È veramente l'esperienza più bella che si può fare perché ti fa dire: Dio c'è, lo sento, lo percepisco, eccolo è fra noi. Esercitare tutte le forze dell'anima per poterne fare esperienza è ciò che fa diventare cristiani. Si fonda su Matteo 18, 20: "Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".
Ad intuirlo e a sperimentarlo fino a far diventare questa esperienza uno dei capisaldi della Spiritualità dell'Unità, fu Chiara Lubich. Dai suoi bellissimi scritti approfondiremo proprio la bellezza e la profondità di "Gesù in mezzo".
Ascoltiamo la canzone.
La prima strofa
Abitandoci, trasfigurandoci
non siamo più.
Non sono solo io,
non sei più solo tu.
“Siamo noi”,
siamo quello che dobbiamo essere.
Così spiega Chiara Lubich: "Forse niente spiega meglio l’esperienza
che le focolarine fecero fin dall’inizio – vivere cioè, come ben presto
impararono a dire, «con Gesù in mezzo a loro» –, quanto le parole dei
discepoli dopo l’incontro con il Signore risorto ad Emmaus:
«Non ardeva forse il nostro cuore, mentre egli conversava con noi lungo la via?» (Lc 24,32).
Gesù è sempre Gesù, e anche se è solo spiritualmente presente, quando lo è, spiega le Scritture, e arde nel petto la carità di Cristo: la vita. Fa dire con infinita nostalgia, quando lo si è conosciuto: «Resta con noi, Signore, perché si fa sera» (Lc 27,29).
«Non ardeva forse il nostro cuore, mentre egli conversava con noi lungo la via?» (Lc 24,32).
Gesù è sempre Gesù, e anche se è solo spiritualmente presente, quando lo è, spiega le Scritture, e arde nel petto la carità di Cristo: la vita. Fa dire con infinita nostalgia, quando lo si è conosciuto: «Resta con noi, Signore, perché si fa sera» (Lc 27,29).
L’esperienza
dei discepoli di Emmaus è essenziale per tutti coloro che si
riferiscono alla spiritualità dell’unità. Perché nulla ha valore nel
movimento se non si cerca e si ricerca la presenza promessa da Gesù in
mezzo ai suoi – «dove due o tre sono uniti nel mio nome, lì sono io in
mezzo a loro» (Mt 18,20) –, una presenza che vivifica, che allarga gli
orizzonti, che consola e che stimola alla carità e alla verità.
Scriveva
Chiara: «Avendo messo in atto l’amore vicendevole, avvertimmo nella
nostra vita una nuova sicurezza, una volontà più decisa, una pienezza di
vita. Come mai? È stato subito evidente: per questo amore si
realizzavano fra noi le parole di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel
mio nome (cioè nel mio amore) io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20).
Gesù, silenziosamente, si era introdotto come fratello invisibile, nel
nostro gruppo. Ed ora la fonte dell’amore e della luce era lì presente
in mezzo a noi. Non lo si volle più perdere. E meglio si comprendeva che
cosa poteva essere stata la sua presenza quando, per una nostra
mancanza, essa veniva meno.
«Non è
però che in quei momenti noi cercassimo tanto di ritornare nel mondo che
avevamo lasciato: troppo forte era stata l’esperienza di “Gesù in mezzo
a noi”, per poter essere attirate dalle vanità del mondo, che la sua
divina presenza aveva messe nelle loro infime proporzioni. Piuttosto,
come un naufrago si aggrappa a qualsiasi cosa per potersi salvare, così
anche noi cercavamo un qualsiasi metodo, suggerito dal Vangelo, per
poter ricomporre l’unità spezzata. E, come due legni incrociati
alimentano un fuoco consumando sé stessi, così, se si voleva vivere con
Gesù costantemente presente in mezzo a noi, era necessario vivere attimo
per attimo tutte quelle virtù (pazienza, prudenza, mitezza, povertà,
purezza…) che ci sono richieste perché l’unità soprannaturale coi
fratelli non venga mai meno. Capivamo che Gesù in mezzo a noi non è uno
stato acquisito una volta per sempre, perché Gesù è vita, è dinamismo
(…).
«”Dove due o più”: queste parole
divine e misteriose, spesse volte, nella loro attuazione, ci sono
apparse meravigliose. Dove due o più… e Gesù non specifica chi. Egli
lascia l’anonimato. Dove due o più… chiunque essi siano: due o più
peccatori pentiti che si uniscono nel nome suo; due o più ragazze come
eravamo noi; due, di cui uno è grande e l’altro piccolino… Dove due o
più… e, nel viverle, abbiamo visto crollare barriere su tutti i fronti.
Dove due o più… di patrie diverse: e crollavano i nazionalismi. Dove due
o più… di razze diverse: e crollava il razzismo. Dove due o più… anche
fra persone che di per sé sono sempre state pensate opposte per cultura,
classi, età… Tutti potevano, anzi dovevano unirsi nel nome di Cristo
(…).
