domenica 26 novembre 2017

Angelo tu

Un'altra canzone di questo CD "Jesus on line" del 2002 è "Angelo tu". Semplice ma con un riffetto accattivante. Quando il maestro Cleopatra mi fece sentire la base musicale rimasi incantato. Dopo Jesus on line, era quella che tirava di più. Già ho detto che questo CD è stato pensato per i bambini del catechismo, per rendere meno pesanti gli incontri settimanali e poi perché la canzone insegna tante cose, come vedremo. Infatti, può diventare pretesto di tante catechesi.
Il titolo: "Angelo tu". Ogni essere umano è candidato a essere "come un angelo" (cfr Marco 12,18-27. la disputa coi sadducei), e se non angelo certamente demonio. Non ci sono alternative. Bisogna puntare ad essere come angeli e Gesù ci ha indicato la Via, la Verità, la Vita (Gv 14, 6).


Ascoltiamo la canzone con un video di Elena Raner vecchina molto intraprendente.


Il testo della canzone

Prima strofa
Tu angelo tu, amico delle stelle e di chi vuoi tu.
Sì, angelo blu, vai forte in aeroplano.

 
La canzone è stata pensata per una fascia di età ben precisa, gli adolescenti. Questi si trovano in una fase della loro esistenza che è tra il già e non ancora e tante volte cercano "modelli" a cui ispirarsi per crescere e formarsi per attraversare il mare in burrasca della fase che va dalla fanciullezza all'età adulta. "Amico delle stelle e di chi vuoi tu" è dunque quel ragazzo che sa che sta crescendo, ma è "nella terra di mezzo". In un articolo molto bello dedicato all'adolescenza trovato on line vi si legge: 

Crisi dell’educativo e crisi dell’identità
 Da una dimensione fortemente autoritaria del passato si è oggi passati alla crisi di ogni autorevolezza: viviamo in una società tendenzialmente orizzontale che rifiuta in misura sempre maggiore la presenza di guide e maestri, determinando l’infantilizzazione degli adulti e l’adultizzazione dei bambini e degli adolescenti.
Questo tipo di società è intrinsecamente diseducante. Il permissivismo (sia in famiglia che a scuola) non è altro che una forma di abbandono travestito da rispetto -comodo - perché libera l’educatore da ogni forma di responsabilità e “fatica” educativa.
  • Per la formazione di un’identità sana l’adolescente ha invece ancora bisogno di calore, protezione e guida (anche se in forma diversa dal bambino) : quando non li riceve nei modi appropriati dalle agenzie educative, cerca di carpirli da modelli massmediatici (attori, cantanti, sportivi…) che in qualche modo sente presenti nella sua vita, con conseguenze non sempre positive (identificazione patologica che porta ad un vero e proprio blocco nella formazione dell’identità).
  • Un’altra modalità di ricerca di attenzione e guida che parte da un malessere e può sfociare in conseguenze patologiche è l’affiliazione a bande , che soddisfa il desiderio frustrato di appartenenza alla base della formazione dell’identità, per cui si aderisce a comportamenti-atteggiamenti privi di ogni norma se non quella di una sorta di autorealizzazione rappresentata dall’affermazione della propria vitalità dissipativa come volontà di potenza (teppismo, bullismo, vandalismo, violenza di gruppo, azioni in branco). Se nel momento fisiologico di svincolo dalla famiglia non vi è all’esterno una proposta di adesione a modelli umanamente significativi, l’approdo sarà rovinoso scivolando dal gregarismo già citato alla perdita di umanità testimoniata dalle molteplici forme di dipendenza da sostanze o da altro come il sesso o il gioco . (fonte. http://www.rivistadidattica.com/fondamenti/fondamenti1.htm)
Dunque i ragazzi non vanno abbandonati a loro stessi, ma aiutati a crescere in un orizzonte di valori a cui la famiglia deve rifarsi. Se non si ha questo orizzonte, che per un cattolico sono i valori gesuani, si finisce per educare all'anarchia. Credo anche che si debba aiutarli a districarsi nel mare magnum degli idoli che la tv propone. Aiutarli infine, a stare coi piedi per terra, ossia un giusto equilibrio tra i sogni e la realtà: "Sì, angelo blu, vai forte in aeroplano"

Seconda strofa
 Tu angelo tu, nemico delle guerre e dei tabù.
Qui, angelo blu, atterri sopra un dolce manto blu:
è questo mare, teorema.

 
Le idealità del periodo adolescenziale ci fanno tante volte desiderare di tornare indietro nel tempo. Quasi si rimpiangono i tempi della spensieratezza, ma chissà che qualcuno non ci rimanga per davvero in quella fase senza arrivare mai alla fase adulta. Mi ha colpito molto leggendo l'articolo sull'adolescenza, che viviamo in una società che sfrutta questo desiderio di rimanere adolescenti per poterli usare e coercizzare:

Nell’adolescenza, da sempre, il ripiegamento nella cura di sé e nella propria soggettività è fisiologico per la scoperta di sé rispetto allo specchio del mondo e della rete di relazioni.
Nell’adolescente postmoderno il narcisismo fisiologico è potenziato dal narcisismo del contesto socio-culturale in cui la legge imperante della cura di sé come primato della cura del corpo conduce all’affermazione dell’onnipotenza dell’estetica separata da altri valori. Una vera e propria “cultura del narcisismo”, di cui ogni adolescente fa parte in maniera purtroppo irriflessa e, come tale, a rischio di evoluzione patologica.
Il circuito economia-pubblicità-spettacolo-consumo non è altro che lo specchio riproducente una società che non sa separare bisogni fondamentali e desideri indotti. Gli adolescenti vengono blanditi da tale circuito che presenta loro modelli di emancipazione sotto sembianze progressiste, mentre in realtà altro non fa che travestire da autonomia autentica solo la “libertà di consumare”, promuovendoli allo status di consumatori maturi ed autonomi, ciascuno con televisore, telefono, stereo, mezzo di trasporto personale.
Questa pseudo-autonomia, che porta a rifiutare qualsiasi forma di guida “adulta” nel nome di una conclamata indipendenza da qualsiasi forma di autorità, ad altro non porta che ad essere assoggettati al paternalismo dei gruppi industriali e ad assimilare le mentalità agli assetti prevalenti di potere.
Il consumo di merci (studiate appositamente per l’età) come valorizzazione del proprio sè, diventa un’importante stampella per un’identità ancora incompiuta. Così la pressione della cultura di massa, espressione e strumento della società dei consumi, affida la formazione della personalità ai circuiti dei mass-media, del consumo, dell’evasione, dello spettacolo in cui l’edonismo ed il narcisismo diventano gli unici stili di vita desiderabili, gli unici possibili, al di fuori dei quali vi è solo frustrazione.

Mamma mia, come bisogna aiutare gli educatori a educare, in una società "comandata" dagli urti della cultura del consumo? Poveri educatori, ma poveri adolescenti, che credono di essere trendy (alla moda) e non sanno di essere stati plagiati. Papa Francesco esorta spesso a guardarsi dalla cultura imperante. Bella è questa risposta data a una giovane:

Il coraggio della scelta - Valentina Piras: Santo Padre, prima di maestri, noi giovani abbiamo bisogno di testimoni credibili. Sovente abbiamo la consapevolezza di abitare una realtà complessa nella quale non ci sono punti di riferimento costanti e dove vengono proposte esperienze senza sostanza. A volte siamo ragazzi e adulti ‘parcheggiati’ nella vita, preda dell’illusione del successo e del culto del proprio ego, incapaci di donarci agli altri. Santo Padre, noi vorremmo che Lei ci desse una parola che ci aiuti a far luce sulle tenebre che sovrastano i nostri cuori. Come possiamo ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro, di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive?

