domenica 17 dicembre 2017

Ponte fra cielo e terra

Una canzone difficile, profonda, dedicata a Gesù Crocifisso nel suo grido estremo: "Perchè mi hai abbandonato". È difficile non tanto musicalmente, ma quanto a livello del testo. Se non si conosce il mistero del "grido" di Gesù, non si entra nella sua comprensione. E chissà quanti ascoltandola, non vi entrano e magari si fermano a dire: "non la capisco". In realtà in essa c'è la soluzione a tutti i nostri "perchè" esistenziali, morali, umani...e ultraumani.
La scrissi perché pensavo potesse diventare inno di un congresso di seminaristi a livello mondiale, del Movimento dei Focolari, che aveva come titolo: "Gesù Abbandonato, ponte fra cielo e terra". C'è tutto dentro la terra con tutte le sfide e il Cielo con tutte le Grazie. Venne fuori questa canzone e non si prestava ad essere un inno che avrebbe dovuto coinvolgere, far cantare in coro. Questa canzone invece si presta al solo ascolto e alla meditazione.




Il titolo l'ho già spiegato da dove viene. Il bello sarà spiegare il resto.

 Prima strofa
Distendi le braccia, su quella realtà
e abbraccia di faccia il dolore tuo proprio.
Entra negli occhi suoi.
Passa quel ponte sospeso sul nulla.


 L'editoriale di Gen's del 4 ottobre 2016, fa da apripista a quanto vorrei dire innanzitutto sul simbolo cristiano: la croce e per questo lo riporto pari pari.

Editoriale
 La Croce, come si sa, era cosa scandalosa per l’ambiente in cui è iniziato il cristianesimo, e giustamente: è realmente tale! Oggi la si porta spesso dorata a una catenina, ma forse non si è consci fino in fondo del suo significato del suo sconvolgente messaggio. In quei tempi non la si poteva rappresentare pubblicamente quali simbolo della fede: era improponibile credere in un Dio la cui vicenda era finita in un simile e umiliante supplizio. Un espediente trovato dei primi secoli, scoperto nelle catacombe, è stato raffigurarla sotto forma di un’ancora. E con ciò esprimere pure il suo singolare valore: un segno di speranza che, in mezzo alle 1000 incertezze della vita e alle vicissitudini non di rado tragiche della storia, da sicurezza. Paradossalmente, è stata proprio la discesa dell’uomo-Dio fin negli abissi della morte del male - e la sua risurrezione! – a fare da punto fermo dove tutto vacillava, infondere nei seguaci di Gesù un’invincibile speranza di vita.
Nel nostro tempo ci vengono meno tanti punti di riferimento sui quali pensavamo di poter poggiare saldamente: un ordine mondiale che, con la seconda guerra mondiale, sembrava avviato in modo crescente verso un riconoscimento dei diritti di tutti e verso la pace; un Welfare che all’interno di certi Stati prometteva maggiore equità; una serietà nell’amministrazione della cosa pubblica e un’organizzazione del mondo del lavoro che parevano orientati al bene comune; un grande impegno per assicurare istruzione a tutti, che oggi si è trasformato in emergenza educativa; lo sforzo per favorire lo sviluppo e il progresso delle popolazioni più svantaggiate, che ai nostri giorni vediamo invece sempre più povere, abbandonate, sfruttate. E potremmo continuare. Viviamo in mezzo alle incognite. E forse non si stagliano neppure all’orizzonte risposte veramente risolutive che ci possano rassicurare. La complessità e le sfide sono tali che non sembra facile mettere in atto una governance che riesca a prendere in mano la situazione e instradarla verso un futuro migliore. Basti pensare al problema climatico, ai poteri finanziari che condizionano intere nazioni, agli immensi flussi migratori, al terrorismo fondamentalista.
Nel mare magnum del mondo globale che sembra non riuscire ad incamminarsi sulle vie di una cultura dell’incontro, del dialogo e della pace, siamo alla ricerca di un ancoraggio che ci possa dare speranza.
Il messaggio evangelico ce lo indica, oggi come 2000 anni fa, nel Crocifisso. Non come vittima di un supplizio che ci ha redenti pagando - come tante volte si pensa - il prezzo di un riscatto (Dio, e per di più un Dio che è Amore, può aver bisogno di “pagamenti”?), bensì come Dio che in Gesù è solidale con noi fino a sperimentare tutte le conseguenze del male, della rottura e lontananza del Creatore e delle divisioni fra noi umani. E se ne è fatto carico, riempiendo gli abissi del dolore e della disunità di un amore nonostante tutto, del “super amore”, come l’ha chiamato Chiara Lubich. Amore senza riserve che ci raggiunge nei momenti più neri e disperati e suscita anche in noi, se vogliamo, la capacità di un amore più grande che può dilagare nel mondo e di sanare le piaghe.
Siamo alla ricerca di nuovi punti fermi. Ma forse l’unico punto fermo cui ancorare la vita è proprio questo amore fino all’abbandono. Radicati in esso, troviamo la luce e la forza per trasformare in un nuovo inizio ogni smarrimento e ogni tragedia e concorrere, nel micro e nel macro,  alla costruzione di una cultura della condivisione e di una società diversa con quanti come noi si lasciano guidare dal sogno della fraternità che, pur seppellito da debolezze, interessi egoistici e mediocrità, alberghi in fondo ad ogni cuore umano. (H B Rivista Gen's XLVI)

Questi primi versi della mia canzone indicano un evento di 2000 anni fa ma anche un evento quotidiano di ciascuno di noi, perché in quella croce, la nostra croce. "Chi vuol essere mio discepolo prenda la sua croce e mi segua. Ecco perché dico: "Distendi le braccia, su quella realtà e abbraccia di faccia il dolore tuo proprio".

Seconda strofa
 Senti le mani forate dal mondo.
Nella cruna dell’ago attraversa il dolore.
Entra negli occhi suoi
Passa quel ponte sospeso sul nulla.


 Anche questi versi fanno pensare al Dio Crocifisso, ma anche a tutti i crocifissi della storia e all'immane silenzio davanti al dolore innocente. 

Risposta di Papa Francesco a una ragazza
”Spesso diventa difficile coniugare i valori cristiani che portiamo dentro, con gli orrori, le difficoltà e le costruzioni che ci circondano”,  ha detto Bianca di Napoli a Papa Francesco durante l’incontro con i giovani sul lungomare Caracciolo il 21 marzo 2015.  E gli ha chiesto: “in mezzo a tali silenzi di Dio come piantare germogli di gioia e segni di speranza?”

È un Dio delle parole, è un Dio dei gesti, È un Dio dei silenzi. Il Dio delle parole, lo sappiamo perché nella Bibbia ci sono le parole di Dio: ci parla, ci cerca. È un Dio dei gesti e il Dio che va. Pensiamo alla parabola del buon pastore che va a cercarci, che si chiama per nome, che ci conosce meglio di noi stessi, che sempre si aspetta, che Sempre ci aspetta, che sempre si capisce con gesti di tenerezza.
E poi il Dio del silenzio. Pensate ai grandi silenzi della Bibbia: per esempio silenzio del cuore di Abramo, quando andava con suo figlio per offrirlo in sacrificio. Due giorni, salendo sul monte, ma lui non osava dire qualcosa al figlio, anche se il figlio, che non era sciocco, capiva. E Dio taceva. Ma il più grande silenzio di Dio è stato la croce: Gesù ha sentito il silenzio del Padre, Fino a definirlo “Abbandono”: “Padre perché mi hai abbandonato?”. E poi, è successo quel miracolo di Dio, quella parola, Quel gesto grandioso che è stata la  Risurrezione.
Il nostro Dio è anche il dio dei silenzi e ci sono silenzi di Dio che non si possono spiegare se tu non guardi il crocifisso. Per esempio, perché soffrono i bambini? Come mi spieghi questo? Dove trovi una parola di Dio che spieghi perché soffrono i bambini? Questo è uno dei grandi silenzi di Dio. E il silenzio di Dio non dico che si può “capire”, ma possiamo avvicinarci ai silenzi di Dio guardando il Cristo crocifisso, il Cristo che muore, Il Cristo abbandonato, dall’orto degli ulivi fino alla croce. Questi sono i silenzi. “Ma, Dio ci ha creati per essere felici…”-“sì, è vero”. Ma lui, tante volte tace. E questa è la verità. Io non posso ingannarti dicendo: “no, tu abbi fede e andrà tutto bene, Sarai felice, avrai una buona fortuna, avrai soldi…”: no, il nostro Dio stando in silenzio. Ricordati: è il Dio delle parole, il Dio dei gesti e il Dio dei silenzi, queste tre cose devi unirle nella tua vita. (Papa Francesco)