«Gesù in mezzo a noi: fu
un’esperienza formidabile. La sua presenza premiava in modo
sovrabbondante ogni sacrificio fatto, giustificava ogni nostro passo
condotto in questa via, verso di lui e per lui, dava il giusto senso
alle cose, alle circostanze, confortava i dolori, temperava la troppa
gioia. E chiunque fra noi, senza sottigliezze e ragionamenti, credeva
alle sue parole con l’incanto di un bimbo e le metteva in pratica,
godeva di questo paradiso anticipato, che è il regno di Dio in mezzo
agli uomini uniti nel suo nome»."
Quanto Chiara descrive su Gesù in mezzo è sperimentabile, ma ci si arriva attraverso un allenamento costante della cosiddetta "tecnica dell'Unità" che Gesù ci ha mostrato con la Rivelazione dell'Amore di Dio e delle dinamiche trinitarie, tra le divine persone. Ma questo lo spieghiamo dopo.
Quanto Chiara descrive su Gesù in mezzo è sperimentabile, ma ci si arriva attraverso un allenamento costante della cosiddetta "tecnica dell'Unità" che Gesù ci ha mostrato con la Rivelazione dell'Amore di Dio e delle dinamiche trinitarie, tra le divine persone. Ma questo lo spieghiamo dopo.
Seconda strofa
Come abita in me, abita anche in te.
Come abita in me, abita anche in te.
Tra noi c’è il cielo.
Se ti perdi dentro me
ed io mi perdo dentro te
tra noi c’è Dio
non ci confonde, ma ci fa una cosa sola.
Quali sono allora le dinamiche dell'Amore trinitario, ossia la "tecnica dell'Unità"?
Da un discorso alle focolarine di Chiara Lubich:
Amare ed essere amati
(...) La volontà di Dio è Dio e Dio è Amore. La sua volontà, quindi, è amore. Ed è che anche noi amiamo: Lui con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e ogni prossimo come noi stessi (cf Mt 22, 37-39). Anche noi dovevamo nella vita essere amore: piccoli soli accanto al Sole. Se la parola «amore», in quell’epoca, indicava comunemente il sentimento naturale che lega tra loro un uomo e una donna, o l’erotismo; e non era usata in genere nel linguaggio religioso, dove si preferiva il termine carità, spesso però col significato più restrittivo di elemosina, la particolare manifestazione di Dio Amore che avevamo avuto, e il contatto diretto con la Parola di Dio, ci avevano rimesso in luce il suo significato cristiano. Anzi, abbiamo subito intuito che l’amore era il cuore del messaggio cristiano, ed era quindi dovere assoluto metterlo in pratica. Si è iniziato con l’amare i poveri, ma ben presto, per questa pratica – giacché l’amore porta luce –, si è capito che esso doveva essere rivolto a tutti. Ma come? Servendo, si diceva. «Servendo», che lo Spirito ci ha spiegato ben presto con due parole: «Farsi uno».
«Farsi uno – si legge in uno scritto – con ogni persona che incontriamo: condividere i suoi sentimenti; portare i suoi pesi; sentire in noi i suoi problemi e risolverli come cosa nostra, fatta nostra dall’amore. Farsi uno con gli altri in tutto, fuorché nel peccato. È il “farsi tutto a tutti” di san Paolo (cf. 1 Cor 9, 22). Questo “farsi uno” esige la continua morte di noi stessi. Ma è proprio per questo che il prossimo, amato così, prima o poi viene conquistato da Cristo che vive in noi sulla morte del nostro io». Ma quand’è così, il fratello risponde al nostro amore con il suo amore. Ed ecco l’amore al prossimo che sfocia nella reciprocità. «Quanti prossimi incontri nella giornata tua, dall’alba alla sera – troviamo scritto –, in altrettanti vedi Gesù. Se il tuo occhio è semplice, chi guarda in esso è Dio. E Dio è Amore e l’amore vuole unire, conquistando. (...) Guarda fuori di te: non in te, non nelle cose, non nelle creature: guarda al Dio fuori di te per unirti con lui.
Egli è in fondo ad ogni anima che vive e, se morta, è il tabernacolo di Dio che essa attende a gioia ed espressione della propria esistenza. Guarda dunque ogni fratello amando e l’amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato. Così l’amore è amare ed essere amato: come nella Trinità. E Dio in te rapirà i cuori, accendendovi la Trinità che in essi riposa magari per la grazia, ma vi
è spenta. (...) Guarda dunque ad ogni fratello, donandoti a lui per donarti a Gesù e Gesù si donerà a te. È legge d’amore: “Date e vi sarà dato” (Lc 6, 38). Lasciati possedere da lui (dal fratello) – per amore di Gesù –; lasciati “mangiare” da lui, come altra Eucaristia; mettiti tutto al servizio di lui, che è servizio di Dio, ed il fratello verrà a te e t’amerà. (...) L’amore è un fuoco che compenetra i cuori in fusione perfetta. Allora ritroverai in te non più te, non più il fratello; ritroverai l’Amore che è Dio vivente in te. E l’Amore uscirà ad amare altri fratelli perché, semplificato l’occhio, ritroverà Sé in essi e tutti saranno uno (...)». E «tutti saranno uno». Non quindi un amore qualunque, ma l’amore che porta l’unità.
