete poi ferrato e ben chiavistellato perché temevate che Dio entrando potesse disturbare il vostro quietismo accidioso, purificare il suo tempio cacciandone gli usurpatori. Finché foste felici, che vi importava di avere Dio? Dicevate: “Ho già tutto perché me lo sono meritato”. E quando felici non foste, non lo fuggiste mai Dio facendolo causa di ogni vostro male?
Oh! figli ingiusti che bevete il veleno, che entrate nei labirinti, che precipitate nei burroni e nei covi di serpi e altre fiere, e poi dite: “È Dio il colpevole”, se Dio non fosse Padre e Padre santo, che dovrebbe rispondere al vostro lamento delle ore dolorose quando nelle felici lo dimenticaste? Oh! figli ingiusti che pieni di colpe pretendereste di essere trattati come il Figlio di Dio non fu trattato nell’ora dell’olocausto, dite, chi fu il più abbandonato? Non è il Cristo, l’innocente, Colui che per salvare accettò l’abbandono assoluto di Dio dopo averlo amato attivamente sempre? E non avete voi nome di “cristiani”? E non avete il dovere di salvare almeno voi stessi?
Nell’accidia torbida che di sé si compiace e teme disturbo dell’accogliere l’Attivo, non c’è salvezza. Imitate allora Cristo, gettando questo grido nel momento di angoscia più forte. Ma fate che la nota del grido sia nota di mansuetudine e di umiltà, non tono di bestemmia e rimprovero. “Perché mi hai Tu abbandonato, Tu che sai che senza di Te nulla io posso? Vieni, o Padre, vieni a salvarmi, a darmi forza di salvare me stesso perché orrende sono le strette di morte e l’Avversario me ne aumenta ad arte la potenza, mi fischia che Tu non mi ami più. Fatti sentire, o Padre, non per i miei meriti ma proprio perché sono un nulla senza meriti che non sa vincere se è solo e che comprende, ora, che la vita era lavoro per il Cielo”.
Guai ai soli, è detto4. Guai a chi è solo nell’ora della morte, solo con se stesso contro Satana e la carne! Ma non temete. Se chiamerete il Padre, Egli verrà. E questo umile invocarlo espierà i vostri colpevoli torpori verso Dio, le false pietà, gli amori sregolati dell’io, che fanno accidiosi.

VI
“Ho sete”.
Sì, veramente, quando si è capito il vero valore della vita eterna rispetto al metallo falso della vita terrena, quando la purificazione del dolore e della morte è accettata come santa ubbidienza, quando si è cresciuti in sapienza e in grazia presso Dio in poche ore, in pochi minuti talora, più che non si sia cresciuti in molti anni di vita, viene una sete profonda di acque celesti, di celesti cose. Le lussurie di tutte le seti umane sono vinte. Ma viene la soprannaturale sete di possedere Iddio.
La sete dell’amore. L’anima aspira di bere l’amore e di esserne bevuta. Come un’acqua che è piovuta al suolo e non vuole divenire fango ma tornare nuvola, l’anima ora ha sete di salire al luogo dal quale discese. Quasi rotte le muraglie carnali, la prigioniera sente le aure del Luogo d’origine e vi anela con tutta se stessa.
Quale quel pellegrino esausto che vedendo, dopo anni, ormai prossimo il luogo natio, non raduna le forze e prosegue, svelto, tenace, incurante di tutto che non sia arrivare là da dove parti un giorno e tutto il vero suo bene vi lasciò, ed è certo ora  di trovarlo e di gustarlo più ancora, perché fatto esperto del povero bene, che non sazia, trovato nel luogo di esilio?
“Ho sete”. Sete di Te, mio Dio. Sete di averti. Sete di possederti. Sete di darti. Perché sulle soglie fra la terra e il Cielo già si sa capire l’amore di prossimo come va capito, e viene un desiderio di agire per dare Dio al prossimo che lasciamo. La santa operosità dei santi che, granelli morti che divengono spiga, si effondono in amore per dare amore e per fare amare Dio da chi ancora è nelle lotte della terra.
“Ho sete”. Non c’è più che un’acqua che sazi, giunta l’anima alle soglie della Vita:
l’Acqua viva, Dio stesso.
L’Amore vero: Dio stesso. Amore contrapposto ad egoismo. L’egoismo è morto prima della carne nei giusti, e regna l’amore. E l’amore grida: “Ho sete di Te e di anime. Salvare. Amare. Morire per essere libero di amare e di salvare. Morire per nascere. Lasciare per possedere. Rifiutare ogni dolcezza, ogni conforto perché tutto è vanità quaggiù, e l’anima vuole solo tuffarsi nel fiume, nell’oceano della Divinità, bere di Essa, essere in Essa, senza più sete, perché la Fonte d’Acqua della Vita l’avrà accolta”.
Avere questa sete per riparare al disamore e alla lussuria.

VII
“Tutto è compiuto”.
Tutte le rinunce, tutte le sofferenze, tutte le prove, le lotte, le vittorie, le offerte: tutto. Ormai non c’è più che da presentarsi a Dio. Il tempo concesso alla creatura per divenire un dio, a Satana per tentarla, è compiuto. Cessa il dolore, cessa la prova, cessa la lotta. Restano soltanto il giudizio, l’amorosa purificazione, o viene, beatissima, la dimora immediata5 del Cielo. Ma quanto è terra, quanto è volontà umana, ha fine.
Tutto è compiuto! La parola della completa rassegnazione o del gioioso riconoscimento di aver finito la prova e consumato l’olocausto. Non contemplo coloro che muoiono in peccato mortale, i quali non dicono, essi, “tutto è compiuto”, ma con un urlo di vittoria e un pianto di dolore lo dicono, per loro, l’angelo delle tenebre, vittorioso, e l’angelo custode, vinto. Io parlo ai peccatori pentiti, ai buoni cristiani o agli eroi della virtù. Questi, sempre più vivi nello spirito man mano che la morte prende la carne, mormorano, o gridano, rassegnati o gioiosi: “Tutto è consumato. Il sacrificio ha termine. Prendilo per mia espiazione! Prendilo per mia offerta d’amore!”. Così dicono gli spiriti, con la penultima parola, a seconda che subiscano la morte per legge comune o, anime vittime, la offrano per volontario sacrificio. Ma tanto le une che le altre, giunte ormai alla liberazione dalla materia, reclinano lo spirito sul seno di Dio dicendo: “Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio”.
Maria, sai cosa è spirare con questa elevazione fatta viva nel cuore? È spirare nel bacio di Dio. Vi sono molte preparazioni alla morte. Ma credi che questa, sulle mie parole, è nella sua semplicità la più santa.»


(A questo punto della canzone c'è un pezzo musicale che fa meditare...)

 
Seconda strofa - unica parte


E lì ci chiederà: “Avevo fame e sete,
ero nudo, carcerato, immigrato, clandestino… e tu…

Le domande dell'esame finale sono scritte in Matteo 25. Sappiamo le domande e a queste dovremo rispondere. La carità concreta ci distinguerà, non le parole, nè gli inganni... Un mio amico mi fece notare che tra le opere di misericordia citate nella canzone, manca quella "agli ammalati"... In una canzone non si può scrivere tutto l'importante è sapere che se accogli qualsiasi fratello in nome di Dio, ti rotrovi ad aver accolto Dio stesso, insomma "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me." Mt 25, 40. Qualsiasi atto d'amore dunque...


Parola di Vita di aprile 2016: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me." Mt 25, 40...

Primo ritornello


Se mi hai amato, se mi hai amato
non potrai scappare,
vedrai la tua verità
se hai amato o no,
e sarà buio o nebbia, luce infinita
se mi hai amato o no, se mi hai amato o no….

Cos'altro aggiungere? Bisogna meditarle tutti i giorni queste parole. Davanti a Lui dopo l'esame, vedremo veramente chi siamo e sarà quello che sarà...


Terza strofa con prima e seconda parte

Beati noi se amiamo figli del Padre siamo
e troveremo, capiremo che la vita quaggiù è solo un attimo.