Papa Francesco: Grazie. Una parola-chiave è: “Noi giovani abbiamo bisogno di testimoni credibili”. E questa è proprio la logica del Vangelo: dare testimonianza. Con la propria vita, il modo di vivere, le scelte fatte… Ma testimonianza di che? Di diverse cose. Testimonianza, noi cristiani, di Gesù Cristo che è vivo, ci ha accompagnato: ci ha accompagnato nel dolore, è morto per noi, ma è vivo. Detto così, sembra troppo clericale. Ma io capisco qual è la testimonianza che i giovani cercano: è la testimonianza dello “schiaffo”. Lo schiaffo è una bella testimonianza quotidiana! Quella che ti sveglia, ti dice: “Guarda, non farti illusioni con le idee, con le promesse…”. Anche illusioni più vicine a noi. L’illusione del successo: “No, io vado per questa strada e avrò successo”. Del culto del proprio ego. Oggi, tutti lo sappiamo, lo specchio è di moda! Guardarsi. Il proprio ego, quel narcisismo che ci offre la cultura di oggi. E quando non abbiamo testimonianze, forse la vita ci va bene, guadagniamo bene, abbiamo una professione, c’è un bel posto di lavoro, una famiglia…, ma tu hai detto una parola molto forte: “Siamo uomini e donne parcheggiati nella vita”, cioè che non camminano, che non vanno. Come i conformisti: tutto è abitudine, un’abitudine che ci lascia tranquilli, abbiamo il necessario, non manca niente, grazie a Dio… “Come possiamo ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro, di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive?”. La parola l’ho detta tante volte: rischia! Rischia. Chi non rischia non cammina. “Ma se sbaglio?”. Benedetto il Signore! Sbaglierai di più se tu rimani fermo, ferma: quello è lo sbaglio, lo sbaglio brutto, la chiusura. Rischia. Rischia su ideali nobili, rischia sporcandoti le mani, rischia come ha rischiato quel samaritano della parabola. Quando noi nella vita siamo più o meno tranquilli, c’è sempre la tentazione della paralisi. Non rischiare: stare tranquilli, quieti… “Come possiamo ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro”, hai domandato, “di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive?”. Avvicinati ai problemi, esci da te stesso e rischia, rischia. Altrimenti la tua vita lentamente diventerà una vita paralitica; felice, contenta, con la famiglia, ma lì, parcheggiata – per usare la tua parola. E’ molto triste vedere vite parcheggiate; è molto triste vedere persone che sembrano più mummie da museo che esseri viventi. Rischia! Rischia. E se sbagli, benedetto il Signore. Rischia. Avanti! Non so, questo mi viene di dirti. (fonte: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/june/documents/papa-francesco_20160618_villa-nazareth.html)

La realtà è complessa dunque, e come dico nella canzone è un "mare teorema", ma nelle complessità occorre la semplicità dell'amore. Chi ama infatti, è semplice e davanti ai grovigli non perde la pace, ma sa chiedere a Dio lo Spirito Santo, che possedendo tutti i doni, da anche la possibilità di individuare soluzioni.


 Il ritornello
Blu, angelo blu.
Mitico tu. L’angelo blu, sei tu.
Blu, angelo blu.
Mitico tu. L’angelo blu, sei tu.
 

Queste parole le ho scritte pensando al Salmo 8. 
Così recita il Salmo 8
  
O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,

con la bocca di bambini e di lattanti:
hai posto una difesa contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,

che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell'uomo, perché te ne curi?

Davvero l'hai fatto poco meno di un dio (o di un angelo),
di gloria e di onore lo hai coronato.

Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi:

tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,

gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.

O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! 

Ho trovato un commento di San Giovanni Paolo II del 2002:
 
Salmo 8: Grandezza del Signore e dignità dell’uomo
(...) Ecco aprirsi, subito dopo, il suggestivo scenario di una notte stellata. Di fronte a tale orizzonte infinito affiora l’eterna domanda: "Che cosa è l'uomo?" (Sal 8, 5). La prima e immediata risposta parla di nullità, sia in rapporto all'immensità dei cieli, sia soprattutto rispetto alla maestà del Creatore. Il cielo, infatti, dice il Salmista, è "tuo", la luna e le stelle sono state "da te fissate" e sono "opera delle tue dita" (cfr v. 4). Bella è quest'ultima espressione, invece della più comune "opera delle tue mani" (cfr v. 7): Dio ha creato queste realtà colossali con la facilità e la raffinatezza di un ricamo o cesello, con il tocco lieve di un arpista che fa scorrere le sue dita sulle corde. 
3. La prima reazione è, perciò, di sgomento: come può Dio "ricordarsi" e "curarsi" di questa creatura così fragile ed esigua (cfr v. 5)? Ma ecco la grande sorpresa: all'uomo, creatura debole, Dio ha dato una dignità stupenda: lo ha reso di poco inferiore agli angeli o, come può anche essere tradotto l'originale ebraico, di poco inferiore a un Dio (cfr v. 6).
Entriamo, così, nella seconda strofa del Salmo (cfr vv. 6-10). L'uomo è visto come il luogotenente regale dello stesso Creatore. Dio, infatti, lo ha "coronato" come un viceré, destinandolo a una signoria universale: "Tutto hai posto sotto i suoi piedi" e l'aggettivo "tutto" risuona mentre sfilano le varie creature (cfr vv. 7-9). Questo dominio, però, non è conquistato dalla capacità dell'uomo, realtà fragile e limitata, e non è neppure ottenuto con una vittoria su Dio, come vorrebbe il mito greco di Prometeo. E' un dominio donato da Dio: alle mani fragili e spesso egoiste dell'uomo è affidato l'intero orizzonte delle creature, perché egli ne conservi l'armonia e la bellezza, ne usi ma non ne abusi, ne faccia emergere i segreti e sviluppare le potenzialità.
Come dichiara la Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, "l'uomo è stato creato "a immagine di Dio", capace di conoscere e amare il proprio Creatore e fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio" (n. 12).
4. Purtroppo, il dominio dell'uomo, affermato nel Salmo 8, può essere malamente inteso e deformato dall'uomo egoista, che spesso si è rivelato più un folle tiranno che un governatore saggio e intelligente. (...) A differenza degli esseri umani che umiliano i propri simili e la creazione, Cristo si presenta come l'uomo perfetto, "coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli sperimentasse la morte a vantaggio di tutti" (Eb 2, 9). Egli regna sull'universo con quel dominio di pace e di amore che prepara il nuovo mondo, i nuovi cieli e la nuova terra (cfr 2Pt 3, 13). Anzi, la sua autorità regale - come suggerisce l'autore della Lettera agli Ebrei applicando a lui il Salmo 8 - si esercita attraverso la donazione suprema di sé nella morte "a vantaggio di tutti". Cristo non è un sovrano che si fa servire, ma che serve e si consacra agli altri: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10, 45). Egli in tal modo ricapitola in sé "tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (Ef 1, 10). In questa luce cristologica il Salmo 8 rivela tutta la forza del suo messaggio e della sua speranza, invitandoci ad esercitare la nostra sovranità sul creato non nel dominio ma nell'amore. (fonte: https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/2002/documents/hf_jp-ii_aud_20020626.html)

Terza strofa
Giù, a testa in giù, fai l’angelo distratto dalla TV.
Su, guarda un po’ su, ma trovi mille nuvole, lassù:
su questo mare, teorema.