( Fonte: Da Chiara Lubich, Una via nuova. La spiritualità dell'unità, Città Nuova, Roma 2002, 2003 www.centrochiaralubich.org/it/pdf/italiano/1720-chi-19951209-it-1/file.html)
Quali sono allora le dinamiche dell'Amore trinitario, ossia la "tecnica dell'Unità"?
Da un discorso alle focolarine di Chiara Lubich:
Amare ed essere amati
(...) La volontà di Dio è Dio e Dio è Amore. La sua volontà, quindi, è amore. Ed è che anche noi amiamo: Lui con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e ogni prossimo come noi stessi (cf Mt 22, 37-39). Anche noi dovevamo nella vita essere amore: piccoli soli accanto al Sole. Se la parola «amore», in quell’epoca, indicava comunemente il sentimento naturale che lega tra loro un uomo e una donna, o l’erotismo; e non era usata in genere nel linguaggio religioso, dove si preferiva il termine carità, spesso però col significato più restrittivo di elemosina, la particolare manifestazione di Dio Amore che avevamo avuto, e il contatto diretto con la Parola di Dio, ci avevano rimesso in luce il suo significato cristiano. Anzi, abbiamo subito intuito che l’amore era il cuore del messaggio cristiano, ed era quindi dovere assoluto metterlo in pratica. Si è iniziato con l’amare i poveri, ma ben presto, per questa pratica – giacché l’amore porta luce –, si è capito che esso doveva essere rivolto a tutti. Ma come? Servendo, si diceva. «Servendo», che lo Spirito ci ha spiegato ben presto con due parole: «Farsi uno».
«Farsi uno – si legge in uno scritto – con ogni persona che incontriamo: condividere i suoi sentimenti; portare i suoi pesi; sentire in noi i suoi problemi e risolverli come cosa nostra, fatta nostra dall’amore. Farsi uno con gli altri in tutto, fuorché nel peccato. È il “farsi tutto a tutti” di san Paolo (cf. 1 Cor 9, 22). Questo “farsi uno” esige la continua morte di noi stessi. Ma è proprio per questo che il prossimo, amato così, prima o poi viene conquistato da Cristo che vive in noi sulla morte del nostro io». Ma quand’è così, il fratello risponde al nostro amore con il suo amore. Ed ecco l’amore al prossimo che sfocia nella reciprocità. «Quanti prossimi incontri nella giornata tua, dall’alba alla sera – troviamo scritto –, in altrettanti vedi Gesù. Se il tuo occhio è semplice, chi guarda in esso è Dio. E Dio è Amore e l’amore vuole unire, conquistando. (...) Guarda fuori di te: non in te, non nelle cose, non nelle creature: guarda al Dio fuori di te per unirti con lui.
Egli è in fondo ad ogni anima che vive e, se morta, è il tabernacolo di Dio che essa attende a gioia ed espressione della propria esistenza. Guarda dunque ogni fratello amando e l’amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato. Così l’amore è amare ed essere amato: come nella Trinità. E Dio in te rapirà i cuori, accendendovi la Trinità che in essi riposa magari per la grazia, ma vi
è spenta. (...) Guarda dunque ad ogni fratello, donandoti a lui per donarti a Gesù e Gesù si donerà a te. È legge d’amore: “Date e vi sarà dato” (Lc 6, 38). Lasciati possedere da lui (dal fratello) – per amore di Gesù –; lasciati “mangiare” da lui, come altra Eucaristia; mettiti tutto al servizio di lui, che è servizio di Dio, ed il fratello verrà a te e t’amerà. (...) L’amore è un fuoco che compenetra i cuori in fusione perfetta. Allora ritroverai in te non più te, non più il fratello; ritroverai l’Amore che è Dio vivente in te. E l’Amore uscirà ad amare altri fratelli perché, semplificato l’occhio, ritroverà Sé in essi e tutti saranno uno (...)». E «tutti saranno uno». Non quindi un amore qualunque, ma l’amore che porta l’unità.
( Fonte: Da Chiara Lubich, Una via nuova. La spiritualità dell'unità, Città Nuova, Roma 2002, 2003 www.centrochiaralubich.org/it/pdf/italiano/1720-chi-19951209-it-1/file.html)
Ritornello
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
insieme sul crinale
a guardar la realtà
con occhi nuovi.
Per...Dio in
me, Dio in te, Dio fra noi
si entra nel Mistero
nella Vita, quella Vera
all’improvviso.
Per...Dio in
me, Dio in te, Dio fra noi
non ci sono più montagne,
ma si va subito dentro
al Cielo, al Cielo, al Cielo.