E se ci riflettiamo dove tutto è, per il Verbo di Dio che esprime qualcosa, ed essa è, nei silenzi di Dio c'è la sua assenza, e i dolori della storia sono l'assenza di Dio, perché lì Dio non c'è, o è meglio dire che non c'era, perché dopo aver accettato di soffrire e morire in croce, ora tutti i dolori sono intrisi della sua Presenza, che è amore, avendoli presi tutti in sè, sicché si fa prossimo nel dolore, si fa talmente prossimo da esservi dentro a ogni dolore, ad ogni distanza, diventando così ponte fra Cielo e terra, colmando l'infinita distanza che s'era creata per il peccato. In qualche modo ha dovuto prendere in sé anche tutto l'inferno, per poterlo far esistere, e tutto questo per amore. Per garantire la libertà dei demoni, ha dovuto prendere in sé anche la loro distanza. L'hanno scelta, l'hanno voluta e deve poter esistere, e perché ciò fosse, ha accettato di morire della morte più ignominiosa, si è fatto lacerare per amore. Il Crocifisso non è un Dio che uccide, ma che si fa uccidere, pur di redimere chi vuol essere redento. E come diceva il Papa, è un Dio della Parola, dei gesti, e del silenzio che crea anche lì dove non dovrebbe esserci niente.

 Il ritornello
Fra cielo e terra non c’è più distanza.
Fattosi estremo, calato qui
ogni buio è suo e luce chiara è già.

Fra me e l’Eterno non c’è più tormento.
Nella cruna entra il cammello:
il mio peccato e il tuo, non ci sono più.
Così scrive Emmaus, attuale presidente del Movimento dei Focolari: 

Partiamo dal Vangelo: è la prima eredità che Chiara ci ha lasciato.
In una delle più belle pagine del Vangelo di Giovanni leggiamo: «Dio infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito» (Gv 3, 16).
«Questa verità - ha commentato Giovanni Paolo II - cambia dalle sue fondamenta il quadro della storia dell'uomo e della sua situazione terrena». E ciò accade nonostante il peccato che si è radicato in questa storia. Infatti, Dio Padre, che ha amato il Figlio unigenito e lo ama in modo incommensurabile ed eterno, proprio in virtù di «questo amore che supera tutto», «dà» suo Figlio, «affinché tocchi le radici stesse del male umano e così si avvicini in modo salvifico all'intero mondo della sofferenza, di cui l'uomo è partecipe»; «solo perché il Figlio di Dio, è diventato veramente uomo, l'uomo può, e in lui e attraverso di lui, divenire realmente figlio di Dio». 
In questo modo Dio si è incarnato nella storia. 
Gesù, dunque, è venuto sulla terra per ricondurre gli esseri umani (che si erano allontanati da Dio con il peccato) nella piena comunione con lui e sulla croce prende su di sé ogni aspetto negativo di ogni persona: i suoi dolori, le sue angosce, la sua disperazione, le sue pene, i suoi peccati…, rendendosi Lui stesso, che era l'Innocente, simile a noi peccatori. (...) 

In Gesù abbandonato - allo stesso tempo culmine del dolore e vertice dell'amore - è racchiusa, quindi, La chiave per penetrare e dare risposta al mistero più profondo che avvolge la vita dell'essere umano e dell'intera umanità: il mistero del dolore, della sofferenza, che Chiara - proprio grazie a Lui - ha saputo riconoscere e accogliere come mistero d'amore. È un mistero questo, un grande mistero, che tocca profondamente il suo cuore: «Gesù sulla terra. - scrive con particolare commozione - Gesù nostro fratello. Gesù che muore fra ladri per noi: lui, il figlio di Dio, accomunato con gli altri. (...) Se sei venuto fra noi, è perché la nostra debolezza ti ha attirato, La nostra miseria t'ha ferito a compassione. Certo, non c'è madre o padre terreno che attendano un figlio perduto e facciano ogni cosa per il suo ritorno come il Padre celeste». 

(Fonte Maria Voce, Gesù Abbandonato: finestra Dio - finestra dell'umanità in Gen's XLVI p. 149-151)

 Terza strofa
Guarda il tuo volto è ormai di pace.
Big-bang di vita ridonante senso
per stare e andare lì
dove il tempo non è più un ricordo.

L'infinito amore di un Dio che si dona senza misura lo evidenzia bene la Novo Millennio Ineunte (LETTERA APOSTOLICA DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II ALL'EPISCOPATO, AL CLERO E AI FEDELI AL TERMINE DEL GRANDE GIUBILEO DELL'ANNO DUEMILA fonte: https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_letters/2001/documents/hf_jp-ii_apl_20010106_novo-millennio-ineunte.html ) quando sottolinea che «per riportare all'uomo il volto del Padre», Gesù «ha dovuto non soltanto assumere il volto dell'uomo, ma caricarsi persino del volto del peccato». E dopo aver assunto su di sé tutta la realtà del male - realtà che è prima di tutto assenza di amore - sperimenta sulla croce anche l'abisso di non sentire più neppure l'unione con il Padre Cf. Mc 15, 34; Mt 27, 46). Ma, pur sperimentando questa separazione, si abbandona a Lui e si fa così «artefice e via dell'unità degli uomini con Dio e tra loro». Come leggiamo nel Vangelo di Luca, Gesù, nel momento supremo della morte, rivolgendosi al padre disse: «nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Egli tramuta così il suo sentirsi abbandonato da Dio nell'affidarsi finalmente a lui e in quel momento, «fattosi nulla, unisce i figli al Padre» e dona a noi lo Spirito Santo. Da qui Chiara Lubich trae ancora importanti conseguenze: «ma come lui, dopo aver gridato all'abbandono, si è abbandonato nel Padre e muore in Lui, così noi, guardando al modello, siamo capaci di ricomporre l'unità dovunque e da chiunque sia stata rotta».

(Fonte articolo: Maria Voce, Gesù Abbandonato: finestra di Dio - finestra dell'umanità in Gen's XLVI p. 151-152)

 
 Secondo ritornello
Fra cielo e terra non c’è più distanza.
Fattosi estremo, calato qui
ogni buio è suo e luce chiara è già.

Fra me e l’Eterno non c’è più tormento.
Nella cruna entra il cammello:
il mio peccato e il tuo, non ci sono più.

L'impossibile diventa possibile per il perdono di Dio: il cammello entra nella cruna di un ago, da peccatori che eravamo Lui ci può trasformare in Figli di Dio redenti e trasferire nelle altezze dei Cieli dove regna Dio e chi con Lui merita.

Sempre dall'articolo di Maria voce riporto.