E lì ci chiederà: “Avevo fame e sete,
ero nudo, carcerato, immigrato, clandestino… e tu…

Proprio perché figli, siamo amati con la misura di Dio: fino a dare per noi la VITA. La vita quaggiù anche se durasse 130 anni, è un attimo. Siamo per il Cielo dunque, e dobbiamo prepararci all'incontro. Non perdiamo tempo in altre cose, viviamo solo per questo. Quanti martiri cristiani hanno vissuto con la speranza del Cielo e il Cielo si è aperto. Santo Stefano mentre moriva vedeva il Cielo aperto e il Signore Gesù assiso nella sua Gloria...


 La canzone si conclude con il ritornello che è un ulteriore richiamo a prendere sul serio la vita di quaggiù che spesso va via tra mille cose INUTILI...   Buon ascolto...

P.S.   ESERCIZIODELLA BUONA MORTE

Tutta la nostra vita, o miei cari giovanetti, dev'essere una preparazione a fare una buona morte.
 Per conseguire questo fine importantissimo giova assai praticare il cosiddetto Esercizio della buona morte, il quale consiste nel disporre in un giorno di ogni mese tutti i nostri affari spirituali e temporali, come se di lì a poco dovessimo realmente morire.
 Il modo pratico di fare tale Esercizio è il seguente:
 Fissare per esso (un giorno del mese: l'ultimo giorno di ogni mese) (...);
fare fin dal giorno o dalla sera precedente qualche riflessione sulla morte, che forse è vicina e potrebbe anche sopraggiungere all'improvviso;
pensare come si è passato il mese antecedente, e soprattutto se vi è qualche cosa che turbi la coscienza e lasci inquieta l'anima sulla sorte a cui andrebbe incontro se allora dovesse presentarsi al tribunale di Dio;
e al domani fare una Confessione e Comunione, come se si fosse veramente in punto di morte.
 Siccome poi potrebbe anche succedere che doveste morire di morte subitanea, o per una disgrazia o malattia che non vi lasciasse il tempo di chiamare un prete e di ricevere i Santi Sacramenti,
così vi esorto a far sovente durante la vita, anche fuori della Confessione, atti di dolore perfetto dei peccati commessi ed atti di perfetto amor di Dio, perché un solo di tali atti, congiunto al desiderio di confessarsi, può bastare in ogni tempo, e specialmente negli estremi momenti, a cancellare qualsiasi peccato e aprirci il Paradiso.
 Vi esorto pure a fare di quando in quando il proposito d'accettare, per amor di Dio, dalle, sue sante mani, qualsiasi genere di morte gli piacerà mandarvi, con tutte le sue angosce, pene e dolori.   (Tratto da: "Il giovane provveduto" - Don Bosco).

... Alla prossima canzone per dare e cantare Dio.

sabato 19 dicembre 2015

A Joy

La canzone "A Joy" è una bella canzone che tocca un tema particolare: la prostituzione. Si trova nel CD "In fondo all'anima" (luglio 2015).

Ascoltiamo la canzone...



La canzone nasce dall'esperienza condivisa con altri giovani della parrocchia, dove sono parroco. Ero appena arrivato nel 2000 e alcuni di loro mi invitarono ad andare a trovare sulla strada queste ragazze di colore. Portavamo loro biscotti, latte, thè ... Tra noi c'erano delle ragazze che volentieri venivano ed invitavano queste ragazze di colore a stare la domenica con noi. Sono venute anche a Messa una volta. Mi sembrava di cogliere un certo disagio. La prima volta che andai, mi fecero una grande impressione e le loro storie raccontatemi dagli altri, che già le conoscevano, mi prepararono a vivere un'esperienza di incontro con Gesù reso schiavo dall'ingordigia umana. I senza Dio sono demoni senza dignità. Quell'esperienza si stampò nel profondo e diventando canzone, voleva e vuole dare voce al grido di quelle povere ragazze.

Dal punto di vista musicale la bossanova, ritmo sudamericano, fa da sfondo al racconto doloroso nella canzone. Inoltre ho preferito tenermi su di una tonalità inusuale per me, Fa-, con cui l'estensione della mia voce non raggiunge picchi esagerati come solitamnte mi piace fare.


Prima strofa

Come la notte scura è nera la tua pelle
e mentre i tuoi capelli ridono con te
ripenso al tuo dolore che non ha più sapore.

Davvero dopo tante notti all'addiaccio, il dolore di queste persone diventa opaco, senza volto, o col volto dei tanti che non se ne fregano di usare un corpo per un piacere che non sarà mai amore. Anche il sapore del sesso lo sentono sempre più come schiavitù, slegato dai sentimenti, dalle emozioni. Subiscono "per forza" una condizione mai scelta e mai voluta. Sanno di non avere più dignità e fanno fatica a rientrare nella logica di una realtà più umana. Prima della strada, ci raccontavano, avevano subito ogni tipo di violenza, fisica, morale e spirituale. Basti pensare a come venivano ricattate: "Se non fai come ti diciamo noi, manderemo col woodo gli spiriti a sterminare la famiglia". Un dolore totale, che per viverlo ci vuole la forza del voler esistere a tutti i costi. Un dolore cupo, per poter vivere morte. La notte, dunque, è oscura come la loro pelle, se non di più...

Le notti spirituali sono ancora più dolorose come ci raccontano tanti mistici. E ce n'è una di tutta l'umanità che va superata con un radicamento a Gesù Crocifisso (cfr: http://www.indaco-torino.net/gens/34_07_03.htm articolo di Chiara Lubich). Così si legge nell'articolo di cui ho riportato il link:
"Notte collettiva e culturale
Se consideriamo come è oggi il mondo, vediamo che si presenta veramente come è stato descritto da Benedetto XVI, poco prima di essere eletto Papa.
Egli così si esprimeva: «Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». Fin qui il cardinale Ratzinger.
Giovanni Paolo II non aveva esitato a fare un parallelo tra la notte oscura di Giovanni della Croce e le tenebre del nostro tempo, che, come una sorta di notte collettiva, sono calate sempre più sull’umanità.
Dio, infatti, non è più, soprattutto nell’Occidente, l’interlocutore a cui ci rivolgiamo per risolvere i problemi e i quesiti che ci stanno a cuore. Non condivide più il nostro vivere quotidiano.
(...) 
Gesù Crocifisso e abbandonato
E, sempre nella Novo millennio ineunte, Giovanni Paolo II ha indicato la stella per questo cammino: Gesù crocifisso e abbandonato. «Non finiremo mai – dice – di indagare l’abisso di questo mistero (…): “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34)». E spiega: «“abbandonato” dal Padre, egli si “abbandona” nelle mani del Padre».
Ne ha parlato anche il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, nei testi per la Via crucis del 1994 al Colosseo: «Gesù, il Verbo incarnato, – scrive – ha percorso la distanza più grande che l’umanità perduta possa percorrere: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”».
Gesù abbandonato è stato, quindi, proposto da Giovanni Paolo II a tutta la Chiesa, ma non solo da lui.
Qualche santo antico e alcuni teologi moderni di varie Chiese l’hanno già offerto alla cristianità. E c’è il nostro Movimento, per il quale Gesù abbandonato è centrale.
Ed è proprio questo che oggi vorremmo proporre a tutti: Gesù che grida a gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15, 34).
È la sua passione interiore, è la sua notte più nera, è il culmine dei suoi dolori. È il dramma di un Dio che grida: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Infinito mistero, dolore abissale che Gesù ha provato come uomo e che dà la misura del suo amore per gli uomini, in quanto ha voluto prendere su di sé la separazione che li teneva lontani dal Padre e tra loro, colmandola. E così ci ha redenti.
Il Movimento dei focolari porta con sé una ricchissima esperienza, con la quale dimostra come i dolori degli uomini, specie quelli spirituali, siano riassunti in questo particolare dolore di Gesù.
Non è simile a lui forse l’angosciato, il solo, l’arido, il deluso, il fallito, il debole…? Non è immagine di lui ogni divisione dolorosa tra fratelli, fra Chiese, fra brani di umanità con ideologie contrastanti? Non è figura di Gesù che perde, per così dire, il senso di Dio, che s’è fatto “peccato” per noi – come dice Paolo (2Cor 5, 21) –, il mondo ateizzante, laicista, decaduto in ogni aberrazione?
Amando Gesù Abbandonato troviamo il motivo e la forza per non sfuggire questi mali, queste divisioni, ma per accettarli e consumarli e portarvi così il nostro personale rimedio.
Se riusciamo ad incontrare Lui in ogni dolore, se Lo amiamo, rivolgendoci al Padre come Gesù sulla croce: «Nelle tue mani, Signore, consegno il mio spirito» (Lc 23, 46), allora con Lui la notte sarà un passato, la luce ci illuminerà." 
La resurrezione passa dunque per la croce, amata, ben sofferta e ben offerta.