La Trinità dunque, la si può imparare a vivere, ed è forse il modo migliore di amarla. Papa Giovanni Paolo II nella "Novo millennium ineunte" ne parla tantissimo fino a dire che la Chiesa deve diventare "casa e scuola di comunione" dove la comunione è appunto la vita trinitaria, ossia la Trinità vissuta tra due o più...Certo la Trinità in sè è ineffabile, ma l'Amore di Dio vissuto tra due o più, attira Dio stesso e dunque in qualche modo la Trinità fa capolino in mezzo a coloro che si ammano con la tecnica dell'Unità. Provare per credere e...credere per provare.
Aggiungo il frutto di un lavoro svolto per la mia diocesi confluito in una "Regola per i presbiteri" (https://www.diocesinola.it/downloads/category_28/Regola-per-i-presbiteri.pdf), lavoro a quattro mani, poi assemplato dal vicario generale.
"... ora vogliamo dare elementi concreti alla realizzazione di una “spiritualità di comunione” (per usare ancora un’espressione della NMI 43), credendo che la Trinità può essere rivissuta e può indicarci il “come”, la possibilità dell’esperienza trinitaria, che tante volte si pensa sia troppo lontana. L’Uni-Trinità ci dice l’essenza di Dio ma racchiude anche la qualità delle relazioni che occorrono per realizzare la parola e il testamento di Gesù: “Siate uno affinché il mondo creda” (Gv 17, 21). La chiave di volta per poter realizzare una tale comunione è nel Crocefisso, in Lui ci viene rivelato l’intimo di Dio, le relazioni per le quali la comunione può diventare piena, efficace, creativa... Inoltre, relazione è sinonimo di comunicazione. “Gesù è il perfetto comunicatore” del Padre e dello Spirito (Comunicazione e missione, 33). Da Lui impariamo l’arte del comunicare, del relazionarci, dell’amarci:
Con i suoi gesti e le sue parole, soprattutto nell’evento della Pasqua, Cristo rivela in maniera definitiva ed inequivocabile il volto del Dio uno e trino, nel quale l’unità non significa solitudine e la molteplicità non si risolve in dispersione. Lo Spirito, vincolo e legame d’amore tra il Padre e il Figlio, rende la comunione trinitaria possibile, costituendola come luogo della comunicazione e della donazione reciproca fra le tre persone divine. [...] Siamo qui alla radice dell’origine e del senso della comunicazione: “La fede cristiana ci ricorda che l’unione fraterna fra gli uomini (fine primario di ogni comunicazione) trova la sua fonte e quasi un modello nell’altissimo mistero dell’eterna comunione trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, uniti in un’unica vita
divina”. (Comunicaizone e missione, 33)
Pericoresi, Kenosi, Agape, per relazioni “nuove”
La pericoresi riferita alla Trinità significa il mutuo contenersi, il reciproco inerire dell’uno
nell'altro, la compenetrazione che avviene tra le tre Persone divine, in maniera tale che pur unite non si confondono tra loro. La kènosis significa l’annullarsi per amore, davanti all’altro. L’agàpe non è altro che l’amore di Dio “riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5,5). Nella riflessione successiva la tradizione della Chiesa interpreta l’agàpe come un amore che non «si aggiunge agli amori umani, come imposto dal di fuori. È l’amore che sottostà a tutte le possibilità umane d’amare». Questo significa che «Ogni tipo d’amore umano è più pienamente tale, nella misura in cui si modella sull’amore che viene da Dio». Cosa avviene tra “due o più” che intendano realizzare L’agape, la kenosi e la pericoresi secondo il modello della Trinità? Ci sembra di individuare almeno cinque conseguenze...
Ma le vediamo dopo...
Terza strofa
Rispecchiandoci, consumandoci
Aggiungo il frutto di un lavoro svolto per la mia diocesi confluito in una "Regola per i presbiteri" (https://www.diocesinola.it/downloads/category_28/Regola-per-i-presbiteri.pdf), lavoro a quattro mani, poi assemplato dal vicario generale.