Proprio così l'umanità contemporanea è frastornata da troppi messaggi e finisce per soccombere e la televisione con tutti i mass media, compresi quelli di ultima generazione finiscono per intricare ancora di più la situazione. Ritornando agli adolescenti e all'articolo a loro dedicato vi si legge:

Effetti della comunicazione elettronica
  • Pur non negandone gli innumerevoli vantaggi, appare evidente che l’esplosione dell’iconicità elettronica toglie spazio ad ogni comunicazione vera e ad ogni linguaggio elaborato, essenziale per la maturazione degli aspetti cognitivi connessi alla formazione dell’identità, che nell’adolescente sono rappresentati dalla capacità di pensare ed esprimersi in forma elaborata, complessa, critica, creativa.
La maggior parte degli avvenimenti mostrati in televisione è privo di una continuità storica: essi si succedono in maniera così rapida e frammentaria che difficilmente si può stabilire un nesso tra principio e fine o formulare pensieri ed elaborare sensazioni sulle informazioni ascoltate.
Gli input della televisione nonostante un’esposizione ininterrotta non riescono a sedimentarsi come le esperienze dirette poiché risulta difficile ordinarli e ricollegarli alle esperienze precedenti. Ma la rielaborazione cosciente e la ristrutturazione cognitiva sono alla base del cosiddetto apprendimento profondo.
Invece l’eccesso di esposizione televisiva promuove un atteggiamento passivo ed acritico, generando un appiattimento delle capacità di analisi critica, innovazione ed originalità.
L’essere abituati a ricevere informazioni con modalità estremamente attraenti genera una passività cognitiva che si manifesta nella disaffezione e nel rifiuto di impegnarsi in attività mentalmente più impegnative quali la lettura, la scrittura, lo studio. Incidendo sui processi cognitivi ed emotivi con una lenta e progressiva sollecitazione dove la presentazione di pseudo-realtà canalizza gusti, conoscenze e scelte, la televisione influenza il modo di rapportarsi alla realtà vera ed agli altri, indirizzando i comportamenti verso un conformismo di massa.
Oltretutto spessissimo la televisione deforma la realtà, esponendo il più delle volte per questioni di audience solo la parte che interessa e stupisce. Tale corsa all’audience ha contribuito notevolmente all’omologazione del pubblico, determinando uno scadimento della qualità dei programmi poiché, allo scopo di interessare il maggior numero di persone e dunque anche quelle che non hanno voglia di pensare si propongono attraenti insulsaggini.
Si tratta di un mondo, almeno per i soggetti in crescita, estremamente caotico, affollato di esempi di comportamenti denotati da valori opposti, in cui tra finzione e realtà è difficile trovare una linea di demarcazione. Inoltre la fruizione frequente di programmi con alto contenuto di violenza influenza in maniera negativa non solo inducendo comportamenti violenti e/o insensibilità alla violenza, ma anche l’acquisizione di credenze secondo le quali il mondo è un luogo malvagio e pericoloso in cui non c’è altro da aspettarsi se non violenza fisica o psicologica.
La mancanza di filtri rende impossibile proteggere i minori dalla rivelazione più completa ed impietosa di un mondo adulto caratterizzato da stoltezza, conflitto ed inquietitudine.
L’eccesso di esposizione televisiva modifica inoltre la sfera emotiva:gioia, paura, orrore si generano non più in relazione ad un individuo o in risposta ad un evento ma in conseguenza ad immagini che si possono, se si vuole, interrompere a piacimento, con le quali non si interagisce, ma ci riabbandona inermi alla suggestione. Tale distacco dalla realtà, se non è regolato dalla capacità critica rende privi di quel rapporto emotivo alla base del senso di responsabilità verso sé stessi ed il prossimo.
Guardare la televisione può essere paragonato al partecipare ad una festa popolata di gente sconosciuta: si viene continuamente presentati a persone nuove, il che produce una certa eccitazione. Ma alla fine difficilmente si riesce a ricordare i nomi degli ospiti, ciò che hanno detto e a quale titolo erano presenti: non importa, la festa si ripeterà domani. Ci si sente obbligati a tornarvici: poiché può essere che qualcuno dei nuovi ospiti riveli qualche interessante “segreto”.
Il fenomeno della teledipendenza è più frequente di quanto si creda perché, non immediatamente evidente, si presenta in maniera subdola e strisciante: all’improvviso si scopre che senza televisione si è pervasi da un senso di vuoto e tristezza e dall’incapacità o dalla riluttanza a dedicarsi ad altre attività, per cui ci si piega a vedere anche cose banali pur di non spegnerla e di privarsi di quel sottofondo.
Che rende sempre più rarefatti i rapporti interpersonali. Che distrugge anche la sacralità propria delle ore dei pasti, spesso le uniche nelle quali la famiglia si incontra le quali, da occasione di comunicazione, diventano un desinare muto ed ipnotizzato dalla TV.
Inoltre la virtualizzazione, intesa come “eccesso” di comunicazione elettronica rispetto alla comunicazione umana, porta con sé il rischio della dipendenza da una protesi psichica per cui si è capaci di dialogare solo attraverso il mezzo tecnico, sostituendo l’esperienza e la comunicazione nel mondo reale con una sorta di dialogo virtuale in cui, sia da un punto di vista cognitivo che emotivo, si “gioca” molto ma non ci si mette mai realmente “in gioco”.
(fonte. http://www.rivistadidattica.com/fondamenti/fondamenti1.htm)

"L'angelo distratto dalla Tv" o dai Mass media in generale ha bisogno di una sana educazione ai media. E forse perché la dipendenza dai media crea sudditi ubbidienti, a chi sta in alto conviene non svegliare il popolino e allora gli educatori si devono "arrangiare" come diciamo qui a Napoli. Ma davvero è Davide contro Golia.

 Secondo ritornello e special  e poi di nuovo il ritornello

Blu, angelo blu.
Mitico tu. L’angelo blu, sei tu.
Blu, angelo blu.
Mitico tu. L’angelo blu, sei tu.

 
Non credi alle streghe, all’incrocio delle dita,
al 13, al 17, al gatto nero.
Non invochi gli spiriti, né vendi l’anima al diavolo.
Sei pronto a credere solo in quel Dio…

 
Blu, angelo blu.
Mitico tu. L’angelo blu, sei tu.
Blu, angelo blu.
Mitico tu. L’angelo blu, sei tu.

Lo special della canzone coincide col messaggio centrale che voglio dare. Facilmente i ragazzi si fanno prendere da curiosità e magari provano con sedute spiritiche e altri giochi strani attraverso i quali si mettono in contatto, anche se credono stiano giocano, con entità con le quali si è sempre perdenti.
Si legge in un articolo del famoso sacerdote Fabio Rosini: 

"Come Cristiani, figli del Dio Altissimo, figli del Dio della Luce, figli del Dio della Pace e della Gioia, abbiamo il dovere di ascoltare la Parola di nostro Signore che ci dice:
Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente” (Ef 5,11)
Ed anzi:
Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8)"
(fonte: http://chihaorecchiintenda.altervista.org/halloween-il-dolce-scherzetto-del-maligno/)

In un altro articolo su Aleteia si legge:

Invocare lo spirito di Charlie? Non scherzate col fuoco!






sabato 18 novembre 2017

Dio in me, Dio in te, Dio fra noi

Da "Fatti per essere", mio secondo lavoro, la canzone "Dio in me, Dio in te, Dio fra noi. Eravamo nel 1996 dopo due anni da "Innamorami di Te". L'arrangiamento ... non ne parliamo... Onestamente non mi ricordo quando l'ho scritta e in quale circostanza. Certamente è ispirata ad un caposaldo della Spiritualità dell'Unità del Movimento dei Focolari: Gesù in mezzo.
È veramente l'esperienza più bella che si può fare perché ti fa dire: Dio c'è, lo sento, lo percepisco, eccolo è fra noi. Esercitare tutte le forze dell'anima per poterne fare esperienza è ciò che fa diventare cristiani. Si fonda su Matteo 18, 20: "Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".
Ad intuirlo e a sperimentarlo fino a far diventare questa esperienza uno dei capisaldi della Spiritualità dell'Unità, fu Chiara Lubich. Dai suoi bellissimi scritti approfondiremo proprio la bellezza e la profondità di "Gesù in mezzo".
Ascoltiamo la canzone.

 
Il titolo della canzone: Dio in me, Dio in te, dio fra noi è la sintesi del concetto racchiuso nel testo della canzone, ma anche di tutta la teologia intuita e sperimentata da Chiara Lubich. L'alchimia divina che produce la Presenza di Gesù è tutta significata qui. Se Dio è in me, ed anche in te, per l'amore reciproco, Gesù si fa Presente. Non è un personaggio del passato, non un profeta del passato, né una immaginazione dei creduloni cristiani, né una proiezione dei propri bisogni. Se tu hai l'AMORE dentro di te e anche il fratello ne è saturo, allora l'AMORE (lo Spirito Santo) rende possibile la Presenza mistica e divina di "Gesù in mezzo". Questa Presenza, potrebbe portare a scoperte indicibili in tutti i campi, ma soprattutto ci umanizzerebbe al colmo, perché noi saremmo proprio come Dio ci vuole: abitati dall'Amore e guidati da esso.