Seconda strofa

Da tanti giorni ormai dividi con le stelle
e uomini di stagno quell’angolo di strada,
ci siamo a volte noi a darti una speranza.

 Si, le stelle stanno lì e sembrano non ascoltare il dolore dell'umanità. Soprattutto non vedono quegli uomini di stagno o di pietra che consumano indifferenti il loro piacere di un attimo senza immaginare neanche un pò che stanno procurando un'altra ferita a queste donne disumanizzate da tanta violenza. Ma poi c'eravamo noi e forse non solo noi, chissà quanti altri a voler dare una speranza così difficile da far capire e accettare.
Una società che permette questo scempio agli angoli delle sue strade frequentatissime, è una non-società. Questo scempio grida al cospetto di Dio e accumula carboni ardenti sulla testa dell'intera Nazione, che non sa svincolarsi da mafie assassine e che sempre più la stanno ammazzando. Non lo sentite anche voi il grido dell'Italia intera, che delegando la democrazia a politici senza scrupoli e ricchi faccendieri, langue e arranca tra poveri pensionati che scavano tra i rifiuti, giovani disoccupati senza più speranza e futuro e, infine operai sempre più delegittimati, con sempre meno diritti: svenduti con la complicità di dirigenti sindacali senza scrupoli.
Dove vuole andare l'Italia?
Eppure c'è speranza perché c'è un popolo che vive, ma è ancra troppo piccolo. Ma come il seme muore e poi produce molto frutto, come il lievito che poi fermenta tutta la pasta, questi uomini nuovi attendono di portare il loro apporto, che finirà, con l'aiuto di Dio, a superare un'altra notte oscura dell'umanità...


Il ritornello

Vorremmo dire al mondo la tua infelicità,
il grido che ti è dentro e che nessuno sa.
Vorremmo dire a tanti che quella schiavitù
di sesso sulle strade non la fomenti tu...

Il grido di un Dio che sulla croce ha preso su di sé tutto il dolore umano per poterlo rendere "offerta" espiativa, è ora sulle labbra, ma ancor più nell'esistenza di ogni dolore umano e anche in quello di Joy e delle sue amiche. Quella schiavitù non l'ha voluta la povera Joy, certamente quelli del racket della prostituzione, ma dall'altra anche tutti quegli uomini di stagno, dal cuore di pietra, che consumano, sono anche loro i responsabili di questo scempio. Così ragionando più a largo, dovremmo dare la colpa anche a noi che non facciamo niente perché certe cose non accadano. Quando ci chiudiamo nel nostro piccolo abbiamo già peccato di omissione.


... ma ogni uomo a metà, uomo che non è,
disumano, animale, che consuma e non sa,
che fa planare un angelo.

Uomo a metà, ma io direi non-uomo, demonio, è ogni abietto consumatore.
Parlo a te proprio. Cosa ti muove a fare una scelleratezza del genere. Quale ideale pervade la tua esistenza che ti permette di non pensare, solo consumare. Tu sei già maledetto dal tuo stesso peccato che ti farà ereditare un inferno peggiore di quello che fai vivere a quelle ragazze. Puoi sempre pentirti e "...  non peccare più".
Quanti senza cervello stanno in giro in questa società senza più educatori. La televisione e la spazzatura televisiva hanno regnato e regnano da tanto tempo e il risultato è qui: una società di uomini senza cervello, manipolabili, confusi, senza mete... ignavi.
Ma tra questi c'è ancora il piccolo seme che dà speranza, ma che ci auguriamo presto diventi visibile...

  
Terza strofa

In questa notte scura vorremmo nascesse un’alba,
che illumini il tuo viso e tutta la tua vita,
e cancellasse il male, che ora è nei tuoi occhi.

 La speranza, un'alba nuova desiderata e desiderabile: da dove e a chi implorarla, se non al Dio che cambia e può cambiare le nostre storie se a Lui ci affidiamo. Quanti uomini-nuovi occorrono per cambiare il mondo? Forse ne basterebbe uno, ma bisognerebbe seguirlo fin sulla croce e con Lui dare la Vita e non prenderla come fa la maggior parte delle "persone dabbene"...


Il ritornello

Vorremmo dire al mondo la tua infelicità,
il grido che ti è dentro e che nessuno sa.
Vorremmo dire a tanti che quella schiavitù
di sesso sulle strade non la fomenti tu,

ma ogni uomo a metà, uomo che non è,
disumano, animale, che consuma e non sa,
che fa morire un angelo.                                        

 A questo punto della canzone c'è un pezzo musicale con un sassofono struggente che si alterna con la chitarra e con un clarinetto. Un'idea musicale di Niki Saggiomo originalissima. E poi di nuovo il ritornello a rimarcare il tutto...

Ritornello... ripetuto

Vorremmo dire al mondo la tua infelicità,
il grido che ti è dentro e che nessuno sa.
Vorremmo dire a tanti che quella schiavitù
di sesso sulle strade non la fomenti tu

ma ogni uomo a metà, uomo che non è,
disumano, animale, che consuma e non sa,
che fa planare un angelo.

Nel finale il colpo di grazia diretto ai non-uomini, che continuando a peccare e consumare, fanno morire la vita nelle loro "vittime". Dire loro "animali" è ancora troppo poco, perché gli animali non sanno essere così violenti. Questi senza Dio consumatori di sesso, stanno diventando demoni e non lo sanno...

Uomo a metà, uomo che non sei,
disumano, animale, tu consumi e non sai,
che fai morire un angelo.

venerdì 18 dicembre 2015

Vulesse (vorrei)

Dal CD "Vegliando le stelle" la canzone "Vulesse" (vorrei). 







... scritta in napoletano  in tempi non sospetti, quasi commissionata da un'amica, Rossella, che allora voleva dedicarsi alla politica. 
Un giorno mi disse: "Scrivi una canzone dedicandola al nostro mondo sangenarellese". Erano gli anni in cui, fine anni settanta inizio ottanta, speravamo nell'autonomia da Ottaviano NA. Ma le votazioni ci diedero buca, sfiduciati, bisognava ricominciare. Anche il parroco (oramai a miglior vita) era sceso in campo e ricordo ancora un incontro nella casa comunale, con un politico allora affermato, buon'anima, anch'egli passato a miglior vita, entrambi cercarono di calmare i bollori soprattutto dei giovani che speravano nel "rinnovamento".  Quest'ultimo annunciato da chiunque, di destra o di sinistra. In realtà entrati nella "casta" tutti si sono rivelati uguali: anti-popolo e pro-banche.

Col senno di poi mi sono reso conto che destra e sinistra ci hanno taciuto troppi misfatti. E anche molti prelati in Italia, si sono accodati alla mala politica, da tempo memorabile ottenendo privilegi che mettono a tacere le coscienze. Costoro hanno dimenticato la Parola di Dio che nel Salmo 15, ci fa sapere: 

Signore, chi abiterà nella tua tenda?
Chi dimorerà sul tuo santo monte?

Colui che cammina senza colpa,
agisce con giustizia
e parla lealmente,

chi non dice calunnia con la sua lingua,
non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulto al suo vicino.

Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
Anche se giura a suo danno,
non cambia;

chi presta denaro senza fare usura,
e non accetta doni contro l'innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.

Papa Francesco cerca di scuoterci e quasi ogni giorno si viene a conoscenza di qualche monsignore arricchitosi oltre misura e che deve fare i conti con la giustizia, ma è scritto: "Non c'è niente di nascosto che non debba essere messo alla luce" (cfr Lc 12, 2). Sono parole di Gesù, ma qualcuno abbagliato dal luccichio falso del demone del possesso, dimentica... ma "Dio è lungariell e nun è scurdariell" dice un veccio detto... oppure: "Tutti i nodi vengono al pettine"... poverini quelli che dovranno vedersela col barbiere per eccellenza che sa fare barbe e capelli in modo impeccabile...