"... ora vogliamo dare elementi concreti alla realizzazione di una “spiritualità di comunione” (per usare ancora un’espressione della NMI 43), credendo che la Trinità può essere rivissuta e può indicarci il “come”, la possibilità dell’esperienza trinitaria, che tante volte si pensa sia troppo lontana. L’Uni-Trinità ci dice l’essenza di Dio ma racchiude anche la qualità delle relazioni che occorrono per realizzare la parola e il testamento di Gesù: “Siate uno affinché il mondo creda” (Gv 17, 21). La chiave di volta per poter realizzare una tale comunione è nel Crocefisso, in Lui ci viene rivelato l’intimo di Dio, le relazioni per le quali la comunione può diventare piena, efficace, creativa... Inoltre, relazione è sinonimo di comunicazione. “Gesù è il perfetto comunicatore” del Padre e dello Spirito (Comunicazione e missione, 33). Da Lui impariamo l’arte del comunicare, del relazionarci, dell’amarci:
Con i suoi gesti e le sue parole, soprattutto nell’evento della Pasqua, Cristo rivela in maniera definitiva ed inequivocabile il volto del Dio uno e trino, nel quale l’unità non significa solitudine e la molteplicità non si risolve in dispersione. Lo Spirito, vincolo e legame d’amore tra il Padre e il Figlio, rende la comunione trinitaria possibile, costituendola come luogo della comunicazione e della donazione reciproca fra le tre persone divine. [...] Siamo qui alla radice dell’origine e del senso della comunicazione: “La fede cristiana ci ricorda che l’unione fraterna fra gli uomini (fine primario di ogni comunicazione) trova la sua fonte e quasi un modello nell’altissimo mistero dell’eterna comunione trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, uniti in un’unica vita
divina”. (Comunicaizone e missione, 33)
Pericoresi, Kenosi, Agape, per relazioni “nuove”
La pericoresi riferita alla Trinità significa il mutuo contenersi, il reciproco inerire dell’uno
nell'altro, la compenetrazione che avviene tra le tre Persone divine, in maniera tale che pur unite non si confondono tra loro. La kènosis significa l’annullarsi per amore, davanti all’altro. L’agàpe non è altro che l’amore di Dio “riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5,5). Nella riflessione successiva la tradizione della Chiesa interpreta l’agàpe come un amore che non «si aggiunge agli amori umani, come imposto dal di fuori. È l’amore che sottostà a tutte le possibilità umane d’amare». Questo significa che «Ogni tipo d’amore umano è più pienamente tale, nella misura in cui si modella sull’amore che viene da Dio». Cosa avviene tra “due o più” che intendano realizzare L’agape, la kenosi e la pericoresi secondo il modello della Trinità? Ci sembra di individuare almeno cinque conseguenze...
Ma le vediamo dopo...
Rispecchiandoci, consumandoci
nell’uno che è l’Amore,
mi darò fino alla fine,
ti darai anche tu così.
Questo è l’Amore,
l’Amore che ci fonde in unità.
Ritorniamo alle conseguenze che si hanno se ci si ama trinitariamente. Ripeto, quanto dico è il frutto di un mio studio, come contributo ad una "Regola per i presbiteri" della mia diocesi (sopra c'è il link).
a) La relazione trinitaria ci fonda come persone: diventiamo quello che dobbiamo essere.
Le parole di Gesù riportate da Giovanni: “Io e il Padre ...” (Gv 10, 30), rivelano un primo aspetto delle relazioni intratrinitarie ma che costituiscono anche il senso di ogni altra relazione su questa terra. Io sarò veramente me stesso nella misura in cui faccio essere l’altro, e di rimando l’altro non può fare a meno di me per essere. Che bello se ci convincessimo di questa grande verità e che davvero il “Corpo Mistico” non è un difficile assioma teologico, ma una verità concreta e visibile nella misura in cui si vive già a questo primo livello di relazione: tu per me sei importante, io non posso fare a meno di te, perché con te e in te, io sono me stesso, e tu trovi e ritrovi te stesso in me e con te.
b) Siamo chiamati a essere distinti nell’unità sul modello trinitario.
L’espressione di Gesù: "Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv 14, 11; 14, 20; 10,38) considerata nella totalità dei gesti, delle parole e delle opere compiute dal Gesù storico, è chiarificatrice del rapporto Figlio-Padre nella Trinità economica e di qui si apre per noi uno spiraglio di comprensione per quella immanente: due alterità in dialogo, e con lo Spirito Santo tre, accomunate dalla medesima divinità. Anche sul piano dell’esperienza di fede, l’agape, la kenosi e la conseguente pericoresi se ben vissute non annullano le nostre caratteristiche individuali, ma le portano a pienezza, sicché io sarò più io e tu sarai più tu. La necessità di essere in comunione e dunque in unità, fa sì che per amore dobbiamo anche essere distinti e dunque non desidererò di essere te (invidiandoti), ma farò di tutto perché tu possa essere il più felicemente e pienamente per quanto è possibile te stesso.
c) La relazione trinitaria fonte di una testimonianza efficace.