È vero: Lui ci ha attirati a sé facendoci partecipare, in modo specialissimo nell'epoca storica in cui viviamo, «al grande dramma della sua passione, per la quale tutto è stato ricapitolato in Lui (cf. Ef 1, 10)». Ma ci ha fatto partecipare in vari modi, fin da ora, anche alla sua risurrezione. 
In Gesù Abbandonato abbiamo riconosciuto con Chiara il più grande "mistero d'amore", il vero "maestro di unità". Infatti Lui, «sintesi di tutti i dolori del corpo e dell'anima», si è fatto per noi modello, «stile d'amore». E numerose sono state le esperienze fatte nel riconoscerlo ed abbracciarlo nei dolori di ogni tipo (...)
Scorrono davanti ai nostri occhi immagini tragiche riportateci quotidianamente dai mass-media: barconi di profughi con popoli interi che fuggono dalle loro terre per fame o guerra; Città devastate dalla mano dell'uomo fino alla distruzione di culture antichissime; integralismi e atti di violenza ai più vari livelli. 
A tutto ciò si aggiunge un fenomeno, accentuato più che mai, già evidenziato a suo tempo da Benedetto XVI quando ha parlato della "notte culturale" che ci avvolge:  
 «quanti eventi di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, Quante mode del pensiero…(...) Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull'inganno degli uomini, sull'astuzia che tende a trarre nell'errore (cf Ef 4, 14) (...) Mentre il relativismo, cioè lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi vento di dottrina", appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo perché lascia come ultima misura il suo proprio io e le sue voglie».
Nella notte che sembra volgere l'umanità sofferente che ci circonda, Chiara Lubich ci propone il modello di Gesù che grida a gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». «È la sua notte più nera, è il culmine dei suoi dolori», ribadisce. «Infinito mistero, dolore abissale che Gesù ha provato come uomo, e che dà la misura del suo amore per gli uomini, in quanto ha voluto prendere su di sé la separazione che li teneva lontani dal Padre e tra loro, colmandola».
 Questo grido, che rasenta il paradosso, in questo straziante dolore sono riassunti i mille nomi del dolore dell'umanità. 
Gesù crocifisso e abbandonato è la stella per questo cammino. Lui ci da il coraggio e la luce per intervenire in ognuna di queste situazioni:
«amando lui troviamo il motivo e la forza per non sfuggire a questi mali, a queste divisioni, ma per accettare e consumarli e portarvi così il nostro personale e collettivo rimedio». (...)
Perciò «non si può più separare la croce dalla gloria, non si può separare il crocifisso dal Risorto. Sono due aspetti dello stesso mistero di Dio che è Amore». (...) Il prezioso insegnamento di crocifisso risorto (...) getterà luce anche sul ruolo del dolore che può sopravvivere nella nostra vita e sulla sua straordinaria fecondità», scrivere Chiara, esortandoci con queste espressioni: «giorno dopo giorno, quando siamo colpiti da piccole o grandi sofferenze(…) sforziamoci di accettarle e di offrirle a Gesù come espressione del nostro amore.(…) Se così faremo, potremo sperimentare un effetto insolito e insperato: la nostra anima è pervasa di pace, di amore, anche di gioia pura, di luce. Potremo trovare in noi una forza nuova. Questo ci dirà come, abbracciando le croci di ogni giorno e unendoci per esse a Gesù crocifisso abbandonato, possiamo partecipare già da quaggiù alla sua vita di Risorto. E, ricchi di questa esperienza, potremo aiutare più efficacemente tutti i fratelli nostri a trovar beatitudine fra le lacrime, a trasformare in serenità ciò che li travaglia. Diventeremo così strumenti di gioia per molti, di felicità, di quella felicità a cui ambisce ogni cuore umano».
In Gesù abbandonato anche il non senso del dolore acquista senso. Egli - mediatore tra l'umanità di Dio - è la risposta ad ogni non senso perché ci dà la possibilità di incontrarci faccia a faccia con Dio in ogni situazione. 
Richiamando le due prospettive che Chiara ci ha aperto - Gesù abbandonato finestra di Dio - finestra dell'umanità - E che abbiamo voluto mettere come titolo di questo testo: Dio può vedere l'essere umano perché Gesù abbandonato è l'uomo, e l'essere umano può vedere Dio perché Gesù abbandonato è Dio. 

(Fonte articolo: Maria Voce, Gesù Abbandonato: finestra Dio - finestra dell'umanità in Gen's XLVI p. 153-156)

domenica 10 dicembre 2017

Ma gli operai del cielo sono pochi

Questa canzone "Ma gli operai del cielo sono pochi" sta nel mio primo lavoro discografico, quando non capivo ancora niente di musica, e il talento doveva ancora essere smussato e continuamente rinverdito... Un mio carissimo confratello proprio qualche giorno fa mi ha detto che la vena poetica è rimasta invariata, ma la qualità della musica e degli arrangiamenti è migliorata moltissimo. Un panegirico a Niki Saggiomo che davvero col tempo è migliorato come il buon vino, tanto che io non saprei a chi rivolgermi per fare gli arrangiamenti. Ritorniamo a questa canzone. L'ho scritta nell'ultimo anno di seminario maggiore, ricordo che in un incontro la feci ascoltare al Rettore Mons. Filippo Luciani, un santo sacerdote. Dopo averla ascoltata non si scompose. Disse solo che lui non capiva niente di musica e dunque non sapeva fare nessun commento. Ci rimasi male, perché poteva dire che era orecchiabile, che le parole erano simpatiche... Forse era il suo modo diplomatico per dire che a lui non aveva detto niente. Chissà!. Intanto a me piace ancora, ed è uno dei tre arrangiamenti indovinati da Peppe Sasso in questo lavoro discografico (ricordo che era in cassetta stereo 7). Ma ora la ascoltiamo per farci un'idea.

 
 L'arrangiamento è datato, forse sarebbe meglio cantarla solo con la chitarra...

Intanto il titolo: "Ma gli operai del Cielo sono pochi" dice un'amara relatà. "La Messe è molta ma gli operai sono pochi...pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe" (Lc 10, 2). Sarà che preghiamo poco, che preghiamo male, che non preghiamo affatto? Il problema è nella preghiera?
Infatti, non possiamo dare la colpa semplicemente alla cultura dominate satanico-massonica. E' che il nostro cristianesimo è all'acqua di rose, non smuove le anime... finchè facciamo i cristiani borghesi, non vedremo all'orizzonte nessuna novità. Nessun Santo si è potuto permettere di essere borghese, anzi, chi lo era s'è fatto povero coi poveri e tra i poveri, e allora è diventato un faro per altri attirando con l'esempio, la preghiera, la testimonianza. Se oggi non attiriamo è perché probabilmente diciamo una cosa e ne mostriamo un'altra. Che il Signore ci perdoni e ci dia la grazia di una conversione totale. Si fanno giornate mondiali per le vocazioni, si producono tantissime cose, soprattutto documenti, tanti documenti, ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Ad attirare sono sempre anime belle tutte donate ai prossimi e che instancabili danno una grande e bella testimonianza. Io personalmete ho guardato a Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, alla cui spiritualità mi abbevero tuttora, ma guardo a tante altre anime come Madre Teresa di Calcutta, Natuzza Evolo, Padre Pio, don Benzi, Chiara Luce Badano, e tra i viventi ancora: Chiara Amirante, Ernesto Oliviero, Andrea Riccardi... Diciamoci la verità se non guardiamo a queste persone realizzate in Cristo, ci verrebbe da dire che il cristianesimo sia impossibile. Menomale che il Signore suscita questi portenti che anche in periodi di magra riescono a fare grandi numeri in termini di vocazioni.

Prima strofa
Inventando la mia vita Tu
dall'eterno amore libero.
Tu mi amasti ancor prima che fui
pensiero di pensiero umano
briciola di terra e mare
goccia di rugiada
anima che ama.

Questi versi mi fanno pensare ad alcuni versetti del Salmo 138.

Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre.

Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, 
tu mi conosci fino in fondo.
Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, 

intessuto nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; 

i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio; 

se li conto sono più della sabbia, se li credo finiti, con te sono ancora.
Se Dio sopprimesse i peccatori! Allontanatevi da me, uomini sanguinari. 

Essi parlano contro di te con inganno: contro di te insorgono con frode.
Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici? 

Li detesto con odio implacabile come se fossero miei nemici.
Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: 

vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita.