"Vulesse" allora diventa attuale, come non mai. 

La prima parte della canzone è rivolta al "mondo" politico, ma la seconda al "mondo" ecclesiale. 
Le speranza di rinnovamento mai assopito sembra faccia capolino ogni tanto nel primo "mondo", e oggi, forse, coi grillini? Per il secondo sarà Papa Francesco?

Analisi del testo della canzone o tentativo di spiegarne qualcosa...

Schema abbondante di strofe con ritornello che si ripete musicalmente ma che ha delle varianti nel testo. Dal punto di vista dell'arrangiamento, fatto solo con chitarre, c'è da dire che la semplicità fa risaltare il testo che è molto denso, direi duro. Non ci sono variazioni di tonalità. Il mio chitarrista non le ama, altrimenti sarebbe costretto a prendere accordi con posizioni scomode... Qualcuno ascoltandola ha sentito lontanamente qualche accenno a Pino Daniele. Niki Saggiomo è un patito di Pino.

Prima strofa

Vulesse truvà a uno me capesse e me ricesse 
(vorrei trovar qualcuno che mi capisse e mi dicesse)
sò pur’ì chine e speranze nata via c’ha ddà stà 
(sono anch'io pieno di speranze, un'altra strada ci dovrá essere)
miezo a gente perze rinda a sta realtà
(Tra la gente, perso dentro a questa realtà)

La speranza di trovare qualcuno capace di farsi carico delle attese della gente e non dei soliti soloni del potere, non muore. Finché c'è il Cristo che dalla croce da l'ultimo colpo alla morte e all'egoismo con la Risurrezione, possiamo sempre sperare... La speranza è data da Dio ma con la nostra collaborazione. Senza di noi non può nulla. Il cambiamento è frutto di un impegno finalizzato a svegliare le coscienze. Il comunismo ha fallito, il nazionalismo pure, e la Chiesa, fatta di popolo, che rimane nei millenni a testimoniare un Oltre che la permea negli uomini migliori, si ritrova con tanti altri che la infangano, ma non potranno affossarla perché a quelle forze avverse il Signore ha messo un limite: non potranno prevalere... Ma i reprobi non sono la Chiesa di Dio, il popolo lo è. In mezzo ad esso, se si prega, Dio suscita profeti, santi, sacerdoti santi...

 Seconda strofa
Vulesse truvà a n’ommo miezo a sta città
(Vorrei trovare un uomo tutto d'un pezzo in mezzo a questa città)
ca nun se venne pe nu voto e crere a verità

(Che non si vende per un voto elettorale e crede alla verità e all'onestà)
crede a libertà all’umanità.

(Crede alla libertà e all'umanità)

Vero, questi uomini tutti di un pezzo, non esisterebbero se non li suscitasse la Provvidenza, che per dirigere l'umanità, che in fretta si svia appresso al "dittatore" di turno,  ne suscita qualcuno di tanto in tanto per orientare, dare nuove possibilità, rinnovare l'esistente. Dopo la seconda guerra mondiale sembra che di uomini-mondo, sia di sesso maschile che di sesso femminile, ne abbia suscitati parecchi anche nella Chiesa Cattolica. Tanti Santi, che con la loro vita, hanno testimoniato l'amore per la Vita, l'umanità, soprattutto per quella sofferente. E anche nel mondo politico li ha suscitati, ma sono stati, mi sembra, come aghi in un pagliaio. Fari certamente, a tracciare dei cammini, ma aimè subito spenti dai mediocri, da quelli che tramano dietro le quinte... E il popolo invece di inferocirsi contro la mediocrità di certuni, spesso osanna proprio questi, usandoli per averne qualche beneficio, il più delle volte solo promesso. Basti pensare a quanti poveri cristi per pochi euro vendono il loro voto alla mafia, senza pensare che quel beneficio a breve termine porterà aun maleficio a lungo termine. A chi gridarlo tanto orrore ed errore?

Ritornello
Suonne, suonne, a suonne chine ruorme,
(Sogna, sogna a sonno pieno, dormi)
facimme e rrubbà Nun te scetete

(facciamoli rubare, non ti svegliare)
o vì comme è bello. Nun chiagnere tira a campà

vedi come è bello. Non piangere. Tira a campare
na preta pane nun pò addiventà. 

Una pietra non può diventare pane.

Suonne, suonne, a suonne chine, scetete,
Sogna, sogna, a sonno pieno, svegliati,
facimme e fuì. Mo te a scetà

facciamoli scappare. Adesso devi svegliarti,
o vì comme è forte nun chiagnere vire che a fà.

Vedi come è forte: non piangere, vedi cosa devi fare
Na preta terra e sole…rivoluzione po addiventà.

Una pietra terra e sole... rivoluzione, può diventare.

 Il ritornello si commenta da solo, ma comunque provo a dire cosa vorrei gridare al mondo intero, quando lo canto. 
Il sentore è proprio questo, che la gente sonnechia e lascia ai politici e ai ricchi, tutto il potere possibile. Si può dire che la maggior parte della gente se ha un tozzo di pane e un tetto, si accontenta. Eppure se si apre la mente, il cuore, c'è un'orizzonte possibile più ampio. Sembra, che quelli che stanno in alto vogliano di proposito far stare nell'ignoranza, perché con essa si manovrano le masse. Chi ha le televisioni può difatti manovrare il popolino. Chi sveglierà questo popolo italiano dal torpore in cui è caduto...? Sveglia è l'ora di capire, partecipare... e chi mi ascolta?
Col primo ritornello finisce la prima parte della canzone dedicata al "mondo" politico. 
Con la terza strofa comincia la parte della canzone dedicata al "mondo" ecclesiale.

 Terza strofa
Vulesse truvà frate ca nun se guardene e late
(Vorrei incontrare fratelli che ni si vogliano male)
ca se fanne e scarpe l’uno co l’ate

pronti a "farsi le scarpe" l'uno contro l'altro
e si putessero s’acciresseno.

e se potessero si ucciderebbero.
Con Caino e Abele, la storia del peccato si è radicata. Il cattivo fa soccombere il buono, ma nonostante tutto dai Caino nascono ancora tanti Abele, altrimenti Dio avrebbe già distrutto l'umanità con un solo "pensiero pensato". C'è qualcosa di buono in ognuno. Il bene, il male stanno lì, sono le nostre storie intrise di incontri, che fanno allargare l'uno o l'altro. Che fortuna hanno coloro che hanno incontrato o incontrano uomini tutti d'un pezzo da cui imparare l'arte del vivere bene, dell'amare gratuitamente e senza ricompense. Qui ci si gioca tutto l'esistere: trovare l'IDEALE, che ti realizza come persona. Nella mia vita ci sono stati tanti uomini tutti di un pezzo.

Uno di questi è una donna, Chiara Lubich (è nella nuova Vita), fondatrice del Movimento dei Focolari. Da Lei ho imparato e sto imparando (da quello che ci ha lasciato), l'arte di amare cristiano. Un suo modo di incarnare il Cristo. Sì, perchè ogni Santo ne ha incarnato uno. Francesco dalla povertà ha imparato a diventare Gesù; Sant'Ignazio fondatore dei Gesuiti, dall'obbedianza; Chiara dall'Unità: "Siate Uno come Io e il Padre...", "Siate Uno affinchè il mondo creda" aveva detto Gesù. Uno è ciò che diventano i TRE: Padre, Figlio e Spirito Santo. Per diventare Uno, sono Amore. L'amore che dona tutto di sè fa diventare Uno. Dunque, la Comunione più alta è l'Unità. Chiara, con la sua vita ha tracciato una strada possibile per raggiungere l'Uno anche quaggiù.