Nella dinamica dei rapporti trinitari nella singola persona si coglie il tutto: "Chi vede me, vede il Padre" (Gv 14, 9).10 Se io sono in Dio e Dio è in me, tutto quello che faccio e sono, sono io totalmente a esserlo e a farlo, ma anche è Dio totalmente in me che è e che fa: “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28). Come insegnano i santi, dobbiamo vivere come se tutto dipendesse da noi ma sapendo che tutto dipende da Dio; si tratta ovviamente di due “totalità” vere ma diverse: quella di Dio fondante, causale, mentre la nostra è partecipativa, di risposta. È questa mutua interazione fra Dio e l’uomo, che rende possibile la Presenza di Dio (cfr. Gv 14, 23, Mt 18, 20). Vivere in modo trinitario con Dio e tra noi ci fa essere Chiesa, Presenza di Dio-Amore nel mondo.
d) L’altruismo-reciprocità ci apre a nuove aperture culturali e sociali. “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie" (Gv 17, 10; cf. 16, 15). La concretezza della vita di comunione ha un risvolto praticissimo ad esempio nella comunione dei beni, che possono essere spirituali, materiali, intellettuali, ecc.:
La comunione dei beni come esigenza della partecipazione allo stesso amore di Gesù, non è soltanto una prospettiva economica, ma teologica, ecclesiologica: ha dietro una visione di Dio, della Chiesa, dell’umanità. (...) Le persone (e analogamente le comunità, le istituzioni, le nazioni, ecc.) agiscono in senso trinitario allorché vivono con le altre, per le altre, nelle altre e grazie alle altre. Non è sufficiente stare "con" per vivere secondo uno stile trinitario, perché potrebbe significare semplicemente uno stare "insieme" statico, una giustapposizione sterile e asettica degli uni accanto degli altri. Non basta neanche che uno viva "per" gli altri, in quanto questo costituirebbe soltanto il primo passo verso la trinitarietà, che esige anche la reciprocità. È solo la congiunzione di questi quattro atteggiamenti indicati che produce un'autentica pericoresi,
con tutte le sue conseguenze comunionali e i suoi risvolti non solo ecclesiali ma anche antropologici, culturali e sociali.
e) Lo svuotamento-pienezza dinamica dell’Amore trinitario "Che siano come noi una cosa sola" (Gv 17, 22). Di nuovo ritorna la Croce a dirci l’amore per eccellenza:
Il volto del Dio cristiano che sinteticamente è espresso da san Giovanni nella frase “Dio è Amore”, si rivela storicamente nell'abbandono di Cristo in croce come amore trinitario. Il Padre per amore dona il Figlio, il Figlio per amore dona se stesso, vivendo dall'interno la situazione di lontananza da Dio in cui versa l'umanità peccatrice, e vince questa situazione nella ”ritrovata” unità col Padre nello Spirito Santo. L'abbandono è dunque il momento-culmine della rivelazione storica del Dio trinitario.
Prendendo a prestito le parole di E. Cambón, diciamo a proposito della necessità d’essere nulla per amore che: «Non può esistere unità trinitaria senza una kènosis reciproca, ossia senza un evangelico "svuotarsi" o spogliamento di sé, senza quel perdersi l'uno nell'altro per amore che permette ad ognuno di essere se stesso in pienezza». Due cose – tra tante altre - ci insegna la kènosi: il silenzio e l’ascolto. Senza il primo non c’è il secondo. La fecondità dell’essere in Dio si gioca tutta qui:
La kènosis per amore siamo chiamati a viverla tutti, oltre che nei confronti di Dio in sé, anche nei riguardi di Dio nel fratello. In tal modo è possibile sperimentare la presenza della Trinità "non solo in sé, ma anche negli altri e nella comunione reciproca... non solo nel fratello ma anche nel rapporto tra fratelli". Questo non toglie l'oscurità, però la illumina, offre un'esperienza che ci apre alla fede, la fa possibile, la rinforza. Cogliere in questa maniera "trinitaria" il rapporto tra Dio e l'umanità sarà sicuramente decisivo per il futuro della fede. E' molto citata la frase di K. Rahner: "il cristiano del futuro o sarà un mistico, cioè una persona che ha sperimentato qualcosa, o non riuscirà ad essere cristiano".
È una vera e propria sfida a credere nell'Amore e a viverlo.
Quarta strofa
Aprendoci, dischiudendoci
a) La relazione trinitaria ci fonda come persone: diventiamo quello che dobbiamo essere.
Le parole di Gesù riportate da Giovanni: “Io e il Padre ...” (Gv 10, 30), rivelano un primo aspetto delle relazioni intratrinitarie ma che costituiscono anche il senso di ogni altra relazione su questa terra. Io sarò veramente me stesso nella misura in cui faccio essere l’altro, e di rimando l’altro non può fare a meno di me per essere. Che bello se ci convincessimo di questa grande verità e che davvero il “Corpo Mistico” non è un difficile assioma teologico, ma una verità concreta e visibile nella misura in cui si vive già a questo primo livello di relazione: tu per me sei importante, io non posso fare a meno di te, perché con te e in te, io sono me stesso, e tu trovi e ritrovi te stesso in me e con te.
b) Siamo chiamati a essere distinti nell’unità sul modello trinitario.