Questa parte del Salmo 138, è proposta alla Liturgia dei vespri del mercoledì della IV settimana. Dopo aver contemplato nella prima parte (cf vv. 1-12) il Dio onnisciente e onnipotente, Signore dell’essere e della storia, ora questo inno sapienziale di intensa bellezza e passione punta verso la realtà più alta e mirabile dell’intero universo, l’uomo, definito come il «prodigio» di Dio (cf v. 14). Si tratta, in realtà, di un tema profondamente in sintonia con il mistero dell’Incarnazione che ha il suo inizio con l’annuncio a Maria e si manifesta con la nascita del Figlio di Dio fattosi uomo, anzi, fattosi Bambino per la nostra salvezza.
 Dopo aver considerato lo sguardo e la presenza del Creatore che spazia in tutto l’orizzonte cosmico, nella seconda parte del Salmo che meditiamo oggi, gli occhi amorevoli di Dio si rivolgono all’essere umano, considerato nel suo inizio pieno e completo. Egli è ancora «informe» nell’utero materno: il vocabolo ebraico usato è stato inteso da qualche studioso della Bibbia come rimando all’«embrione», descritto in quel termine come una piccola realtà ovale, arrotolata, ma sulla quale si pone già lo sguardo benevolo e amoroso degli occhi di Dio (cf v. 16).
Dio plasma l’uomo

Il Salmista per definire l’azione divina all’interno del grembo materno ricorre alle classiche immagini bibliche, mentre la cavità generatrice della madre è comparata alle «profondità della terra», ossia alla costante vitalità della grande madre terra (cf v. 15).
 C’è innanzitutto il simbolo del vasaio e dello scultore che «forma», plasma la sua creazione artistica, il suo capolavoro, proprio come si diceva nel libro della Genesi per la creazione dell’uomo: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo» (Gn 2,7). C’è, poi, il simbolo «tessile», che evoca la delicatezza della pelle, della carne, dei nervi «intessuti» sullo scheletro osseo. Anche Giobbe rievocava con forza queste e altre immagini per esaltare quel capolavoro che è la persona umana, pur percossa e ferita dalla sofferenza: «Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte... Ricordati che come argilla mi hai plasmato... Non mi hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? Di pelle e di carne mi hai rivestito, d’ossa e di nervi mi hai intessuto» (Gb 10,8-11).
Già circondati dall’amore divino

Estremamente potente è, nel nostro Salmo, l’idea che Dio di quell’embrione ancora «informe» veda già tutto il futuro: nel libro della vita del Signore già sono scritti i giorni che quella creatura vivrà e colmerà di opere durante la sua esistenza terrena. Torna così ad emergere la grandezza trascendente della conoscenza divina, che non abbraccia solo il passato e il presente dell’umanità, ma anche l’arco ancora nascosto del futuro. Ma appare anche la grandezza di questa piccola
creatura umana non nata, formata dalle mani di Dio e circondata dal suo amore: un elogio biblico dell’essere umano dal primo momento della sua esistenza.
Noi ora vorremmo affidarci alla riflessione che San Gregorio Magno, nelle sue Omelie su Ezechiele, ha intessuto sulla frase del Salmo da noi prima commentata: «Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro» (v. 16).
Su quelle parole il Pontefice e Padre della Chiesa ha costruito un’originale e delicata meditazione riguardante quanti nella Comunità cristiana sono più deboli nel loro cammino spirituale.
E dice che anche i deboli nella fede e nella vita cristiana fanno parte dell’architettura della Chiesa, vi
«vengono tuttavia annoverati... in virtù del buon desiderio. È vero, sono imperfetti e piccoli, tuttavia per quanto riescono a comprendere, amano Dio e il prossimo e non trascurano di compiere il bene che possono.

Anche se non arrivano ancora ai doni spirituali, tanto da aprire l’anima all’azione perfetta e all’ardente contemplazione, tuttavia non si tirano indietro dall’amore di Dio e del prossimo, nella misura in cui sono in grado di capirlo.
Per cui avviene che anch’essi contribuiscono, pur collocati in posto meno importante, all’edificazione della Chiesa, poiché, sebbene inferiori per dottrina, profezia, grazia dei miracoli e completo disprezzo del mondo, tuttavia poggiano sul fondamento del timore e dell’amore, nel quale trovano la loro solidità» (2,3,12-13, Opere di Gregorio Magno, III/2, Roma 1993, pp. 79.81).
Il messaggio di San Gregorio diventa una grande consolazione per tutti noi che procediamo spesso con fatica nel cammino della vita spirituale ed ecclesiale. Il Signore ci conosce e ci circonda tutti con il suo amore.
 Benedetto XVI
, L’Osservatore Romano, 29-12-2005 (fonte: http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Vita%20Spirituale/06-07/003-Salmo_138.html)

Seconda strofa
Nel silenzio sguardo mio che va
dentro al tuo... e in che profondità
Mondi alati di felicità,
alba senza ombre scure
gioia che mi schiude un fiore
nel cuore dell'immenso, immenso amore.

 La vocazione, la chiamata ad una missione, ad un compito da svolgere per il Regno di Dio... Qualcosa che non si può descrivere, tanto è bella. Papa Francesco ogni anno per la giornata mondiale per le vocazioni, scrive un messaggio e per il 2018, si intola "Ascoltare, discernere, vivere la chiamata del Signore". Riporto alcuni passi...


Cari fratelli e sorelle,
                            (...) il Mistero dell’Incarnazione ci ricorda che Dio sempre ci viene incontro ed è il Dio-con-noi, che passa lungo le strade talvolta polverose della nostra vita e, cogliendo la nostra struggente nostalgia di amore e di felicità, ci chiama alla gioia. Nella diversità e nella specificità di ogni vocazione, personale ed ecclesiale, si tratta di ascoltare, discernere e vivere questa Parola che ci chiama dall’alto e che, mentre ci permette di far fruttare i nostri talenti, ci rende anche strumenti di salvezza nel mondo e ci orienta alla pienezza della felicità.
Questi tre aspetti – ascolto, discernimento e vita – fanno anche da cornice all’inizio della missione di Gesù, il quale, dopo i giorni di preghiera e di lotta nel deserto, visita la sua sinagoga di Nazareth, e qui si mette in ascolto della Parola, discerne il contenuto della missione affidatagli dal Padre e annuncia di essere venuto a realizzarla “oggi” (cfr Lc 4,16-21).

Ascoltare
La chiamata del Signore – va detto subito – non ha l’evidenza di una delle tante cose che possiamo sentire, vedere o toccare nella nostra esperienza quotidiana. Dio viene in modo silenzioso e discreto, senza imporsi alla nostra libertà. Così può capitare che la sua voce rimanga soffocata dalle molte preoccupazioni e sollecitazioni che occupano la nostra mente e il nostro cuore.
Occorre allora predisporsi a un ascolto profondo della sua Parola e della vita, prestare attenzione anche ai dettagli della nostra quotidianità, imparare a leggere gli eventi con gli occhi della fede, e mantenersi aperti alle sorprese dello Spirito.
Non potremo scoprire la chiamata speciale e personale che Dio ha pensato per noi, se restiamo chiusi in noi stessi, nelle nostre abitudini e nell’apatia di chi spreca la propria vita nel cerchio ristretto del proprio io, perdendo l’opportunità di sognare in grande e di diventare protagonista di quella storia unica e originale, che Dio vuole scrivere con noi.
Anche Gesù è stato chiamato e mandato; per questo ha avuto bisogno di raccogliersi nel silenzio, ha ascoltato e letto la Parola nella Sinagoga e, con la luce e la forza dello Spirito Santo, ne ha svelato in pienezza il significato, riferito alla sua stessa persona e alla storia del popolo di Israele.
Quest’attitudine oggi diventa sempre più difficile, immersi come siamo in una società rumorosa, nella frenesia dell’abbondanza di stimoli e di informazioni che affollano le nostre giornate. Al chiasso esteriore, che talvolta domina le nostre città e i nostri quartieri, corrisponde spesso una dispersione e confusione interiore, che non ci permette di fermarci, di assaporare il gusto della contemplazione, di riflettere con serenità sugli eventi della nostra vita e di operare, fiduciosi nel premuroso disegno di Dio per noi, di operare un fecondo discernimento.
Ma, come sappiamo, il Regno di Dio viene senza fare rumore e senza attirare l’attenzione (cfr Lc 17,21), ed è possibile coglierne i germi solo quando, come il profeta Elia, sappiamo entrare nelle profondità del nostro spirito, lasciando che esso si apra all’impercettibile soffio della brezza divina (cfr 1 Re 19,11-13).

 Dal Vaticano, 3 dicembre 2017 Prima Domenica di Avvento Franciscus (fonte: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/vocations/documents/papa-francesco_20171203_55-messaggio-giornata-mondiale-vocazioni.html)

Primo ritornello
Siamo qui oltre il miracolo
paradisi di speranze
che non moriranno mai
l'estate è ancora qui piena di sole.
I granai attendono il raccolto che è già biondo,
ma gli operai del Cielo son pochi.