Quarta strofa
Vulesse rinda Chiesa chiù vita e chiù calore
(Vorrei nella Chiesa, più vita e più calore)
ma è vierne e fa fridde e ognuno appicce o fuoco

(ma sembra inverno, fa freddo e ognuno accende zizzanie)
invece e rà na mana a libertà

(invece di dare una mano alla libertà) 

La Chiesa è bella, quella che è già di là è già nella pienezza, ma noi, ancora in cammino facciamo i conti coi limiti, col peccato e col Nemico. Eppure i doni che il Signore Dio ci dona e ci ha donato, sono immensi, infiniti. Questa forza che ha il peccato in noi, ci deve far riflettere il danno che ha fatto e fa il Nemico, il Satan, alle nostre esistenze, alle nostre anime. Davvero solo l'AMORE può debellarlo. L'Amore ha milioni di sfumature. Chiediamo allo Spirito Santo che è l'AMORE, di aiutarci a comporre il puzzle della nostra esistenza, a colorare il dipinto della nostra vita, coi suoi colori e non coi nostri, che sono sbiaditi. Chiediamo la luce per illuminare il cammino e percorrere la VIA, che è Gesù. Chiediamo il risveglio delle nostre coscienze per non delegare più nessuno e impegnarci in primis alla costruzione della "casa comune" che è la Terra.

Ritornello
Suonne, suonne, a suonne chine ruorme,
facimme e rrubbà Nun te scetete
o vì comme è bello. Nun chiagnere tira a campà
na preta pane nun pò addiventà.
Suonne, suonne, a suonne chine, scetete,
facimme e fuì. Mo te a scetà
o vì comme è forte nun chiagnere vire che a fà.
Na preta terra e sole…rivoluzione po addiventà.


Finale musicale... 

 Da un articolo uscito su "Venerdì di Repubblica" il 18 Dicembre 2015...
Sarà Di Maio l'uomo tutto d'un pezzo della mia canzone?





lunedì 14 dicembre 2015

Non mi arrenderò

06 Radio fra le Note - Non mi arrenderò (puoi ascoltare la trasmissione sulla mia webTv)

"Non mi arrenderò", presente nel CD "Attimi di cielo" 
è una di quelle canzoni che sono sempre attuali che richiamano le storie di tanti popoli alla ricerca di una pace che non arriva mai. L'ho dedicata ai tanti emigranti che nel 2004 erano soprattutto albanesi e oggi sono tutti i popoli mediorientali.




Passiamo subito all'analisi del testo.
La struttura sembra abbia strofa e ritornello, ma poi presenta alla fine due parti uguali che sono il reale ritornello o potremmo chiamarle ritornello speciale. Non è che mi sia imposto io che la canzone venisse fuori così.... è semplicemente uscita così. Diverse volte sforo le strutture "normali" di strofa-ritornello.

Prima strofa

Non ci sono anche per me.
Mi nascondo dentro te,
che mi stai scrutando ormai
da dietro quegli occhiali scuri.

La sensazione che cercavo di cogliere in me era l'enorme disagio nel vedere così tanta gente fuggire da qualcosa che doveva essere mostruoso, in cerca di una terra promessa che poi si rivelava il più delle volte poco accogliente e quel Paradiso agognato diventava Purgatorio se non addirittura inferno (penso alle ragazze che arrivate in Italia venivano e ancora vengono avviate poi alla prostituzione). Gli occhiali scuri sembrano essere indossati dalla nostra malapolitica, che ha fatto diventare il disagio dei migranti un affare d'oro aiutati dalle mafie di ogni tipo.
La voglia di nascondersi dietro o dentro qualcun altro dice il desiderio di trovare soluzioni ai problemi di tanto disagio, facendo leva sulla condivisione con tanti che la potrebbero pensano come te. L'unione fa la forza, dice un vecchio proverbio, e i grandi problemi trovano soluzione solo dalla condivisione e dalla volontà di risolverli. Un esempio concreto l'ho trovato nella Comunità "Giovanni XXIII" di don Benzi. Infatti, una volta, sono stato in Albania a fare dei concerti sempre per l'evangelizzazione, sono stato ospite di una delle comunità del santo sacerdote.

Un'esperienza davvero unica. Una famiglia faceva da perno a tante altre situazioni, la chiamerò famiglia-capo. Questa era il fondamento della comunità e attorno ad essa giravano altre famiglie, con disagi di ogni tipo: una ragazza madre, una famiglia poverissima che non aveva più risorse, bambini affidati perché o orfani o semplicemente affidati, provenienti da svariate situazioni di disagio. Un episodio mi fece capire lo spessore della spiritualità che le animava.

Un bambino ospite voleva un biscotto e così anche il figlio della famiglia-capo. La madre-capo (per capirci), non fece preferenze ma in modo giusto accontentò prima il bambino ospite e poi il proprio, senza far mancare amore all'uno e all'altro e senza discriminare nessuno. Per me fu un insegnamento esemplare. E faceva così anche il Padre-capo, che non faceva il padrone, ma con gli altri papà era pari, ma nello stesso tempo esercitava la sua autorevolezza con amore. Col senno di poi mi viene da ringraziare la Provvidenza per aver inventato don Benzi e dato vocazioni così speciali a tanti uomini e donne che costituiscono l'ossatura di queste splendidi comunità.

Don Benzi, come sappiamo, cercava di risolvere anche altri problemi, come quello di tante ragazze ingannate nei paesi di origine e che arrivate in Italia venivano e vengono gettate sulle strade a prostituirsi. Altre due canzoni parlano di questo problema come "Sognando l'Italia" (presente nel CD "Attimi di Cielo") e "A Joy" (presente nel Cd "In fondo all'anima").

Seconda strofa

Azzurro di mattina presto,
polmoni pieni di tristezza
per tanto mondo che si svende,
cercando un posto tra le sponde…

A volte svegliarsi e trovarsi ancora in questa realtà che non riuscirà mai a centrarsi su ciò che vale veramente, ti fa sentire estraneo e cominciare la giornata, con le no tizie dei telegiornali, non sempre è buono. Allora anche se il mattino è azzurro, nei polmoni ti ritrovi la tristezza di chi ancora arranca a trovare la sua collocazione nella civiltà delle telecomunicazioni intrise di pubblicità, dove tutto diventa prodotto da vendere o comprare. Ti senti manipolato, guidato, come un fiume tra le sue sponde, verso qualcosa che non sai neanche tu. Credo, sia verso la confusione più totale. Che cultura strana, dove si sanno tante cose, ma molte, se rifletti, non servono a niente. Certamente non ti aiutano a vivere centrato sull'essenziale, ma sempre più sul superfluo.
Allora bisogna svegliarsi dal torpore che l'ideologia nichilista ha iniettato in ogni settore dell'esistenza, e con fatica ritagliarsi spazi per riflettere, organizzarsi e insieme ad altri creare spazi alternativi dove far venir fuori una nuova cultura che disobbedisca al consumismo, che disobbedisca alla cultura dello scarto, che disobbedisca alla cultura del tutto e subito, che disobbedisca alla logica del successo a tutti i costi, che disobbedisca ad una logica che per ottenere cose, basta prostituirsi al politico di turno, al potente di turno, che sia pure camorrista, che disobbedisca a tutto ciò che è disumano. Occorre una nuova umanità che non è venuta fuori dalle ideologie, che non è venuta fuori da secoli di presunta rivoluzione sociale, ma potrà venire solo da Gesù che ha ristabilito l'uomo nelle sue due dimensioni: umana e spirituale. L'uomo nella storia, se la si studia bene, ogni volta che ha indugiato su di una o su di un'altra si è ritrovato fuori dalla volontà di Dio con conseguenze disastrose.
Le sponde giuste in cui incanalarsi non sono quelle ideologiche, ma quelle per cui l'umano viene innalzato dalla sua sola natura umana verso quella divina. Elevarsi dunque, e ciò può accadere se si ascolta la Parola, il Verbo di Dio. Chi più di Lui, avendoci creati, può dirci fin dove possiamo innalzarci?

Primo lancio del ritornello

(tra le sponde) di questo grande mare,
di questo grande cielo
navigato, levigato dal rasoio dei potenti
e da tutta quella gente
che non ce la fa più.

I potenti raschiano ogni cosa anche a discapito dei poveri e dei deboli che vengono sfruttati loro malgrado. Nel Siracide (libro biblico tra i sapienziali) al cap. 12, 1-3 si legge:

Se fai il bene, sappi a chi lo fai; così avrai una ricompensa per i tuoi benefici.
Fà il bene al pio e ne avrai il contraccambio, se non da lui, certo dall'Altissimo.
Nessun beneficio a chi si ostina nel male né a chi rifiuta di fare l'elemosina.