L’espressione di Gesù: "Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv 14, 11; 14, 20; 10,38) considerata nella totalità dei gesti, delle parole e delle opere compiute dal Gesù storico, è chiarificatrice del rapporto Figlio-Padre nella Trinità economica e di qui si apre per noi uno spiraglio di comprensione per quella immanente: due alterità in dialogo, e con lo Spirito Santo tre, accomunate dalla medesima divinità. Anche sul piano dell’esperienza di fede, l’agape, la kenosi e la conseguente pericoresi se ben vissute non annullano le nostre caratteristiche individuali, ma le portano a pienezza, sicché io sarò più io e tu sarai più tu. La necessità di essere in comunione e dunque in unità, fa sì che per amore dobbiamo anche essere distinti e dunque non desidererò di essere te (invidiandoti), ma farò di tutto perché tu possa essere il più felicemente e pienamente per quanto è possibile te stesso.
c) La relazione trinitaria fonte di una testimonianza efficace.
Nella dinamica dei rapporti trinitari nella singola persona si coglie il tutto: "Chi vede me, vede il Padre" (Gv 14, 9).10 Se io sono in Dio e Dio è in me, tutto quello che faccio e sono, sono io totalmente a esserlo e a farlo, ma anche è Dio totalmente in me che è e che fa: “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28). Come insegnano i santi, dobbiamo vivere come se tutto dipendesse da noi ma sapendo che tutto dipende da Dio; si tratta ovviamente di due “totalità” vere ma diverse: quella di Dio fondante, causale, mentre la nostra è partecipativa, di risposta. È questa mutua interazione fra Dio e l’uomo, che rende possibile la Presenza di Dio (cfr. Gv 14, 23, Mt 18, 20). Vivere in modo trinitario con Dio e tra noi ci fa essere Chiesa, Presenza di Dio-Amore nel mondo.
d) L’altruismo-reciprocità ci apre a nuove aperture culturali e sociali. “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie" (Gv 17, 10; cf. 16, 15). La concretezza della vita di comunione ha un risvolto praticissimo ad esempio nella comunione dei beni, che possono essere spirituali, materiali, intellettuali, ecc.:
La comunione dei beni come esigenza della partecipazione allo stesso amore di Gesù, non è soltanto una prospettiva economica, ma teologica, ecclesiologica: ha dietro una visione di Dio, della Chiesa, dell’umanità. (...) Le persone (e analogamente le comunità, le istituzioni, le nazioni, ecc.) agiscono in senso trinitario allorché vivono con le altre, per le altre, nelle altre e grazie alle altre. Non è sufficiente stare "con" per vivere secondo uno stile trinitario, perché potrebbe significare semplicemente uno stare "insieme" statico, una giustapposizione sterile e asettica degli uni accanto degli altri. Non basta neanche che uno viva "per" gli altri, in quanto questo costituirebbe soltanto il primo passo verso la trinitarietà, che esige anche la reciprocità. È solo la congiunzione di questi quattro atteggiamenti indicati che produce un'autentica pericoresi,
con tutte le sue conseguenze comunionali e i suoi risvolti non solo ecclesiali ma anche antropologici, culturali e sociali.
e) Lo svuotamento-pienezza dinamica dell’Amore trinitario "Che siano come noi una cosa sola" (Gv 17, 22). Di nuovo ritorna la Croce a dirci l’amore per eccellenza:
Il volto del Dio cristiano che sinteticamente è espresso da san Giovanni nella frase “Dio è Amore”, si rivela storicamente nell'abbandono di Cristo in croce come amore trinitario. Il Padre per amore dona il Figlio, il Figlio per amore dona se stesso, vivendo dall'interno la situazione di lontananza da Dio in cui versa l'umanità peccatrice, e vince questa situazione nella ”ritrovata” unità col Padre nello Spirito Santo. L'abbandono è dunque il momento-culmine della rivelazione storica del Dio trinitario.
Prendendo a prestito le parole di E. Cambón, diciamo a proposito della necessità d’essere nulla per amore che: «Non può esistere unità trinitaria senza una kènosis reciproca, ossia senza un evangelico "svuotarsi" o spogliamento di sé, senza quel perdersi l'uno nell'altro per amore che permette ad ognuno di essere se stesso in pienezza». Due cose – tra tante altre - ci insegna la kènosi: il silenzio e l’ascolto. Senza il primo non c’è il secondo. La fecondità dell’essere in Dio si gioca tutta qui:
La kènosis per amore siamo chiamati a viverla tutti, oltre che nei confronti di Dio in sé, anche nei riguardi di Dio nel fratello. In tal modo è possibile sperimentare la presenza della Trinità "non solo in sé, ma anche negli altri e nella comunione reciproca... non solo nel fratello ma anche nel rapporto tra fratelli". Questo non toglie l'oscurità, però la illumina, offre un'esperienza che ci apre alla fede, la fa possibile, la rinforza. Cogliere in questa maniera "trinitaria" il rapporto tra Dio e l'umanità sarà sicuramente decisivo per il futuro della fede. E' molto citata la frase di K. Rahner: "il cristiano del futuro o sarà un mistico, cioè una persona che ha sperimentato qualcosa, o non riuscirà ad essere cristiano".
È una vera e propria sfida a credere nell'Amore e a viverlo.