La prima strofa

Abitandoci, trasfigurandoci

non siamo più.
Non sono solo io,
non sei più solo tu.
“Siamo noi”,
siamo quello che dobbiamo essere.

Così spiega Chiara Lubich: "Forse niente spiega meglio l’esperienza che le focolarine fecero fin dall’inizio – vivere cioè, come ben presto impararono a dire, «con Gesù in mezzo a loro» –, quanto le parole dei discepoli dopo l’incontro con il Signore risorto ad Emmaus:
«Non ardeva forse il nostro cuore, mentre egli conversava con noi lungo la via?» (Lc 24,32).
Gesù è sempre Gesù, e anche se è solo spiritualmente presente, quando lo è, spiega le Scritture, e arde nel petto la carità di Cristo: la vita. Fa dire con infinita nostalgia, quando lo si è conosciuto: «Resta con noi, Signore, perché si fa sera» (Lc 27,29).
L’esperienza dei discepoli di Emmaus è essenziale per tutti coloro che si riferiscono alla spiritualità dell’unità. Perché nulla ha valore nel movimento se non si cerca e si ricerca la presenza promessa da Gesù in mezzo ai suoi – «dove due o tre sono uniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20) –, una presenza che vivifica, che allarga gli orizzonti, che consola e che stimola alla carità e alla verità.
Scriveva Chiara: «Avendo messo in atto l’amore vicendevole, avvertimmo nella nostra vita una nuova sicurezza, una volontà più decisa, una pienezza di vita. Come mai? È stato subito evidente: per questo amore si realizzavano fra noi le parole di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (cioè nel mio amore) io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Gesù, silenziosamente, si era introdotto come fratello invisibile, nel nostro gruppo. Ed ora la fonte dell’amore e della luce era lì presente in mezzo a noi. Non lo si volle più perdere. E meglio si comprendeva che cosa poteva essere stata la sua presenza quando, per una nostra mancanza, essa veniva meno.
«Non è però che in quei momenti noi cercassimo tanto di ritornare nel mondo che avevamo lasciato: troppo forte era stata l’esperienza di “Gesù in mezzo a noi”, per poter essere attirate dalle vanità del mondo, che la sua divina presenza aveva messe nelle loro infime proporzioni. Piuttosto, come un naufrago si aggrappa a qualsiasi cosa per potersi salvare, così anche noi cercavamo un qualsiasi metodo, suggerito dal Vangelo, per poter ricomporre l’unità spezzata. E, come due legni incrociati alimentano un fuoco consumando sé stessi, così, se si voleva vivere con Gesù costantemente presente in mezzo a noi, era necessario vivere attimo per attimo tutte quelle virtù (pazienza, prudenza, mitezza, povertà, purezza…) che ci sono richieste perché l’unità soprannaturale coi fratelli non venga mai meno. Capivamo che Gesù in mezzo a noi non è uno stato acquisito una volta per sempre, perché Gesù è vita, è dinamismo (…).
«”Dove due o più”: queste parole divine e misteriose, spesse volte, nella loro attuazione, ci sono apparse meravigliose. Dove due o più… e Gesù non specifica chi. Egli lascia l’anonimato. Dove due o più… chiunque essi siano: due o più peccatori pentiti che si uniscono nel nome suo; due o più ragazze come eravamo noi; due, di cui uno è grande e l’altro piccolino… Dove due o più… e, nel viverle, abbiamo visto crollare barriere su tutti i fronti. Dove due o più… di patrie diverse: e crollavano i nazionalismi. Dove due o più… di razze diverse: e crollava il razzismo. Dove due o più… anche fra persone che di per sé sono sempre state pensate opposte per cultura, classi, età… Tutti potevano, anzi dovevano unirsi nel nome di Cristo (…).
«Gesù in mezzo a noi: fu un’esperienza formidabile. La sua presenza premiava in modo sovrabbondante ogni sacrificio fatto, giustificava ogni nostro passo condotto in questa via, verso di lui e per lui, dava il giusto senso alle cose, alle circostanze, confortava i dolori, temperava la troppa gioia. E chiunque fra noi, senza sottigliezze e ragionamenti, credeva alle sue parole con l’incanto di un bimbo e le metteva in pratica, godeva di questo paradiso anticipato, che è il regno di Dio in mezzo agli uomini uniti nel suo nome»."

Quanto Chiara descrive su Gesù in mezzo è sperimentabile, ma ci si arriva attraverso un allenamento costante della cosiddetta "tecnica dell'Unità" che Gesù ci ha mostrato con la Rivelazione dell'Amore di Dio e delle dinamiche trinitarie, tra le divine persone. Ma questo lo spieghiamo dopo.

Seconda strofa

Come abita in me, abita anche in te.
Tra noi c’è il cielo.
Se ti perdi dentro me
ed io mi perdo dentro te
tra noi c’è Dio
non ci confonde, ma ci fa una cosa sola.

Quali sono allora le dinamiche dell'Amore trinitario, ossia la "tecnica dell'Unità"?

Da un discorso alle focolarine di Chiara Lubich:

Amare ed essere amati
(...) La volontà di Dio è Dio e Dio è Amore. La sua volontà, quindi, è amore. Ed è che anche noi amiamo: Lui con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e ogni prossimo come noi stessi (cf Mt 22, 37-39). Anche noi dovevamo nella vita essere amore: piccoli soli accanto al Sole. Se la parola «amore», in quell’epoca, indicava comunemente il sentimento naturale che lega tra loro un uomo e una donna, o l’erotismo; e non era usata in genere nel linguaggio religioso, dove si preferiva il termine carità, spesso però col significato più restrittivo di elemosina, la particolare manifestazione di Dio Amore che avevamo avuto, e il contatto diretto con la Parola di Dio, ci avevano rimesso in luce il suo significato cristiano. Anzi, abbiamo subito intuito che l’amore era il cuore del messaggio cristiano, ed era quindi dovere assoluto metterlo in pratica. Si è iniziato con l’amare i poveri, ma ben presto, per questa pratica – giacché l’amore porta luce –, si è capito che esso doveva essere rivolto a tutti. Ma come? Servendo, si diceva. «Servendo», che lo Spirito ci ha spiegato ben presto con due parole: «Farsi uno».
«Farsi uno – si legge in uno scritto – con ogni persona che incontriamo: condividere i suoi sentimenti; portare i suoi pesi; sentire in noi i suoi problemi e risolverli come cosa nostra, fatta nostra dall’amore. Farsi uno con gli altri in tutto, fuorché nel peccato. È il “farsi tutto a tutti” di san Paolo (cf. 1 Cor 9, 22). Questo “farsi uno” esige la continua morte di noi stessi. Ma è proprio per questo che il prossimo, amato così, prima o poi viene conquistato da Cristo che vive in noi sulla morte del nostro io». Ma quand’è così, il fratello risponde al nostro amore con il suo amore. Ed ecco l’amore al prossimo che sfocia nella reciprocità. «Quanti prossimi incontri nella giornata tua, dall’alba alla sera – troviamo scritto –, in altrettanti vedi Gesù. Se il tuo occhio è semplice, chi guarda in esso è Dio. E Dio è Amore e l’amore vuole unire, conquistando. (...) Guarda fuori di te: non in te, non nelle cose, non nelle creature: guarda al Dio fuori di te per unirti con lui.
Egli è in fondo ad ogni anima che vive e, se morta, è il tabernacolo di Dio che essa attende a gioia ed espressione della propria esistenza. Guarda dunque ogni fratello amando e l’amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato. Così l’amore è amare ed essere amato: come nella Trinità. E Dio in te rapirà i cuori, accendendovi la Trinità che in essi riposa magari per la grazia, ma vi
è spenta. (...) Guarda dunque ad ogni fratello, donandoti a lui per donarti a Gesù e Gesù si donerà a te. È legge d’amore: “Date e vi sarà dato” (Lc 6, 38). Lasciati possedere da lui (dal fratello) – per amore di Gesù –; lasciati “mangiare” da lui, come altra Eucaristia; mettiti tutto al servizio di lui, che è servizio di Dio, ed il fratello verrà a te e t’amerà. (...) L’amore è un fuoco che compenetra i cuori in fusione perfetta. Allora ritroverai in te non più te, non più il fratello; ritroverai l’Amore che è Dio vivente in te. E l’Amore uscirà ad amare altri fratelli perché, semplificato l’occhio, ritroverà Sé in essi e tutti saranno uno (...)». E «tutti saranno uno». Non quindi un amore qualunque, ma l’amore che porta l’unità.
 ( Fonte: Da Chiara Lubich, Una via nuova. La spiritualità dell'unità, Città Nuova, Roma 2002, 2003 www.centrochiaralubich.org/it/pdf/italiano/1720-chi-19951209-it-1/file.html)

Ritornello

Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            insieme sul crinale
            a guardar la realtà
            con occhi nuovi.
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            si entra nel Mistero
            nella Vita, quella Vera
            all’improvviso.
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            non ci sono più montagne,
            ma si va subito dentro
            al Cielo, al Cielo, al Cielo.