Invece viviamo in una società dove si cerca di fare qualcosa al potente di turno per averne contraccambio, ma come vediamo la società s'è bloccata, non va avanti, perché come dice il libro biblico a fare il bene al "ricco", si perde il tempo e le sostanze. Continuando a leggere il Siracide fino al capitolo 13, ci sono insegnamenti molto particolari che vanno però filtrati con la Rivelazione somma di nostro Signore Gesù Cristo. Insomma per i potenti bisogna pure pregare affinché si convertano e vivano anche se a pelle ci fanno rabbrividire per il male che riescono a concepire...

  
Terza strofa

Non ci sono anche per te.
Mi nascondo dentro me.
E mi sto facendo male
perché è dura da morire…

A volte succede, quando la realtà è troppo pesante da digerire, si tende a chiudersi a riccio, sentendone tutto il peso... "è dura da morire"...In realtà bisogna aprirsi e riuscire a dare l'SOS. Cercare, cercare sempre, perché qualcuno ascolterà il grido degli umili.

Salmo 5, 1-3  

Porgi l'orecchio, Signore, alle mie parole:
intendi il mio lamento.
Ascolta la voce del mio grido,
o mio re e mio Dio,
perché ti prego, Signore.



Secondo lancio al ritornello

(è dura da morire) in questo grande mare,
in questo grande cielo
navigato, levigato dall’amaro che mi prende
e per tutta quella gente,
che non ce la fa più.

 Da parroco, mi rendo conto di quanta gente ha bisogno addirittura del necessario. In parrocchia ci facciamo in quattro per racimolare quanto è necessario, ma non è mai abbastanza. Quello che facciamo è solo una goccia nel grande mare e nel grande cielo dell'amara realtà. Come diceva Madre Teresa di Calcutta: "Quello che facciamo è soltanto una goccia nell'oceano. Ma se non ci fosse quella goccia all'oceano mancherebbe."

Ritornello

Crederci è difficile e solo Tu puoi dirmelo.
Non cerco soluzioni, né facili illusioni,
ma sento che mi sfuggi ed io mi arrenderò.

Ebbene sì davanti a tanta sofferenza la fede può barcollare, franare. "L'umanità ha imparato a dividere l'atomo (ha scritto qualcuno su facebook) ma non ha imparato a dividere il pane." L'immenso dolore è frutto anche dell'incapacità di condivisione, che a causa del peccato, alberga nell'umano dalla notte dei tempi. Se dapprima  c'è da arrendersi... alla fine c'è da rimboccarsi le maniche...

ripetizione del ritornello con variazione

Crederci è difficile e solo Tu puoi dirmelo.
Non cerco soluzioni, né facili illusioni,
E sento che mi sfuggi, ma non mi arrenderò.

La ripetizione è sottolineatura, rinforzo, ma anche volontà ad aprirsi quando c'è troppo dolore. Non bisogna mai arrendersi perché Qualcuno è morto, ma è soprattutto risorto e dunque non c'è situazione umana che non possa risorgere. Finché siamo di qua la Provvidenza ha disposto la Misericordia, dopo la giustizia farà il suo corso. Puntiamo dunque al perdono, perché se lo diamo a piene mani, a piene mani lo riceveremo.
Non arrendersi mai nel fare il bene, senza mai stancarsi, soprattutto quando non c'è contraccambio.

Alla prossima Canzone per dare e cantare Dio...

giovedì 10 dicembre 2015

Pare ajere (sembra ieri)

"Sembra ieri" in napoletano però suona "Pare ajere" fa parte del CD "Vegliando le stelle" del 2011


E' in napoletano, racconta e fa sentire emozioni profonde, quelle viscerali: l'amore ai genitori, alla mamma e al papà, partendo da sensazioni che assopite dal tempo, restano lì e mentre riffiorano, ti ricordano che sei stato bambino, adolescente, giovane e poi adulto. Certe cose, insomma, non si possono dimenticare.


      Mi trovavo a Roma per studiare. Ero tornato dal solito viaggio in macchina di circa 40 chilometri con la mia macchina verde scuro metallizzata, e dopo aver pranzato mi appoggiai sul letto per un piccolo riposino per poi cominciare a studiare, ma qualcosa me lo impediva. Dentro mi nasceva un forte ricordo, un'immagine. Io bambino in braccio a mia madre e lei che abbracciandomi parlava con un'altra signora. Ero appoggiato sul suo cuore, sentivo i battiti e la sua voce come da lontano. Una sensazione di pace e di serenità carpita in quell'attimo fermato dal tempo chissà perché e chissà per cosa... vuoi vedere perché dovevo scrivere una canzone? Mi cominciava anche un motivo con le prime parole: "Pare ajere ca m'addurmev mbraccio a mamma mia" (Sembra ieri che mi addormentavo in braccio a mamma mia). Mi dicevo: "no, adesso no. Devo dormire". Ma quell'idea, come una forzata dettatura del cuore, mi spingeva a prendere la chitarra e un foglio e a scrivere... Mi rigiravo dall'altra parte e di nuovo la spinta a mollare la coperta e afferrare l'attimo creativo.

     Ricordo che l'insistenza fu tale che snervato dal tira e molla andai quasi stizzito al tavolo a prendere la penna e poi afferrare la chitarra. Col senno di poi, mi dico: "Benedetto abbandono del letto". Le cose dello Spirito sono così, vogliono l'ascolto silente e obbediente. Devo dire che rimasi esterrefatto, perché sentivo il contatto con questa entità spirituale, che quando ti afferra ti da anche la gioia di vedere cosa si sta concretizzando sotto ai tuoi occhi e assisti all'ennesmo miracolo della nascita di una canzone, che prima non c'era, non l'avevi neanche pensata e ora è sotto i tuoi occhi. Mentre la canti ti piace e ti da gioia, senza neanche immaginare l'eventuale pubblico che forse non ci sarà mai. Sempre, invece, ci sarà colui che te l'ha fatta nascere dentro e poi donare all'esistenza.

Ma cos'è che compone una canzone oltre al testo alla musica e all'intepretazione? Leggendo un'intervista che parla di mistica e poetica, di sentimento religioso e ispirazione poetica, mi sono reso conto che le canzoni da me composte hanno dell'altro. Sono caratterizzate da una propria poetica e una propria mistica. Sul sito della Rai ho trovato questa intervista molto interessante di Francesca di Mattia ad Antonio Spadaro gesuita direttore della Civiltà Cattolica: Il sentimento religioso e l'ispirazione poetica. Qui si dice che mistica e poetica vanno d'accordo e aiutano ad incontrare Dio su altre strade che non siano la ragione e il ragionamento. Esse si collegano direttamente alle profondità dell'essere. Io aggiungo che alle due, la musica, aiuta ancora di più a raggiungere il luogo dell'incontro con Dio. Dell'intervista riporto solo alcune "domande e risposte"...