Discernere
Leggendo, nella sinagoga di Nazareth, il passo del profeta Isaia, Gesù discerne il contenuto della missione per cui è stato inviato e lo presenta a coloro che attendevano il Messia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).
Allo stesso modo, ognuno di noi può scoprire la propria vocazione solo attraverso il discernimento spirituale, un «processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita» (Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, II, 2).
Scopriamo, in particolare, che la vocazione cristiana ha sempre una dimensione profetica. Come ci testimonia la Scrittura, i profeti sono inviati al popolo in situazioni di grande precarietà materiale e di crisi spirituale e morale, per rivolgere a nome di Dio parole di conversione, di speranza e di consolazione. Come un vento che solleva la polvere, il profeta disturba la falsa tranquillità della coscienza che ha dimenticato la Parola del Signore, discerne gli eventi alla luce della promessa di Dio e aiuta il popolo a scorgere segnali di aurora nelle tenebre della storia.
Anche oggi abbiamo tanto bisogno del discernimento e della profezia; di superare le tentazioni dell’ideologia e del fatalismo e di scoprire, nella relazione con il Signore, i luoghi, gli strumenti e le situazioni attraverso cui Egli ci chiama. Ogni cristiano dovrebbe poter sviluppare la capacità di “leggere dentro” la vita e di cogliere dove e a che cosa il Signore lo sta chiamando per essere continuatore della sua missione.

 Dal Vaticano, 3 dicembre 2017 Prima Domenica di Avvento Franciscus (fonte: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/vocations/documents/papa-francesco_20171203_55-messaggio-giornata-mondiale-vocazioni.html)

Terza strofa
Tu l'artista dei grandi sogni miei
mille e più sentieri e poi pensieri.
Paura di non farcela già più.
Con il fiato a ripidare,
chine come grattacieli
penose anime
aride e stonate.

Vivere
Infine, Gesù annuncia la novità dell’ora presente, che entusiasmerà molti e irrigidirà altri: il tempo è compiuto ed è Lui il Messia annunciato da Isaia, unto per liberare i prigionieri, ridare la vista ai ciechi e proclamare l’amore misericordioso di Dio ad ogni creatura. Proprio «oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,20), afferma Gesù.
La gioia del Vangelo, che ci apre all’incontro con Dio e con i fratelli, non può attendere le nostre lentezze e pigrizie; non ci tocca se restiamo affacciati alla finestra, con la scusa di aspettare sempre un tempo propizio; né si compie per noi se non ci assumiamo oggi stesso il rischio di una scelta. La vocazione è oggi! La missione cristiana è per il presente! E ciascuno di noi è chiamato – alla vita laicale nel matrimonio, a quella sacerdotale nel ministero ordinato, o a quella di speciale consacrazione – per diventare testimone del Signore, qui e ora.
Questo “oggi” proclamato da Gesù, infatti, ci assicura che Dio continua a “scendere” per salvare questa nostra umanità e farci partecipi della sua missione. Il Signore chiama ancora a vivere con Lui e andare dietro a Lui in una relazione di speciale vicinanza, al suo diretto servizio. E se ci fa capire che ci chiama a consacrarci totalmente al suo Regno, non dobbiamo avere paura! È bello – ed è una grande grazia – essere interamente e per sempre consacrati a Dio e al servizio dei fratelli.
Il Signore continua oggi a chiamare a seguirlo. Non dobbiamo aspettare di essere perfetti per rispondere il nostro generoso “eccomi”, né spaventarci dei nostri limiti e dei nostri peccati, ma accogliere con cuore aperto la voce del Signore. Ascoltarla, discernere la nostra missione personale nella Chiesa e nel mondo, e infine viverla nell’oggi che Dio ci dona.
Maria Santissima, la giovane fanciulla di periferia, che ha ascoltato, accolto e vissuto la Parola di Dio fatta carne, ci custodisca e ci accompagni sempre nel nostro cammino.
 Dal Vaticano, 3 dicembre 2017 Prima Domenica di Avvento Franciscus (fonte: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/vocations/documents/papa-francesco_20171203_55-messaggio-giornata-mondiale-vocazioni.html)

Secondo ritornello
Siamo qui c'è una musica
melodie divine
che rincorrono volanti
danzanti note che prima stonavano.
I granai attendono la nuova musica,
ma gli operai del Cielo son pochi.

Se tutti scoprissero il dono della propria chiamata, diventeremmo un'armonia divina. È quanto ci attende in Paradiso. Ma finché siamo sulla terra, dobbiamo convivere con tutte le scordature possibili e immaginalbili, causate dal peccato originale e dalle conseguenze di esso, e dalla compagnia col disgraziato... che finché Dio glielo permette, ci farà sempre cattiva compagnia.

Dai Quaderni di M. Valtorta del giugno '43:
"Occorre che tutti i giorni tu preghi per i miei sacerdoti e che tu offra parte delle tue sofferenze per questo. Non stancarti mai di pregare per loro che sono i maggiori responsabili della vita spirituale dei cattolici. Se un laico basta faccia per dieci per non scandalizzare, i miei sacerdoti devono fare per cento, per mille. Dovrebbero essere simili al loro Maestro in purezza, carità, distacco dalle cose del mondo, umiltà, generosità. Invece lo stesso rilassamento di vita cristiana che è nei laici, è nei miei sacerdoti e in genere in tutte le persone consacrate da voti speciali. Ma di queste ne parlerò poi. Ora parlo dei sacerdoti, di coloro che hanno l’onore sublime di perpetuare dall’altare il mio Sacrificio, di toccare Me, di ripetere il mio Vangelo.
Dovrebbero essere fiamme. Invece sono fumo. Fanno stancamente quello che devono fare. Non si amano tra di loro e non amano voi come pastori che devono essere pronti a dare tutti se stessi, anche sino al sacrificio della vita, per le loro pecorelle. Vengono al mio altare con il cuore colmo di sollecitudini della terra. Mi consacrano con la mente altrove e neanche la mia Comunione accende nel loro spirito quella carità che deve essere viva in tutti ma che nei miei sacerdoti deve essere vivissima. Quando Io penso ai diaconi, ai preti della Chiesa catacombale, e li paragono a questi di ora, sento un’infinita pietà per voi, turbe che rimanete senza o con troppo scarso cibo della mia Parola.

Quei diaconi, quei preti avevano contro tutta una società malevola, avevano contro il potere costituito. Quei diaconi, quei preti dovevano espletare il loro ministero tra mille difficoltà; il più incauto movimento li poteva far cadere in mano ai tiranni e condurre a morti di strazio. Eppure, quanta fedeltà, quanto amore, quanta castità, quanto eroismo in loro! Hanno cementato col loro sangue e il loro amore la Chiesa nascente e di ogni loro cuore hanno fatto un altare. Ora splendono nella celeste Gerusalemme come altrettanti eterni altari sui quali Io, l’Agnello, mi riposo beandomi di loro, i miei intrepidi confessori, i puri che hanno saputo lavare le sozzure del paganesimo che li aveva saturati di sé per anni e anni prima della loro conversione alla Fede, e che spruzzava il suo fango su loro anche dopo la loro conversione, come un oceano di melma contro scogli incrollabili.
Nel mio Sangue si erano detersi ed erano venuti a Me con bianche stole su cui era per ornamento il loro sangue generoso e la loro carità veemente. Non avevano vesti esterne, né segni materiali della loro milizia sacerdotale. Ma erano Sacerdoti nell’animo. Ora c’è l’esterno della veste, ma il loro cuore non è più mio. Ho pietà di voi, greggi senza pastori. Per questo trattengo ancora i miei fulmini: perché ho pietà. So che molto di quello che siete proviene perché non siete sorretti.


Troppo pochi i veri sacerdoti che spezzano se stessi per prodigarsi ai loro figli! Mai come adesso è necessario pregare il Padrone della messe, perché mandi veri operai alla sua messe che cade sciupata perché non è sufficiente il numero dei veri instancabili operai, sui quali il mio occhio sì posa con benedizioni ed amore infiniti e grati. Avessi potuto dire a tutti i miei Sacerdoti: “Venite, servi buoni e fedeli, entrate nel gaudio del vostro Signore!”.
 Prega per il clero secolare e per quello conventuale.