 La Trinità dunque, la si può imparare a vivere, ed è forse il modo migliore di amarla. Papa Giovanni Paolo II nella "Novo millennium ineunte" ne parla tantissimo fino a dire che la Chiesa deve diventare "casa e scuola di comunione" dove la comunione è appunto la vita trinitaria, ossia la Trinità vissuta tra due o più...Certo la Trinità in sè è ineffabile, ma l'Amore di Dio vissuto tra due o più, attira Dio stesso e dunque in qualche modo la Trinità fa capolino in mezzo a coloro che si ammano con la tecnica dell'Unità. Provare per credere e...credere per provare.
Aggiungo il frutto di un lavoro svolto per la mia diocesi confluito in una "Regola per i presbiteri" (https://www.diocesinola.it/downloads/category_28/Regola-per-i-presbiteri.pdf), lavoro a quattro mani, poi assemplato dal vicario generale.

"... ora vogliamo dare elementi concreti alla realizzazione di una “spiritualità di comunione” (per usare ancora un’espressione della NMI 43), credendo che la Trinità può essere rivissuta e può indicarci il “come”, la possibilità dell’esperienza trinitaria, che tante volte si pensa sia troppo lontana. L’Uni-Trinità ci dice l’essenza di Dio ma racchiude anche la qualità delle relazioni che occorrono per realizzare la parola e il testamento di Gesù: “Siate uno affinché il mondo creda” (Gv 17, 21). La chiave di volta per poter realizzare una tale comunione è nel Crocefisso, in Lui ci viene rivelato l’intimo di Dio, le relazioni per le quali la comunione può diventare piena, efficace, creativa... Inoltre, relazione è sinonimo di comunicazione. “Gesù è il perfetto comunicatore” del Padre e dello Spirito (Comunicazione e missione, 33). Da Lui impariamo l’arte del comunicare, del relazionarci, dell’amarci:

Con i suoi gesti e le sue parole, soprattutto nell’evento della Pasqua, Cristo rivela in maniera definitiva ed inequivocabile il volto del Dio uno e trino, nel quale l’unità non significa solitudine e la molteplicità non si risolve in dispersione. Lo Spirito, vincolo e legame d’amore tra il Padre e il Figlio, rende la comunione trinitaria possibile, costituendola come luogo della comunicazione e della donazione reciproca fra le tre persone divine. [...] Siamo qui alla radice dell’origine e del senso della comunicazione: “La fede cristiana ci ricorda che l’unione fraterna fra gli uomini (fine primario di ogni comunicazione) trova la sua fonte e quasi un modello nell’altissimo mistero dell’eterna comunione trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, uniti in un’unica vita
divina”. (Comunicaizone e missione, 33)

Pericoresi, Kenosi, Agape,  per relazioni “nuove”
 

La pericoresi riferita alla Trinità significa il mutuo contenersi, il reciproco inerire dell’uno
nell'altro, la compenetrazione che avviene tra le tre Persone divine, in maniera tale che pur unite non si confondono tra loro. La kènosis significa l’annullarsi per amore, davanti all’altro. L’agàpe non è altro che l’amore di Dio “riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5,5). Nella riflessione successiva la tradizione della Chiesa interpreta l’agàpe come un amore che non «si aggiunge agli amori umani, come imposto dal di fuori. È l’amore che sottostà a tutte le possibilità umane d’amare». Questo significa che «Ogni tipo d’amore umano è più pienamente tale, nella misura in cui si modella sull’amore che viene da Dio». Cosa avviene tra “due o più” che intendano realizzare L’agape, la kenosi e la pericoresi secondo il modello della Trinità? Ci sembra di individuare almeno cinque conseguenze... 

Ma le vediamo dopo... 



Terza strofa

Rispecchiandoci, consumandoci
nell’uno che è l’Amore,
mi darò fino alla fine,
ti darai anche tu così.
Questo è l’Amore,
l’Amore che ci fonde in unità.

Ritorniamo alle conseguenze che si hanno se ci si ama trinitariamente. Ripeto, quanto dico è il frutto di un mio studio, come contributo ad una "Regola per i presbiteri" della mia diocesi (sopra c'è il link).

a) La relazione trinitaria ci fonda come persone: diventiamo quello che dobbiamo essere.
 
Le parole di Gesù riportate da Giovanni: “Io e il Padre ...” (Gv 10, 30), rivelano un primo aspetto delle relazioni intratrinitarie ma che costituiscono anche il senso di ogni altra relazione su questa terra. Io sarò veramente me stesso nella misura in cui faccio essere l’altro, e di rimando l’altro non può fare a meno di me per essere. Che bello se ci convincessimo di questa grande verità e che davvero il “Corpo Mistico” non è un difficile assioma teologico, ma una verità concreta e visibile nella misura in cui si vive già a questo primo livello di relazione: tu per me sei importante, io non posso fare a meno di te, perché con te e in te, io sono me stesso, e tu trovi e ritrovi te stesso in me e con te.
 

b) Siamo chiamati a essere distinti nell’unità sul modello trinitario.

L’espressione di Gesù: "Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv 14, 11; 14, 20; 10,38) considerata nella totalità dei gesti, delle parole e delle opere compiute dal Gesù storico, è chiarificatrice del rapporto Figlio-Padre nella Trinità economica e di qui si apre per noi uno spiraglio di comprensione per quella immanente: due alterità in dialogo, e con lo Spirito Santo tre, accomunate dalla medesima divinità. Anche sul piano dell’esperienza di fede, l’agape, la kenosi e la conseguente pericoresi se ben vissute non annullano le nostre caratteristiche individuali, ma le portano a pienezza, sicché io sarò più io e tu sarai più tu. La necessità di essere in comunione e dunque in unità, fa sì che per amore dobbiamo anche essere distinti e dunque non desidererò di essere te (invidiandoti), ma farò di tutto perché tu possa essere il più felicemente e pienamente per quanto è possibile te stesso.
 

c) La relazione trinitaria fonte di una testimonianza efficace.
Nella dinamica dei rapporti trinitari nella singola persona si coglie il tutto: "Chi vede me, vede il Padre" (Gv 14, 9).10 Se io sono in Dio e Dio è in me, tutto quello che faccio e sono, sono io totalmente a esserlo e a farlo, ma anche è Dio totalmente in me che è e che fa: “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28). Come insegnano i santi, dobbiamo vivere come se tutto dipendesse da noi ma sapendo che tutto dipende da Dio; si tratta ovviamente di due “totalità” vere ma diverse: quella di Dio fondante, causale, mentre la nostra è partecipativa, di risposta. È questa mutua interazione fra Dio e l’uomo, che rende possibile la Presenza di Dio (cfr. Gv 14, 23, Mt 18, 20). Vivere in modo trinitario con Dio e tra noi ci fa essere Chiesa, Presenza di Dio-Amore nel mondo.
d) L’altruismo-reciprocità ci apre a nuove aperture culturali e sociali.
“Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie" (Gv 17, 10; cf. 16, 15). La concretezza della vita di comunione ha un risvolto praticissimo ad esempio nella comunione dei beni, che possono essere spirituali, materiali, intellettuali, ecc.:
 