"I grandi mistici dell’Occidente hanno spesso utilizzato la scrittura in modo verticale (parole “verso” Dio, per comunicare con il “tutto”) e in modo orizzontale (parole di testimonianza e predicazione per la condivisione dell’ideale religioso con altri uomini e donne). Un’esigenza dell’anima, potremmo definirla, che spesso è diventata opera letteraria, anzi un vero e proprio genere. Cosa pensi di questo fenomeno che ci ha dato “frasi di carne e sangue”, frammenti di estasi e libri d’amore, talvolta contraddittori e sofferti? R.: Nel sentimento religioso e nell’ispirazione poetica è possibile riconoscere alcuni gesti profondi comuni: il raccoglimento, il ritmo di attività e passività, di iniziativa e di accoglienza alla gratuità di una «visita». Esiste un’analogia e una continuità fra le due esperienze a tal punto che un grande studioso di mistica e poesia, Henri Bremond, si rivolse proprio all’esperienza mistica per chiarire la natura dell'esperienza poetica. Insomma: tocca al mistico spiegare il poeta. La poesia non è la preghiera, ma essa tende di sua natura a raggiungerla. Ciò significa che la poesia è il segno di una facoltà che ci appartiene, in grado di ricevere Dio e incapace da sé di comprenderlo. Quella poetica è un tipo di conoscenza unitiva, conoscenza non per astrazione concettuale, ma per assenso concreto e totale, che unisce all’oggetto, che fa toccare il reale. Come la contemplazione mette il mistico in grado di avvicinarsi a Dio e di contemplarlo, così ogni esperienza poetica implica un contatto immediato con una realtà interiore, inattingibile in altri modi.  (...)
 D.: La testimonianza dei mistici nasce dunque dall’unione profonda di anima e parola, parola intesa come “verbo originario”?  
R.: Il cristianesimo ha bisogno di parole che esercitano la capacità di ascolto e di «raccoglimento». Il linguaggio poetico-letterario ha il potere di far ritirare l’uomo dal chiasso perché rientri in se stesso, non alienandosi dal mondo, ma portando il proprio mondo con sé in modo ridotto alle sue linee essenziali, dandogli la possibilità di ritrovare se stesso. Per il corretto ascolto del messaggio cristiano occorre inoltre saper udire le parole che colpiscono il centro dell’uomo, il cuore, perché, quando Dio si comunica nella parola della rivelazione cristiana, questa parola è in cerca di tutto l’uomo nella sua originaria unità, dalla quale scaturisce la sua esistenza. Le parole del messaggio evangelico sono necessariamente non parole della ragione tecnica, ma «parole del cuore»: non parole sentimentali, né parole puramente razionali. Il cristiano sa percepire la parola che colpisce il cuore nel suo più intimo. Sa imparare ad ascoltare la parola che, nel suo senso limitato e preciso, è la corporeità del mistero. Ma questa è anche la parola «poetica». La capacità e l’esercizio di ascolto della parola poetica è dunque un presupposto per ascoltare la parola di Dio.
(...)  D.: I Salmi, per la ricchezza dei contenuti e della forma, rappresentano una fonte inesauribile di stimoli, che si può calare perfettamente nel nostro quotidiano. R.: I Salmi, oltre ad essere in se stessi preghiera, sono divenuti fonte di elaborazione ed espressione di nuova preghiera, quasi una partitura da eseguire liberamente o un canovaccio che serve come riferimento per creare un linguaggio orante nuovo. Sono numerosi i libri che contengono queste rielaborazioni che prendono spunto dal testo biblico per attualizzarlo e interpretarlo. Nel XVII secolo la parafrasi dei Salmi divenne un genere letterario (Malherbe, Corbeille, La Fontaine,…). Ma ricordiamo che grandi musicisti, da Monteverdi, Bach e Vivaldi a Stravinsky, Kodaly e Bernstein, hanno scelto di lavorare, in vario modo, intorno alla poesia salmica. Esistono anche alcune elaborazioni in immagini e suoni. Una delle più importanti dei nostri giorni porta la firma di Lucio Dalla: nel 1992, per la Kamel Film – Pressing, con Robert Sidoli e Roberto Guarino, egli ha composto musiche per i Salmi che il regista Pietro Quagliano ha illustrato con racconti minimali in video che presentano immagini delle foreste africane e dei grattacieli di New York, le grandi pianure americane e le povere case vietnamite. Essi dunque costituiscono poesia fondativa di civiltà letteraria, capace di ispirare altra poesia in parole, suoni e immagini. I Salmi spesso mostrano la vita nei suoi momenti più intensi e fondamentali, sia in forma lirica sia in forma narrativa: felicità, amore, passione, paura, dolore, morte, trovano accenti e espressioni che parlano e riescono a raccontare e a far «vedere». Per questo oggi, come sempre, esprimono bene l’esigenza dell’anima e diventano occasioni di parafrasi, interpretazioni e riscritture."

Sono d'accordo con quanto si afferma nell'intervista, che la poesia e la mistica possono andare d'accordo e con l'aiuto della musica si può arrivare a far sperimentare"il Cielo". Perché no, indurre ad una esperienza mistica. Ildegarda di Binsen nel XII secolo fu monaca, mistica e artista, teologa e medico di grande spessore. Le sue composizioni ancora sono eseguite e molto apprezzate. Il 7 Ottobre 2012 è stata dichiarata dottore della Chiesa da papa Bnedetto XVI.

Le canzoni che io scrivo non arrivano alle altezze vertiginose di tanti artisti davvero bravi e meritevoli, né tantomeno ad Ildegarda di Binsen, ma quando nascono, mi fanno sperimentare la stretta connessione tra Cielo e terra. L'alchimia che avviene attraverso le "componenti genetiche" della canzone, testo, musica e interpretazione, che si intrecciano poi, a loro volta con poetica e mistica, mi aiutano comunque ad elevare lo spirito. Per mistica intendo quanto si legge nel dizionario Treccani: "Atteggiamento spirituale in cui lo spirito individuale trova risposta al senso del suo essere e la piena esplicazione delle proprie capacità nella contemplazione e nel ‘contatto’ con la realtà del divino (inteso diversamente nell’ambito delle differenti esperienze mistiche); ha varia fisionomia anche secondo l’accentuazione del suo aspetto speculativo o etico-pratico".

Cerchiamo ora di tornare alla mia "Pare ajere", canzonetta se vogliamo, ma credo molto ispirata, per come mi è nata.

Prima strofa

Pare ajere,
ca m’addurmevo
’m’braccio a mamma mia.
E ne sentevo a voce
e ’o core che sbatteva.

(traduzione) 
Sembra ieri, 
che m'addormentavo 
in braccio a mia madre 
e ne sentivo la voce 
e il cuore che batteva. 

     Non è bella la traduzione e non rende il pathos che è contenuto nella mia lingua madre, il napoletano. Questa immagine di mia madre con me in braccio, che l'infanzia mi ha impresso nella memoria affettiva, è davvero forte, piena di sentimento, di emozione... Nell'attimo in cui riaffiorò dalla memoria mi provocò un vero turbinio emotivo. Mia madre era già passata a miglior vita da alcuni anni e tutto il trambusto della mancanza affettiva l'avevo superata da un pezzo. Non nasceva dunque da nostalgia, da malinconia, ma credo sia stata proprio un'emersione di un ricordo, come un dono di Dio al mio spirito, una pace, dopo il trambusto della prima mezza giornata passata tra traffico e lezioni in facoltà. Comunque è una gioia riuscire a dare visibilità a un'emozione attraverso una canzone.Questi primi versi così sembrano dar vita a una foto, a un fermo-immagine, che poi è molto di più perché ci sono non solo immagini ma sensazioni, odori, palpiti del cuore e tutti i sensi concentrati in quell'attimo che è divenuto memoria viva.

Seconda strofa

Pare ajere,
ca pateme,
m’accumpagnava a scola,
girava a cincuciente
e po’ se ne parteva.

(traduzione) 
Sembra ieri
che mio padre,
mi accompagnava a scuola
girava la sua cinquecento
e poi se ne andava

      L'altra immagine che pure riaffiorava alla mia mente e alla mia memoria, era mio padre che andava via dopo avermi affidato al professore delle elementari. Davvero sentivo la tristezza di quel distacco. La scuola elementare è stato un quinquennio non troppo felice. Non ero contento di andare a scuola dove assistevo a molta violenza. Il professore era severo e quando non gli giravano erano mazzate. Un buon uomo "scallanema soja", ma i calci e i pugni inferti ai miei compagni ciuchi per "transfert" li subivo anch'io: "Papà non te ne andare, non mi lasciare qui a soffrire". La macchina andava via ed io lasciato alle mie dosi di violenza giornaliera. Davvero di quei cinque anni mi ricordo molto poco. Oltre alle botte, ricordo la nevicata in un inverno molto rigido, era la prima volta che vedevo la neve da vicino e la vedevo scendere dal mio posto nei banchi della seconda elementare. Ero spesso malato per le tonsille che ad ogni cambiamento climatico mi mettevano kappa-o ed erano penicilline e siringhe che mi trapanavano i glutei. Ricordo una volta mia madre che aveva già messo la medicina nella siringa ed io tergiversavo, mi agitavo che non volevo quel supplizio. Si rischiava di buttare la medicina. Mio padre per tenermi fermo mi diede un morso e sentii un dolore lancinante e mia madre mi infilò l'ago e la medicina che mi faceva sentire dolore per tutta la gamba per un'ora. Ho combattuto con le tonsille fino a sedici anni, quando finamente il mio medico me le fece togliere. Non è stata poetica l'asportazione delle tonsille. Ricordo solo i ghiaccioli a limone che servivano per causticare le ferite nella gola. Non credo che scriverò mai una canzone su quest'altro episodio.