Quel giorno che nel mondo non vi fossero più sacerdoti realmente sacerdotali, il mondo finirebbe in un orrore che parola non può descrivere. Sarebbe giunto il momento dell’ “abbominio della desolazione”. Ma giunto con una violenza così spaventosa, da essere un inferno portato sulla terra.
Prega e di’ di pregare perché tutto il sale non divenga insipido in tutti meno che in Uno, nell’ultimo Martire che ci sarà per l’ultima Messa, perché sino all’estremo giorno la mia Chiesa militante sarà e il Sacrificio verrà compiuto. Quanti più veri sacerdoti saranno nel mondo quando i tempi saranno compiuti e meno lungo e crudele sarà il tempo dell’Anticristo e le ultime convulsioni della razza umana. Perché “i giusti” di cui parlo quando predìco la fine del mondo, sono i veri sacerdoti, i veri consacrati nei conventi sparsi sulla terra, le anime vittime ignota schiera di martiri che solo il mio occhio conosce mentre il mondo non li vede, e coloro che agiscono con vera purezza di fede. Ma questi ultimi sono, anche a loro stessa insaputa, consacrati a vittime. "
(fonte: http://www.scrittivaltorta.altervista.org/quaderni/q43003.pdf)

Alla prossima canzone per dare e cantare Dio

sabato 2 dicembre 2017

M'ama ci credo

Anche "M'ama ci credo" è una canzone pensata per gli adolescenti. È presente nel Cd "Jesus on line". Quando l'ho scritta pensavo più a un rock leggero, ma poi il maestro Cleopatra me la rivestì con la musica da discoteca e fu tutta un'altra cosa. Non ricordo il momento in cui l'ho scritta, ma certamente l'ho pensata per dare un mesaggio preciso: senza Dio non c'è vera gioia e salvezza.
Nel 2001 avevo già confezionato il CD, ma solo nel 2002 il Messaggero di Sant'Antonio me lo pubblicò.
Stampammo 5000 copie che credo di averle vendute quasi tutte io durante i miei concerti-incontro. Il problema è che queste case editrici, comprese le Paoline, fanno le produzioni, ma poi non fanno pubblicità e allora rimani lì nel limbo della musica cristiana cattolica.

Video di Elena Ranieri
Il titolo: M'ama ci credo. Le domande di tutti i ragazzini: Dio c'è? E se Lui è il Creatore, chi l'ha creato Dio? E perché c'è tutto questo male nel mondo se dice di essere Amore...?
"M'ama ci credo" è la possibile risposta che un ipotetico ragazzo dopo essersi messo in cammino può dire al Signore, che risponde solo se lo si ama. Infatti, leggiamo nel Vangelo secondo Giovanni: "A chi mi ama mi manifesterò" (cfr. Gv 14, 21). Basta mettersi in moto, amando, uscendo dal proprio egoismo, per dare la possibilità a Dio di manifestarsi e così fugare tutti i dubbi. Ma oggi chi è disposto a fare il primo passo, anzi il secondo? Il primo è stato fatto da Gesù Figlio Dio Dio che ci ha amati nonostante fossimo peccatori:  "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Gv 4, 10). Il nostro passo dunque, è quello di rispondere ad un amore immenso, che si è donato totalmente perché l'Amore è donazione totale di sé. Chi non si dona, non ama. Oggi, in una cultura in cui la crisi è dovuta ad un'umanità che vuole rimanere adolescente, ossia concentrata su di sé, chi vorrà invece uscire da sé per andare verso gli altri? Oggi è in crisi proprio l'Amore. Infatti, dove c'è amore, lì c'è Dio... e se Dio non c'è, non c'è l'amore. L'umanità se va di questo passo, si troverà in un baratro, in una strada senza ritorno. Nella mia canzone auspico invece un ritorno all'amore. Se scopro che Dio mi ama, io posso crederGli, crederci.

Così raccontava Chiara Lubich la scoperta di Dio Amore e del suo credere senza misura.
https://vimeo.com/196295014
La scoperta di Dio Amore from Centro Chiara Lubich on Vimeo.

Riporto la trascrizione:

La scoperta di Dio Amore Da un’intervista a Chiara Lubich della giornalista inglese Sandra Hoggett (Rocca di Papa, 18 aprile 2002).
 
Sandra: Mi può dire quando è stato che ha sentito per la prima volta quest'immenso amore per Dio?
 
Chiara: Ho sempre avuto una fede forte, sono nata con la fede e, aggiunta alla fede, c'era anche l'amore di Dio. Però lo conoscevo un po' come tutti: lontano, forse al di là delle stelle, così. Mentre invece proprio il fulmine è stato a 23 anni, quando è incominciato a funzionare questo carisma. Lì le cose sono state così: che facevo scuola presso un piccolo orfanotrofio, e un giorno è passato un sacerdote di lì; mi aveva vista forse a pregare in chiesa, non lo so, e mi fa uscire dalla classe e mi dice: "Signorina, lei può offrire un'ora del suo tempo per il mio ministero a Dio?" Io, di fronte a un sacerdote, avevo tale fede in Dio, nella Chiesa, che ho detto: "Ma anche tutta la giornata". E lui è rimasto colpito e mi ha fatto inginocchiare e m'ha detto: "Dio la ama immensamente". E io ho creduto, era come Dio che me lo diceva attraverso questa figura.
Ricordo che, da quel momento, Dio che prima lo avvertivo, sì, nel tabernacolo ma anche lontano, io me lo sono sentita vicino e ho visto come tutte le circostanze sono da lui guidate; che è veramente colui che guida la storia grande e la piccola storia di ciascuno di noi; come lui è amore e dietro tutto c'è l'amore e come tutto è amore, anche ciò che appare negativo qualche volta, perché Dio lo permette per un bene maggiore. Naturalmente lo permette per quelli che credono in lui Amore.
E ricordo che dalla forte impressione di questo "Dio ti ama immensamente", io l'ho detto a tutti: l'ho detto alle mie compagne, alla mia mamma, scrivevo lettere a mio fratello e alle mie sorelle. E così sono nate anche le mie prime amiche, perché io: "Lo sai che Dio ti ama..." "Dio ci ama, Dio ci ama immensamente". Abbiamo creduto all'amore. Tanto che c'era la guerra, potevamo morire da un momento all'altro, e noi abbiamo detto: "Qualora morissimo, vorremmo essere sepolte in un'unica tomba con scritto: abbiamo creduto all'Amore".
E così, mentre prima la vita nostra era quasi come coperta da un senso di orfanezza, poi invece abbiamo trovato il Padre, abbiamo trovato Dio, ed è stato lì che s'è lanciata la nostra rivoluzione cristiana. D'altra parte il kerigma, cioè l'annuncio nella Chiesa nostra, della fede nostra è proprio "Dio ti ama, Dio ama l'uomo. Difatti per amore ti ha creato, per amore ha mandato il suo Figlio a morire per te, per amore ti prepara un'eternità di felicità; per amore". Quindi lo Spirito Santo, che sapeva come si annuncia, ce l'ha annunciato giusto.
                                                                                                          (Rocca di Papa, 18 aprile 2002)

Prima strofa
M’ama, non m’ama? Sai che ti ama.
Credo, non credo? Sai che ci crede… (bis)

in te e ti sta dentro, più dentro di te.
E ti sta accanto, più accanto di te. Uh, oh…

Pochi versi di questa semplicissima canzone per dire verità eterne profondissime. Dio ci ama di amore eterno e crede nella possibilità che noi ci salviamo. Ci abita se lo lasciamo vivere in noi, non ci lascerebbe mai, ma dobbiamo stare attenti a non creare distanza da Lui col peccato. Il peccato infatti, ci abbrutisce, diventiamo meno che umani, e meno che animali, si diventa demòni. Insomma Dio crede in noi, prima ancora che noi crediamo in Lui.

Seconda strofa
M’ama, non m’ama? Sai che ti ama.
Credo, non credo? Sai che ci crede… (bis)
in te e riempie il tuo mondo,
anche fuori di te. A volte non parla,
ma è lì con te. Uh, oh…

Dalla Costituzione dogmatica Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II
CAPITOLO I
LA DIGNITÀ DELLA PERSONA UMANA

12. L'uomo ad immagine di Dio.
Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e a suo vertice. Ma che cos'è l'uomo? Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul proprio conto, opinioni varie ed anche contrarie, secondo le quali spesso o si esalta così da fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla disperazione, finendo in tal modo nel dubbio e nell'angoscia. Queste difficoltà la Chiesa le sente profondamente e ad esse può dare una risposta che le viene dall'insegnamento della divina Rivelazione, risposta che descrive la vera condizione dell'uomo, dà una ragione delle sue miserie, ma in cui possono al tempo stesso essere giustamente riconosciute la sua dignità e vocazione.
La Bibbia, infatti, insegna che l'uomo è stato creato « ad immagine di Dio » capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene (9) quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio (10). « Che cosa è l'uomo, che tu ti ricordi di lui? o il figlio dell'uomo che tu ti prenda cura di lui? L'hai fatto di poco inferiore agli angeli, l'hai coronato di gloria e di onore, e l'hai costituito sopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto ai suoi piedi » (Sal8,5). Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio « uomo e donna li creò » (Gen1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone. L'uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti. Perciò Iddio, ancora come si legge nella Bibbia, vide « tutte quante le cose che aveva fatte, ed erano buone assai» (Gen1,31).