La comunione dei beni come esigenza della partecipazione allo stesso amore di Gesù, non è soltanto una prospettiva economica, ma teologica, ecclesiologica: ha dietro una visione di Dio, della Chiesa, dell’umanità. (...) Le persone (e analogamente le comunità, le istituzioni, le nazioni, ecc.) agiscono in senso trinitario allorché vivono con le altre, per le altre, nelle altre e grazie alle altre. Non è sufficiente stare "con" per vivere secondo uno stile trinitario, perché potrebbe significare semplicemente uno stare "insieme" statico, una giustapposizione sterile e asettica degli uni accanto degli altri. Non basta neanche che uno viva "per" gli altri, in quanto questo costituirebbe soltanto il primo passo verso la trinitarietà, che esige anche la reciprocità. È solo la congiunzione di questi quattro atteggiamenti indicati che produce un'autentica pericoresi,

con tutte le sue conseguenze comunionali e i suoi risvolti non solo ecclesiali ma anche antropologici, culturali e sociali.

e) Lo svuotamento-pienezza dinamica dell’Amore trinitario
"Che siano come noi una cosa sola" (Gv 17, 22). Di nuovo ritorna la Croce a dirci l’amore per eccellenza:
Il volto del Dio cristiano che sinteticamente è espresso da san Giovanni nella frase “Dio è Amore”, si rivela storicamente nell'abbandono di Cristo in croce come amore trinitario. Il Padre per amore dona il Figlio, il Figlio per amore dona se stesso, vivendo dall'interno la situazione di lontananza da Dio in cui versa l'umanità peccatrice, e vince questa situazione nella ”ritrovata” unità col Padre nello Spirito Santo. L'abbandono è dunque il momento-culmine della rivelazione storica del Dio trinitario.
Prendendo a prestito le parole di E. Cambón, diciamo a proposito della necessità d’essere nulla per amore che: «Non può esistere unità trinitaria senza una kènosis reciproca, ossia senza un evangelico "svuotarsi" o spogliamento di sé, senza quel perdersi l'uno nell'altro per amore che permette ad ognuno di essere se stesso in pienezza». Due cose – tra tante altre - ci insegna la kènosi: il silenzio e l’ascolto. Senza il primo non c’è il secondo. La fecondità dell’essere in Dio si gioca tutta qui:
 

La kènosis per amore siamo chiamati a viverla tutti, oltre che nei confronti di Dio in sé, anche nei riguardi di Dio nel fratello. In tal modo è possibile sperimentare la presenza della Trinità "non solo in sé, ma anche negli altri e nella comunione reciproca... non solo nel fratello ma anche nel rapporto tra fratelli". Questo non toglie l'oscurità, però la illumina, offre un'esperienza che ci apre alla fede, la fa possibile, la rinforza. Cogliere in questa maniera "trinitaria" il rapporto tra Dio e l'umanità sarà sicuramente decisivo per il futuro della fede. E' molto citata la frase di K. Rahner: "il cristiano del futuro o sarà un mistico, cioè una persona che ha sperimentato qualcosa, o non riuscirà ad essere cristiano".

È una vera e propria sfida a credere nell'Amore e a viverlo.

Quarta strofa

Aprendoci, dischiudendoci
fuori di noi,
abbracciando l’abbandono
della gente intorno a noi,
dilagherà la Vita,
raccoglieremo tutti sotto al Cielo.

Così continuo nel lavoro fatto per i sacerdoti della mia diocesi: 

Applicazione della ”uni-trinitarietà”
Tra vescovo e presbiteri, tra questi e le comunità parrocchiali e coi vari movimenti o associazioni, occorre che l’agape, la kenosi e la pericoresi siano sincere e fattive per far si che la testimonianza di fede diventi palpabile e attraente: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Ora se “in principio vi è la relazione” (M. Boober), che fa essere l’Amore, così dev’essere tra noi. La qualità delle nostre relazioni porterà il cambiamento desiderato perché l’unica novità è sempre Dio, che tutto rinnova e tutto muove ed Egli sarà in mezzo a noi, perché l’ha promesso, perché vuole ”divinizzare” le nostre vite:
 

La comunione è il frutto e la manifestazione di quell'amore che, sgorgando dal cuore dell'eterno Padre, si riversa in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci dona (cfr Rm 5, 5), per fare di tutti noi ”un cuore solo e un'anima sola” (At 4, 32). È realizzando questa comunione di amore che la Chiesa si manifesta come ”sacramento”, ossia ”segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano”. Le parole del Signore, a questo proposito, sono troppo precise per poterne ridurre la portata. (NMI 42)
 

Certo occorrerebbe organizzare (come augurava lo stesso Giovanni Paolo II alla chiusura del Sinodo della Chiesa di Roma) ”scuole di ecclesiologia di comunione”, dove s’impari la comunione trinitaria non solo concettualmente ma soprattutto nella pratica. Sempre papa Wojtyla esortava: 

«Occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell'altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità» (NMI 43). 

Tutto questo si auspica da sempre, ma è come se mancassero dei consigli pratici e un “allenamento” per la sua attualizzazione. Non si tratta tanto di creare nuove strutture, ma di cambiarle dal di dentro: «Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita» (Ibid.).15
I frutti che porta nella vita del presbitero, una spiritualità fondata sull’uni-trinità sono davvero notevoli.  Anzi è proprio dal vivere che si giunge a parlare di vita uni-trinitaria: prima la vita e poi la teoria. Tutti i grandi carismi sono nati prima dalla vita e poi vivono la fase di istituzionalizzazione. Essi vengono da Dio e nel tempo Dio li rivela attraverso i vari fondatori, facendocene comprendere la portata, il valore, il servizio, che devono realizzare nella Chiesa, Corpo Mistico di Cristo. Ogni Carisma dunque aiuta tutte le membra della Chiesa locale o universale, per la comunione trinitaria descritta sopra e non se ne può fare a meno, si rischia di vanificare i doni di Dio. Né si può dire che ce ne siano di più belli o meno belli, di migliori o di peggiori. Tutti i Carismi sono doni di Dio e per questo col debito discernimento ecclesiale vanno riconosciuti e aiutati allo stesso modo. Se Dio parla ancora inviando dei nuovi Carismi non è che vuole cancellare quelli già esistenti, semmai desidera che questi si ravvivino. Così i princìpi descritti sopra dell’Uni-Trinità dei rapporti sono fondamentali a qualsiasi membro dell’Ecclesia, ne costituiscono l’anima, il cuore. Se non c’è prima l’AMORE del Dio Trino e Uno, rivissuto coi rapporti agapici, pericoretici e kenotici non ci può essere nient’altro. 


Ritornello

Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            insieme sul crinale
            a guardar la realtà
            con occhi nuovi.
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            si entra nel Mistero
            nella Vita, quella Vera
            all’improvviso.
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            non ci sono più montagne,
            ma si va subito dentro
            al Cielo, al Cielo, al Cielo.

Davvero la Chiesa sarebbe bellissima se rispecchiasse l'Amore uni-trino, trinitario. Purtroppo dobbiamo fare i conti con l'umano e col demonio, che ci mette i bastoni fra le ruote, ma la guerra sarebbe impari, se non avessimo la GRAZIA di Dio. E proprio perché dalla notra è Dio, dobbiamo crederci con tutte le nostre forze ed essere perseveranti...perché con "la vostra perseveranza salverete le vostre anime".
 

domenica 12 novembre 2017

Ci sto

Anche questa canzone "Ci Sto" è presente nel CD "Buonenuove" ed. Paoline 1999. Mi ricordo che la scrissi per poterla dare a Roberto Bignoli, ma poi quando si presentò l'occasione di fare il primo mio CD "Buonenuove", Bungaro che selezionò le canzoni, la scelse e a Roberto non la mandai più. L'anima rockettara di questa canzone mi era venuta proprio pensando a Roberto, ma esprime anche la mia anima di quel periodo che mi avevano mandato a fare il parroco in una piccolissima parrocchia lontano dalla mia comunità sacerdotale per cui i sacrifici per rimanerci aumentarono. In seguito seppi che ero stato mandato così lontano proprio per poter smembrare la comunità, ma non mollai neanche un pò. Facevo 30 Km all'andare e 30 Km al ritorno a volte in autostrada e a volte per i paesi. In certi giorni che in parrocchia andavo due volte facevo 120 Km. Una volta stanco di tutto il viaggiare mi lamentai col Signore. Mi arrivò una lettera di un amico mio del Perù col quale avevo frequentato la Scuola per seminaristi e sacerdoti, del Movimento dei Focolari a Loppiano. Mi aveva mandato due foto dove per arrivare alla sua parrocchia ci impiegava tre giorni con l'asino, passando tre notti sotto le stelle. Dopo quella lettera non mi sono più lamentato.