Prima parte del ritornello

Pare ajere,
caggiu ditt, chillu “sì”.
Pare ajere,
e sta passanno chesta vita.
E je me sento l’anima,
ca scoppia e tanta vita.


 (traduzione)
Sembra ieri,
da quando ho detto il mio "Sì"
Sembra ieri,
e sta passando questa vita.
E sento l'anima
che scoppia di tanta vita.


      Mia madre, mio padre, dolci e amari ricordi. Soprattutto il Signore Iddio a cui ho voluto donare la mia vita. E nel "Sì" della consacrazione c'è tutto. Davvero aver conosciuto l'amore di Dio mi riempie l'anima di ogni dolcezza. Ci sono giorni cupi, ma altri solari e pieni della Sua Presenza, così chiara, così palpitante, come quando scrivo una canzone e sono i giorni migliori, quelli più belli. Sono stato Ordinato Diacono a settembre del 1993 e sacerdote l'anno succesivo 15 Ottobre del 1994, giorno della memoria di Santa Teresa la grande e, la sento grande Madrina del mio sacerdozio. Sono trascorsi già vent'anni...sembra ieri. Come vorrei che si aggiustassero tante cose, che col tempo si sono usurate o addirittura scassate... Amicizie che come fiumi carsici, sono scomparse e chissà se riaffiorano più. Altre che si ritrovano ma che i capelli bianchi rendono più difficili. Quanta vita che è passata, mi ha sfiorato, lambito, vivificato... L'anima sembra un registratore che incassa, incassa, e si purifica al dolore di tante amputazioni... A proposito di amputazioni...

Mi sono ritrovato a leggere questa pagina dall' Evangelo come mi è stato rivelato di M. Valtorta, dove Gesù con forza spiega quale amore occorre per essere discepolo:

Dice Gesù: "Venire a Me come discepolo vuol dire rinuncia di tutti gli amori a un solo amore: il mio. Amore egoista verso se stessi, amore colpevole verso le ricchezze o il senso o la potenza, amore onesto verso la sposa, santo verso la madre, il padre, amore amabile dei e ai figli e fra- telli, tutto deve cedere al mio amore se si vuole essere miei. In verità vi dico che più liberi di uccelli spazianti nei cieli devono essere i miei discepoli, più liberi dei venti che scorrono i firmamenti senza che nessuno li trattenga, nessuno e nessuna cosa. Liberi, senza catene pesanti, senza lacci d'amore materiale, senza neppure le ragnatele sottili delle più lievi barriere.
Lo spirito è come una delicata farfalla serrata dentro al bozzolo pesante della carne, e può appesantirne il volo, o arrestarlo del tutto, anche l'iridescente e impalpabile tela di un ragno: il ragno della sensibilità, della ingenerosità nel sacrificio. Io voglio tutto, senza riserve. Lo spirito abbisogna di questa libertà di dare, di questa generosità di dare, per poter esser certo di non essere impigliato nella ragnatela delle affezioni, consuetudini, riflessioni, paure, tese come tanti fili da quel ragno mostruoso che è Satana, rapinatore di anime.
Se uno vuol venire a Me e non odia santamente suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i suoi fratelli e le sue sorelle, e persino la sua vita, non può esser mio discepolo. Ho detto "odia santamente". Voi in cuor vostro dite: "L'odio, Egli lo insegna, non è mai santo. Perciò Egli si contraddice". No. Non mi contraddico. Io dico di odiare la pesantezza dell'amore, la passionalità carnale dell'amore al padre e madre, e sposa e figli, e fratelli e sorelle, e alla stessa vita, ma anzi ordino di amare, con la libertà leggera che è propria degli spiriti, i parenti e la vita. Amateli in Dio e per Dio, non posponendo mai Dio a loro, occupandovi e preoccupandovi di portarli dove il discepolo è giunto, ossia a Dio Verità. Così amerete santamente i parenti e Dio, conciliando i due amori e facendo dei legami di sangue non peso ma ala, non colpa ma giustizia. Anche la vostra vita dovete esser pronti a odiare per seguire Me. Odia la sua vita colui che, senza paura di perderla o di renderla umanamente triste, la fa servire a Me. Ma non è che una apparenza di odio. Un sentimento erroneamente detto "odio" dal pensiero dell'uomo che non sa elevarsi, dell'uomo tutto terrestre, di poco superiore al bruto. In realtà questo apparente odio, che è il negare le soddisfazioni sensuali alla esistenza per dare una sempre più vasta vita allo spirito, è amore. Amore è, e del più alto che esista, del più benedetto. Questo negarsi le basse soddisfazioni, questo interdirsi la sensualità degli affetti, questo procurarsi rimproveri e commenti ingiusti, questo rischiare punizioni, ripudi, maledizioni e forse anche persecuzioni, è una sequela di pene. Ma occorre abbracciarle e imporsele come una croce, un patibolo sul quale si espia ogni passata colpa per andare giustificati a Dio, e dal quale si ottiene ogni grazia, vera, potente, santa grazia di Dio per coloro che noi amiamo.
Chi non porta la sua croce e non viene dietro a Me, chi non sa fare questo, non può essere mio discepolo.
Pensateci dunque molto, molto, voi che dite: "Siamo venuti perché vogliamo unirci ai tuoi discepoli". Non è vergogna ma sapienza pesarsi, giudicarsi e confessare, a se stessi e agli altri: "Io non ho stoffa di discepolo". (20 settembre 1945)

Seconda parte del ritornello

Si Tu ca me staje arinte.
So schiaffe e po’ carezze,
si chiove o esce o sole.
Pe Te tutto è ammore
’nda sta vita,
’nda sta vita.


(traduzione) 
Sei Tu che mi stai dentro.
Sono schiaffi e a volte carezze,
se piove o esce il sole.
Per Te tutto è amore
in questa vita,
in questa vita.

      Nessuno si illude  che sia sempre sereno, nè che manchino le nuvole anche nelle giornate di gioia. Nessuno è così anormale da non sapere che nella vita ci sono salite e discese da fare e pianure noiose da camminare e da vivere, ma se si comincia a vedere con gli occhi di Dio che è Amore, e tutto esprime questa verità, tranne l'uomo sporcato dal peccato, allora si comincia a capire che si è incamminati verso una meta e questa specie di realtà è un film, una scena che deve passare.
Dio è dentro di noi, ed è anche ovunque.Se permette certe cadute è perché ne ricaviamo in umiltà e fervore. Se permette certi dolori e sofferenze è per una purificazione che certo porterà ad una nuova comprensione di Lui Amore. Scriveva San Paolo: "Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati." (Rm 8, 28-30). In questa vita tutto è amore... e tutto può servire per il ritorno a casa.

Terza strofa

Pare ajere,
ma è già oggi
e dimane sta già cà.
E nun ce può passà,
che tutto se ne và.

(traduzione) 
Sembra ieri,
ma è già oggi,
domani è già qua.
Non ci puoi passare, 
che tutto se ne và.

     Sì, la vita è un attimo, col senno di poi, guardando indietro, ai miei cinquantuno anni, sento come se qualcuno avesse messo un'accelerazione al tempo. Sarà che si è tanto impegnati, sarà che veramente il Signore vuole farci sentire la fame di eternità... è che ... più luce entra, più le tenebre del mondo si manifestano e anche aumenta il disagio dell'esserci, quasi inadeguati, come stranieri nel tempo. Passano, passano, passano i giorni, i mesi, gli anni e aumenta la consapevolezza che ci attende la nuova Patria unica per tutti. Un dono da meritare in qualche modo e da pagare con la croce da portare e vivere bene, che è proprio la tua e di nessun altro con tutta la fatica dell'essere discepolo. Il traguardo può essere vicino o lontano non importa. Importa essere sempre nella Luce, nell'amore, per non correre il rischio di aver corso invano, di aver creduto e non meritare il premio...

Pare ajere, dunque ma è già oggi, anzi... il domani è già qua.

Dopo la ripetizione del ritornello, Niki, il chitarrista e arrangiatore della canzone, ha voluto metterci la sua firma, una "nota" musicale che fa meditare molto e che io non mi stanco mai di ascoltare...

Alla prossima canzone per dare e cantare Dio...