Quarta strofa
Aprendoci, dischiudendoci
fuori di noi,
abbracciando l’abbandono
della gente intorno a noi,
dilagherà la Vita,
raccoglieremo tutti sotto al Cielo.Così continuo nel lavoro fatto per i sacerdoti della mia diocesi:
Applicazione della ”uni-trinitarietà”
Tra vescovo e presbiteri, tra questi e le comunità parrocchiali e coi vari movimenti o associazioni, occorre che l’agape, la kenosi e la pericoresi siano sincere e fattive per far si che la testimonianza di fede diventi palpabile e attraente: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Ora se “in principio vi è la relazione” (M. Boober), che fa essere l’Amore, così dev’essere tra noi. La qualità delle nostre relazioni porterà il cambiamento desiderato perché l’unica novità è sempre Dio, che tutto rinnova e tutto muove ed Egli sarà in mezzo a noi, perché l’ha promesso, perché vuole ”divinizzare” le nostre vite:
La comunione è il frutto e la manifestazione di quell'amore che, sgorgando dal cuore dell'eterno Padre, si riversa in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci dona (cfr Rm 5, 5), per fare di tutti noi ”un cuore solo e un'anima sola” (At 4, 32). È realizzando questa comunione di amore che la Chiesa si manifesta come ”sacramento”, ossia ”segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano”. Le parole del Signore, a questo proposito, sono troppo precise per poterne ridurre la portata. (NMI 42)
Certo occorrerebbe organizzare (come augurava lo stesso Giovanni Paolo II alla chiusura del Sinodo della Chiesa di Roma) ”scuole di ecclesiologia di comunione”, dove s’impari la comunione trinitaria non solo concettualmente ma soprattutto nella pratica. Sempre papa Wojtyla esortava:
«Occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell'altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità» (NMI 43).
Tutto questo si auspica da sempre, ma è come se mancassero dei consigli pratici e un “allenamento” per la sua attualizzazione. Non si tratta tanto di creare nuove strutture, ma di cambiarle dal di dentro: «Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita» (Ibid.).15
I frutti che porta nella vita del presbitero, una spiritualità fondata sull’uni-trinità sono davvero notevoli. Anzi è proprio dal vivere che si giunge a parlare di vita uni-trinitaria: prima la vita e poi la teoria. Tutti i grandi carismi sono nati prima dalla vita e poi vivono la fase di istituzionalizzazione. Essi vengono da Dio e nel tempo Dio li rivela attraverso i vari fondatori, facendocene comprendere la portata, il valore, il servizio, che devono realizzare nella Chiesa, Corpo Mistico di Cristo. Ogni Carisma dunque aiuta tutte le membra della Chiesa locale o universale, per la comunione trinitaria descritta sopra e non se ne può fare a meno, si rischia di vanificare i doni di Dio. Né si può dire che ce ne siano di più belli o meno belli, di migliori o di peggiori. Tutti i Carismi sono doni di Dio e per questo col debito discernimento ecclesiale vanno riconosciuti e aiutati allo stesso modo. Se Dio parla ancora inviando dei nuovi Carismi non è che vuole cancellare quelli già esistenti, semmai desidera che questi si ravvivino. Così i princìpi descritti sopra dell’Uni-Trinità dei rapporti sono fondamentali a qualsiasi membro dell’Ecclesia, ne costituiscono l’anima, il cuore. Se non c’è prima l’AMORE del Dio Trino e Uno, rivissuto coi rapporti agapici, pericoretici e kenotici non ci può essere nient’altro.
Ritornello
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
insieme sul crinale
a guardar la realtà
con occhi nuovi.
Per...Dio in
me, Dio in te, Dio fra noi
si entra nel Mistero
nella Vita, quella Vera
all’improvviso.
Per...Dio in
me, Dio in te, Dio fra noi
non ci sono più montagne,
ma si va subito dentro
al Cielo, al Cielo, al Cielo.
Davvero la Chiesa sarebbe bellissima se rispecchiasse l'Amore uni-trino, trinitario. Purtroppo dobbiamo fare i conti con l'umano e col demonio, che ci mette i bastoni fra le ruote, ma la guerra sarebbe impari, se non avessimo la GRAZIA di Dio. E proprio perché dalla notra è Dio, dobbiamo crederci con tutte le nostre forze ed essere perseveranti...perché con "la vostra perseveranza salverete le vostre anime".
Davvero la Chiesa sarebbe bellissima se rispecchiasse l'Amore uni-trino, trinitario. Purtroppo dobbiamo fare i conti con l'umano e col demonio, che ci mette i bastoni fra le ruote, ma la guerra sarebbe impari, se non avessimo la GRAZIA di Dio. E proprio perché dalla notra è Dio, dobbiamo crederci con tutte le nostre forze ed essere perseveranti...perché con "la vostra perseveranza salverete le vostre anime".
Nessun commento:
Posta un commento