Ed ora ascoltiamo la canzone e poi la commentiamo...



Il titolo: Ci sto! Racchiude un "Sì" detto semplicemente in un altro modo. Un "Sì" ad una chiamata, una vocazione a seguire Qualcuno.

Così si legge a proposito di "vocazione" nel Catechismo Degli Adulti (CdA):

"Molti ritengono che la vita sia un’avventura solitaria, un farsi da sé, contando unicamente sulle proprie risorse. Secondo la fede cristiana, la vita è dialogo, risposta a una vocazione, dono che diventa compito. Il concetto di vocazione è tipico della rivelazione biblica. Dio, soggetto trascendente e personale, entra liberamente, come una novità inaspettata, nell’esistenza delle persone. Ad alcuni, come Abramo, Mosè, Amos, Isaia, Geremia, Ezechiele, rivolge direttamente la sua parola. Ad altri, come Aronne e David, fa pervenire la sua chiamata attraverso mediazioni umane.
Nell’Antico Testamento, dirette o mediate, le vocazioni particolari si collocano nell’ambito della comune vocazione degli israeliti ad essere il popolo dell’alleanza. La vocazione comporta sempre un disegno di amore da parte di Dio, una missione da compiere e una forma di vita corrispondente. Attende una risposta libera e fiduciosa di obbedienza da parte dell’uomo.
Ancora maggiore è il rilievo che la vocazione ha nel Nuovo Testamento. Sono chiamati i Dodici, Paolo, i cristiani tutti; alcuni purtroppo rimangono sordi.
Le vocazioni a particolari servizi e forme di vita stanno dentro la comune chiamata alla fede, alla santità, alla missione, alla gloria celeste.
Alla luce della chiamata rivolta al popolo di Dio e ai suoi singoli membri, l’esistenza umana come tale viene interpretata come vocazione. Creato a immagine di Dio, l’uomo è chiamato a dialogare con lui, a conoscerlo, amarlo, incontrarlo, per condividere infine la sua vita nell’eternità.
«La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 19)." (Fonte: http://www.educat.it/catechismo_degli_adulti/&iduib=3_1_21_1)

Nel "Ci sto", titolo della canzone c'è tutta la risposta alla chiamata di Dio.
  
Prima strofa

Ci sto a rompere schemi d’altri tempi, a superare questo tempo.
Ci sto a non seguire la corrente, quel fiume pieno di violenti.
Ci sto a guardare in faccia questo mondo, 

che si perde tra gli spot della nullità.
Ci sto a cambiare casa, a cambiare dove...andrò.

Ci sto a cambiare volto, a cambiare dove sto.

Continuiamo a parlare della vocazione: "La chiamata di Dio si inscrive nelle fibre del nostro essere. Anzitutto ci mette in grado di dargli una vera risposta: un sì o un no. Ci dona la libertà, che è padronanza interiore dei propri atti, autodeterminazione, capacità di scelte consapevoli, non soggette agli istinti spontanei o alle pressioni esteriori. Ci affida a noi stessi: «Se vuoi, osserverai i comandamenti; l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere» (Sir 15,15). (...) Contrariamente a quanto viene suggerito dalla mentalità edonistica, individualistica e nichilistica, siamo liberi per aderire alla verità e per attuare il bene: «La vera libertà è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l’uomo in mano al suo proprio consiglio, così che egli cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con l’adesione a lui, alla piena e beata perfezione» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 17)."
(Fonte: http://www.educat.it/catechismo_degli_adulti/&iduib=3_1_21_1)

"Superare questo tempo" ho scritto nella canzone, per me significa scegliere il tempo di Dio e abbandonare il modo di essere nel tempo degli uomini, sempre a perdere tempo appresso alle mode ad esempio, abbandonare il modo consueto di pensare la realtà, superando quanto a volte si dice spontaneamente: funziona così... Ma se ti metti nelle mani di Dio, non puoi sapere come funziona, devi stare continuamente all'ascolto per riuscire a capire il da farsi, quale strada, quale percorso intraprendere e poi farsi sorprendere dalle novità di cui è ricca la vita di un chiamato.
"Non seguire la corrente" dico nella canzone. Significa appunto che c'è un mondo che va alla perdizione ed io con l'aiuto di Dio cerco di remare contro, di andare contro corrente. Anche se è una fiumana perché quasi tutti vanno per quella strada semplice e piena di ogni piacere mondano. Infatti, "molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti" (Mt 22, 14).
 "Guardare in faccia questo mondo" capire come è realmente e rifiutare ogni compromesso con esso, sempre con l'aiuto di Dio, è un lavoro giornaliero. A volte bisogna saper stanare gli agguati del mondo che all'improvviso ti piomba addosso e può sporcarti in un attimo di disattenzione, in un momento in cui la guardia l'hai abbassata un pochino. Che fatica girare canale quando ci sono spot indecenti.
"Cambiare casa, cambiare dove sto..." Ecco il "Sì" ad essere disponibili per un esodo, dall'io al tu-Tu. È una continua "estasi", una continua uscita da sè. Anche qui quanto lavoro per non rinchiudersi in sé stesso...Anche qui ci vuole l'aiuto di Dio.

Insomma ogni frase è una risposta alla chiamata di Dio e un confermare a voler percorrere le strade di Dio e non quelle del mondo.

Seconda strofa

Ci sto a spogliarmi di quei panni sporchi, a soffrire per la morte.
Ci sto ad accontentarmi anche del poco, a non cantar sempre vittoria.
Ci sto a fare in pieno la mia parte anche se mi costerà, mi costerà.

Ci sto a cambiare casa, a cambiare dove... andrò.
Ci sto a cambiare volto, a cambiare dove... sto.


Si legge sempre nel CdA:  "Con la sua chiamata interiore Dio suscita la nostra libertà e si offre come meta alla nostra ricerca. Intanto ci viene incontro pubblicamente nella storia, inviando il suo Figlio Gesù Cristo a invitare tutti gli uomini alla festa della vita eterna. «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22.) L’iniziativa del suo amore ci interpella. Accettare il suo dono con «la fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6) significa realizzare se stessi; rifiutare il suo dono con il peccato significa perdere se stessi. «Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita» (1Gv 5,11-12). La risposta che daremo risulterà decisiva per la nostra riuscita o per il nostro fallimento. A ognuno di noi il Signore Gesù ripete l’appello rivolto al giovane ricco: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti... Se vuoi essere perfetto,... vieni e seguimi» (Mt 19,1721). Se vuoi vivere, devi fare il bene. L’urgenza della salvezza fonda l’obbligazione morale."
(Fonte: http://www.educat.it/catechismo_degli_adulti/&iduib=3_1_21_1)

"I panni sporchi" sono quelli della condizione di peccato. Quando si incontra Gesù ci facciamo subito doccia e shampo, e ci dona "il vestito nuovo" della festa.
"Soffrire per la morte" Oggi si tende a esorcizzare il dolore credendolo qualcosa di negativo e superfluo, ma Gesù con l'Incarnazione, ha preso in sé, nella natura divina, tutti i dolori umani e li ha riempiti della sua presenza tanto che San Paolo può dire: "Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2, 20). Essere disponibili "a bere al calice di Gesù" la propria goccia di sofferenza per la salvezza del mondo, ci fa co-redentori con Cristo. Il dolore dunque ha un valore enorme nell'economia della salvezza personale e dell'umanità intera. Certo costa lacrime e sangue, non è una passeggiata. Lo leggiamo nella vita di tutti i mistici. Dio chede la loro partecipazione alla sua passione ed è il più grande dono che Dio può farci, ma la mentalità della cultura nichilista ed edonista, ha svilito e smarrito il senso cristiano della sofferenza, giungendo a chiedere di morire prima, con la "morte assistita" che dicono: in un paese civile dovrebbe essere normale poterla ricevere. Ma se da una parte la stessa civiltà per avere figli sono disposti a surrogare donne infelici, dall'altra la vita la vogliono terminare come vogliono loro e quando vogliono loro e non parliamo poi di quanti omicidi-aborti si compiono in nome della libertà di mettere al mondo figli quando e come si vuole. Una società che esalta la cultura della morte quale futuro potrà avere?
Così Papa Francesco ai rappresentanti dell’associazione Scienza & Vita nel decennale della sua creazione (30 maggio 2015):
"Il grado di progresso di una civiltà si misura proprio dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili, più che dalla diffusione di strumenti tecnologici. Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente." (Fonte: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/may/documents/papa-francesco_20150530_associazione-scienza-vita.html)

Insomma seguire la "chiamata di Dio" non è semplice e "cambiare casa" come dico nella canzone non è una passeggiata e neanche "cambiare volto", ossia farsi permeare così fortemente da Gesù da non avere più semplicemente il proprio volto, ma quello di Gesù. Daltronde Lui ci ha detto: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13, 35). L'amore dunque ci da un altro volto, quello di nostro Signore.


 Primo ritornello

E non vivrò per possedere, né per ingannare il tempo,
per accumulare sogni, né per altre infermità...
ma sarò per te; si sarò per te: uomo nuovo, uomo libero, uomo Dio per Dio.


 Quando si incontra Dio, in Gesù e si fa esperienza del suo amore, non si ha bisogno di altro. Non hai bisogno di possedere denaro, cose, sedie di potere... né hai bisogno di divertirti sballandoti, perché con lo sballo perdi la lucidità di amare, permettendo al "subdolo" di farti del male e farne... Quanti ragazzi dopo le sbornie perdono la vita in incidenti mortali, quanti muoiono per le droghe di ogni tipo... Con Gesù non hai bisogno di drogarti perché LUI È TUTTO. Non hai bisogno di sognare altro che la caparra di Paradiso qui e, il godimento completo di là. E tutto si risolve nell'amare Dio e il Prossimo. E qui vi invito a sentire e vedere l'intervista fatta da Monica Mondo a Giovanni Ramonda Presidente dell'Associazione Giovanni XXIII fondata da don Benzi:



"Aveva 18 anni Giovanni Ramonda quando arrivò per la prima volta nella comunità di don Oreste Benzi come obiettore di coscienza, perché pensava che servire la patria attraverso il servizio civile fosse più affine al Vangelo. La comunità poi non l’ha più lasciata, colpito com’era da quella dimensione di casa famiglia che portava amore e conforto agli ultimi: ragazze sfruttate nella prostituzione, disabili gravi, stranieri, carcerati…come insegnano le opere di misericordia. Decide così quale sarebbe stato il suo destino: apre la prima Casa Famiglia della Comunità di Don Oreste in Piemonte insieme a Tiziana, che poi diventerà sua moglie, e continua gli studi in pedagogia, per essere padre davvero, di figli suoi e accolti nell’amore. Oggi Giovanni Ramonda ricopre il ruolo di Responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, ed è il primo successore di don Oreste Benzi. A dieci dalla morte di don Oreste, il santo riminese con la tonaca sdrucita che per 50 anni ha testimoniato l’amore scandaloso di Gesù ai diseredati, Giovanni Ramonda a Soul lo racconta, lo fa rivivere nella sua disarmante e profonda semplicità. Parla di famiglia senza il peso delle ideologie, parla delle splendide e necessarie differenze tra padre e madre, parla dell’accoglienza, della Chiesa, di un movimento che oggi vive in tanti paesi del mondo." (fonte: https://www.youtube.com/watch?v=9ngD06m87NA&list=PL6AqvbxnE8H7PE-ApWXO_1LhfkTI0CuZt)

 Abbiamo degli esempi di veri uomini realizzati eppure i giovani vanno in cerca di morti nell'anima che con qualche canzone e un pò di successo attirano, deviano, portano tante volte alla morte invece che verso la vita. La vera trasgressione non è andare contro Dio, ma come dice Giovanni nell'intervista, è amare senza misura chi ti passa accanto ed ha bisogno di te.

Terza strofa

Ci sto ad ascoltare la Parola da dove nascono le idee.
Ci sto a confrontarmi con gli onesti coi disonesti non ci sto.
Ci sto  a rispettare questo Cielo e la stagione che verrà, che verrà.

Ci sto a seminar prato e a creder che si può...
far nascere dei fiori in questa aridità.


Dopo aver rifiutato di ascoltare il mondo, l'unica cosa che si vorrà ascoltare è la PAROLA di DIO, ossia il Verbo incarnato che se ha lasciato le luci nella Sacra Scrittura, non lascia meno luci attraverso la vita di tanti santi. Ecco allora la passione per i mistici, i santi del quotidiano, piccoli e grandi, andarli a scovare, per bere le loro esperienze divine per poter continuare a credere e ad amare.
Quando ti apri a Dio, ti apri alla natura, non solo ne apprezzi la bellezza, ma dietro ne scorgi tutta l'Opera del Creatore e allora ti viene spontaneo partire per andare a seminare la Parola e convincere quante più persone che c'è un Dio per il quale vale la pena spendere la propria vita. E crederci che anche nel deserto di questa realtà, può fiorire un'anima a Dio.

Secondo ritornello

Ma vivrò per starti accanto, per non farti mancar nulla,
perché Dio fosse per te e per tutti quelli che, 

vogliono vivere, esistere, non per sé, coi perché, con Dio, e per Dio.

"L’appello di Dio risuona anche nel cuore dei non credenti. Anche loro infatti avvertono l’imperativo morale fondamentale: fà il bene, evita il male. Lo avvertono come obbligatorio e non solo come ragionevole. Anche quando non c’è un vantaggio personale verificabile, anche quando si tratta con uomini tutt’altro che amabili, si deve fare il bene e non il male. Implicitamente tutti intuiscono che i valori morali sono oggettivi e sono situati nella prospettiva del Bene assoluto che esige obbedienza. Se obbediscono, seguono la chiamata di Dio e accolgono la grazia di Cristo, anche senza saperlo, perché «la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina».
Il cristiano nutre sincera stima per tutti gli uomini di buona volontà; vede in loro dei compagni di viaggio verso la stessa mèta; è disposto a costruire con loro una convivenza giusta e fraterna. Egli rimane però sempre fedele alla propria identità; anzi sollecita con rispetto l’onestà morale a svilupparsi nella direzione della fede esplicita e consapevole.

Insieme a tutti gli uomini siamo chiamati alla vita eterna. Come cristiani siamo chiamati a camminare insieme verso di essa nella Chiesa e a pregustarne un anticipo. La risposta che daremo a Cristo è decisiva per la nostra salvezza." (Fonte: http://www.educat.it/catechismo_degli_adulti/&iduib=3_1_21_1)

Sentire dentro di sè quest'amore all'umanità, per la quale un Dio si è svenato per salvarla, è una conseguenza dell'aver incontrato Dio, che si fa presente a chi lo ama:

"Dice Charles de Foucauld: "Quando si ama qualcuno, si è molto realmente in lui, si è in lui con l'amore, si vive in lui con l'amore, non si vive più in sé, si è 'distaccati' da sé, 'fuori' di sé" .
Ed è per questo amore che si fa strada in noi la sua luce, la luce di Gesù, secondo la sua promessa: "A chi mi ama … mi manifesterò a lui" . L'amore è fonte di luce: amando si comprende di più Dio che è amore. E questo fa sì che si ami ancora di più e si approfondisca il rapporto con i prossimi.
 (..) Quando si va in bicicletta di notte, se ci si ferma si piomba nel buio, ma se ci si rimette a pedalare la dinamo darà la corrente necessaria per vedere la strada.
Così è nella vita: basta rimettere in moto l'amore, quello vero, quello che dà senza aspettarsi nulla, per riaccendere in noi la fede e la speranza."

(fonte: http://www.focolare.org/news/2010/05/01/parola-di-vita-di-maggio-2010/)