13. Il peccato.
Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui. Pur avendo conosciuto Dio, gli uomini « non gli hanno reso l'onore dovuto... ma si è ottenebrato il loro cuore insipiente »... e preferirono servire la creatura piuttosto che il Creatore (11). Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti l'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l'armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione. Così l'uomo si trova diviso in se stesso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l'uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato. Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell'intimo e scacciando fuori « il principe di questo mondo » (Gv12,31), che lo teneva schiavo del peccato (12). Il peccato è, del resto, una diminuzione per l'uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l'esperienza.

14. Costituzione dell'uomo.
Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore (13). Non è lecito dunque disprezzare la vita corporale dell'uomo. Al contrario, questi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno. E tuttavia, ferito dal peccato, l'uomo sperimenta le ribellioni del corpo. Perciò è la dignità stessa dell'uomo che postula che egli glorifichi Dio nel proprio corpo (14) e che non permetta che esso si renda schiavo delle perverse inclinazioni del cuore. L'uomo, in verità, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana. Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l'universo delle cose: in quelle profondità egli torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i cuori (15) là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino. Perciò, riconoscendo di avere un'anima spirituale e immortale, non si lascia illudere da una creazione immaginaria che si spiegherebbe solamente mediante le condizioni fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondo la verità stessa delle cose. (fonte internet: http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html)

Dunque l'umanità (l'uomo e la donna) ha una vocazione e una dignità bellissima, essere poco meno degli angeli, o poco meno di un dio, ma questa dignità viene compromessa dal peccato che bisogna imparare a tenere a bada, ad evitare con tutte le proprie forze. E Dio non è lontano perché l'Amore lo attira e viene addirittura ad abitare in noi, ma bisogna ripristinare in noi l'amore.

Il ritornello
 E se vuoi, essere felice,
e se vuoi essere più trandy,
impara dall’amore che c’è.
E se vuoi, essere felice,
e se vuoi essere più trandy,
impara dalla vita che c’è
dentro te e intorno a te.

 Basta conoscere bene le vite dei Santi per capire qual è la vera felicità e dove la si può attingere. Così Papa Francesco il primo Novembre 2017 all'Angelus:

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buona festa!

La solennità di Tutti i Santi è la “nostra” festa: non perché noi siamo bravi, ma perché la santità di Dio ha toccato la nostra vita. I santi non sono modellini perfetti, ma persone attraversate da Dio. Possiamo paragonarli alle vetrate delle chiese, che fanno entrare la luce in diverse tonalità di colore. I santi sono nostri fratelli e sorelle che hanno accolto la luce di Dio nel loro cuore e l’hanno trasmessa al mondo, ciascuno secondo la propria “tonalità”. Ma tutti sono stati trasparenti, hanno lottato per togliere le macchie e le oscurità del peccato, così da far passare la luce gentile di Dio. Questo è lo scopo della vita: far passare la luce di Dio; e anche lo scopo della nostra vita. Infatti, oggi nel Vangelo Gesù si rivolge ai suoi, a tutti noi, dicendoci «Beati» (Mt 5,3). È la parola con cui inizia la sua predicazione, che è “vangelo”, buona notizia perché è la strada della felicità. Chi sta con Gesù è beato, è felice. La felicità non sta nell’avere qualcosa o nel diventare qualcuno, no, la felicità vera è stare col Signore e vivere per amore. Voi credete questo? La felicità vera non sta nell’avere qualcosa o nel diventare qualcuno; la felicità vera è stare con il Signore e vivere per amore. Credete questo? Dobbiamo andare avanti, per credere a questo. Allora, gli ingredienti per la vita felice si chiamano beatitudini: sono beati i semplici, gli umili che fanno posto a Dio, che sanno piangere per gli altri e per i propri sbagli, restano miti, lottano per la giustizia, sono misericordiosi verso tutti, custodiscono la purezza del cuore, operano sempre per la pace e rimangono nella gioia, non odiano e, anche quando soffrono, rispondono al male con il bene.

Ecco le beatitudini. Non richiedono gesti eclatanti, non sono per superuomini, ma per chi vive le prove e le fatiche di ogni giorno, per noi. Così sono i santi: respirano come tutti l’aria inquinata dal male che c’è nel mondo, ma nel cammino non perdono mai di vista il tracciato di Gesù, quello indicato nelle beatitudini, che sono come la mappa della vita cristiana. Oggi è la festa di quelli che hanno raggiunto la meta indicata da questa mappa: non solo i santi del calendario, ma tanti fratelli e sorelle “della porta accanto”, che magari abbiamo incontrato e conosciuto. Oggi è una festa di famiglia, di tante persone semplici, nascoste che in realtà aiutano Dio a mandare avanti il mondo. E ce ne sono tanti, oggi! Ce ne sono tanti. Grazie a questi fratelli e sorelle sconosciuti che aiutano Dio a portare avanti il mondo, che vivono tra di noi; salutiamoli tutti con un bell’applauso! Anzitutto – dice la prima beatitudine – sono «poveri in spirito» (Mt 5,3). Che cosa significa? Che non vivono per il successo, il potere e il denaro; sanno che chi accumula tesori per sé non arricchisce davanti a Dio (cfr Lc12,21). Credono invece che il Signore è il tesoro della vita, e l’amore al prossimo l’unica vera fonte di guadagno. A volte siamo scontenti per qualcosa che ci manca o preoccupati se non siamo considerati come vorremmo; ricordiamoci che non sta qui la nostra beatitudine, ma nel Signore e nell’amore: solo con Lui, solo amando si vive da beati. Vorrei infine citare un’altra beatitudine, che non si trova nel Vangelo, ma alla fine della Bibbia e parla del termine della vita: «Beati i morti che muoiono nel Signore» (Ap 14,13). Domani saremo chiamati ad accompagnare con la preghiera i nostri defunti, perché godano per sempre del Signore. Ricordiamo con gratitudine i nostri cari e preghiamo per loro. La Madre di Dio, Regina dei Santi e Porta del Cielo, interceda per il nostro cammino di santità e per i nostri cari che ci hanno preceduto e sono già partiti per la Patria celeste. (https://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2017/documents/papa-francesco_angelus_20171101.html)

Terza strofa
M’ama, non m’ama? Sai che ti ama.
Credo, non credo? Sai che ci crede… (bis)
in te, dà luce ai tuoi giorni,
alla tua strada, per tutto il cammino
fino all’arrivo. Uh, oh…

Bisogna acquisire una conoscenza della luce per diradare le tenebre ed Agostino ci viene in aiuto in uno scritto di cui riporto due paragrafi e la fonte per chi vuole approfondire e leggerlo tutto:

Rapporto tra la vita temporale e la vita eterna degna di piú grande amore.
5. Quelli che amano la vita temporale non finiscono per darvi, proprio col loro esempio, una grande esortazione ad amare la vita eterna? Quante cose fanno gli uomini per avere anche pochi giorni di vita! Chi potrebbe enumerare tutti i tentativi, i disperati sforzi che fanno per prolungare la vita tutti coloro che vogliono vivere ma comunque devono morire dopo poco tempo? Quante cose fanno per questi pochi giorni! Forse che si fa altrettanto per la vita eterna? E invece, ripeto, quante cose per riscattare pochi giorni e per di più sulla terra! Di pochi giorni si tratta comunque: anche se il "riscattato" giunge alla vecchiaia; pochi giorni anche se, riscattato fanciullo, arriva a diventare decrepito. Non sto a ricordare il caso di chi, riscattato oggi, può morire domani. Nell'incertezza, per questi pochi giorni incerti quante cose si fanno, quante se ne pensano! Quando per una malattia del corpo si è nelle mani del medico e gli esperti si pronunziano che non c'è alcuna speranza di guarigione, se in questa congiuntura si prospetta un qualche altro medico capace di guarire anche chi è in condizioni disperate, quante cose mai non gli si promettono, quante cose gli si danno, e nell'incertezza! Per vivere poco tempo ci si priva di quello che serve per vivere. 
 Se uno incappa nelle mani del nemico o di un predone, se è fatto prigioniero, i figli corrono perché il padre non sia ucciso, perché sia riscattato e tutto ciò che egli avrebbe lasciato loro, lo danno per riscattarlo; per portarlo via con sé. Quanti sforzi! Quante preghiere! Quanti tentativi! Chi può elencarli tutti? Ma voglio dire di peggio: una cosa che riterresti incredibile se invece non avvenisse. Gli uomini spendono denaro per aver la vita; in realtà non stornano da sé il male. Per vivere pochi e incerti giorni con timore, con fatica, quanto spendono! Quanto danno! Ahi, genere umano! Ho detto che per riscattare la vita spendono quello che è necessario a mantenere la vita. Ma v'è di peggio: di più grave, di più tristo, che è, come ho detto, incredibile se non avvenisse. Perché sia loro possibile vivere una frazione di vita danno anche quello che rappresenta ciò con cui potrebbero vivere sempre. Cercate di ascoltare bene quello che ho detto, e di capire. Questo discorso non è ancora chiaro e tuttavia già influisce su alcuni a cui il Signore lo ha fatto comprendere. Lasciamo da parte ora quelli che danno somme [per i riscatti] e così, per avere un po' di vita, perdono ciò che è necessario alla vita materiale e osserviamo quelli che, pur di avere di che vivere una frazione di vita, perdono ciò che permette di vivere per sempre. A che cosa alludo? A ciò che si chiama fede, che si chiama pietà. Queste cose sono come tutto il denaro con cui si acquista la vita eterna. Può avvenire che insidiosamente sopraggiunga il nemico tremendo. E non ti dirà: " Dammi il denaro per avere in cambio la vita ", ma ti dirà: " Nega Cristo e avrai la vita ". Se tu accetti l'invito, perderai la possibilità di vivere per sempre, per avere quella di vivere una porzione di vita nel tempo. Per te che temevi la morte questo sarebbe amare la vita? O buon uomo, perché temevi la morte se non perché amavi la vita? E la vita è Cristo. Perché vuoi una piccola frazione di vita, per perdere quella sicura? Forse hai perso la fede? o in realtà non avevi di che perdere? Tienti aggrappato a ciò per cui puoi vivere sempre. Guarda quante cose il tuo prossimo fa per avere una piccola porzione di vita. Guarda anche colui che rinnegò Cristo a quanto male arrivò per salvaguardare pochi giorni di vita. E tu non vorresti disprezzare questi pochi giorni di vita? Il compenso è non morire mai, è vivere nel giorno eterno, protetto dal tuo Redentore, uguagliato agli Angeli nell'eterno Regno. Che cosa hai amato? Che cosa hai perduto? Non hai voluto prendere la tua croce per seguire il Signore.
 
Perdere la vita per salvare l'anima.
6. Vedi come ti vuole saggio chi ti ha detto: Prendi la tua croce e seguimi. Egli dice: Chi avrà trovato la sua vita la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà (Mt 10, 38-39). Dunque, chi ha trovato perderà; chi avrà perduto troverà. Per perdere bisogna prima aver trovato; e una volta perso, alla fine troverai ancora. I ritrovamenti sono due e in mezzo passa una sola perdita. Nessuno può perdere la sua vita per Cristo, se prima non l'ha avuta. E nessuno può trovare la sua vita in Cristo se prima non l'ha perduta. Cerca dunque di trovare per perdere; di perdere per trovare. Qual è il modo di trovarla prima, per averla onde perderla poi? Quando pensi che tu sei per un aspetto mortale, quando pensi a Colui che ti ha creato, e ti ha dato col suo Spirito l'anima, quando rifletti che la devi a lui che te l'ha data, che devi restituirla a lui, che l'ha adattata a te, che dev'essere custodita da lui che le ha dato inizio, allora hai trovato la tua vita, l'hai trovata nella fede. In quanto hai avuto fede in queste cose hai trovato la tua vita. Prima di credere eri perso. Ora hai trovato la tua vita. Infatti senza la fede eri morto: sei risuscitato nella fede. Sei come colui di cui si può dire: Era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15, 32). Dunque hai trovato la tua vita nella fede della verità, se sei risuscitato dalla morte della mancanza di fede. Questo significa aver trovato la vita. Ora perdila ed essa sarà come il seme. Anche il contadino infatti, trebbiando e ventilando, trova il frumento; poi, seminandolo, lo riperde. Si ritrova sull'aia quello che si era perduto nella semina; si perde nella semina ciò che si trova nella mietitura. Dunque, chi avrà trovato la sua vita, la perderà. Ma chi è pigro a seminare può raccogliere poi tanto da far fatica a raccogliere?

In favore di chi dobbiamo perdere la vita.
7. Ma ora osserva dove trovi e perché perdi. Non potresti trovare se non ti facesse luce Colui a cui viene detto: Tu, o Signore, dài luce alla mia lampada (Sal 17, 29). E` lui che ti accende la lampada: ormai hai trovato. Vedi per quale ragione puoi perdere. Non si deve perdere a poco a poco ciò che è stato ritrovato con tanta diligenza. Perché Dio non ha detto: " Chi ha perso la vita la troverà ", ma: Chi l'ha persa per me. Se tu per caso vedi sulla spiaggia il corpo di un naufrago che era mercante, lo compiangi, mosso a compassione e dici: " Oh, pover'uomo, per il denaro ha perso la sua vita! ". Fai bene a compiangerlo e a commiserarlo; gli dài almeno il pianto, non potendogli dare aiuto; per il denaro infatti ha potuto perdere la sua vita, ma col denaro non la potrà ritrovare. Fu capace di recar danno alla sua vita, non capace di salvarla. Bisogna riflettere infatti non tanto su che cosa ha perduto, ma perché l'ha perduto. Se è per l'avidità, ecco lì ora dove è la sua umana carne, dove è ciò che gli era caro. E tuttavia è stata l'avidità a spingerlo: per l'oro ha perso la vita. E invece per Cristo la vita non perisce, non succede che si perda. O uomo stolto, non dubitare: ascolta il consiglio del tuo Creatore. Egli ti ha fatto in modo tale che tu lo puoi capire; egli che ti ha fatto, prima che fossi tu uno che può capire. Ascoltami, non esitare a perdere la vita per Cristo. Affida al fedele Creatore quello che vien detto perduto. Quello che tu perdi egli lo accoglie; in lui nulla va perduto. Se ami la vita perdila per trovarla, e quando l'avrai ritrovata non ci sarà più nulla da perdere, nessuna ragione di perdere. Quella che si trova infatti è la vita appunto che non si può in nessun modo perdere. Poiché Cristo, nascendo, morendo e risorgendo per te, te ne ha dato l'esempio: Risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui (Rm 6, 9)
(fonte: Sant'Agostino - Discorso 344 - Amore di Dio e amore del mondo: http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_499_testo.htm)

Ripetizione del ritornello
E se vuoi, essere felice,
e se vuoi essere più trandy,
impara dall’amore che c’è.
E se vuoi, essere felice,
e se vuoi essere più trandy,
impara dalla vita che c’è
dentro te e intorno a te.

Mi ha colpito il titolo di un articolo su Aleteia: "Sei in crisi e cerchi la felicità? 7 consigli infallibili di Santa Teresa"
 
Oggi tutti parlano di felicità. Se avete il modello di auto più recente, sarete felici; se acquistate un appartamento sulla spiaggia, sarete felici; se ottieni una promozione a lavoro, sarete felici; e tante altre situazioni di questo genere. Ma pensate davvero che la felicità sia data dalle cose, dagli oggetti, dai “successi”? Santa Teresa d’Avila ha attraversato un periodo di conversione, anche dopo essere stata consacrata a Dio come suora carmelitana. Anche lei, come molti, poneva la sua speranza nelle cose temporali, senza guardare al Dio eterno del quale era seguace. Ma un giorno, anni dopo l’ingresso nel convento, Gesù toccò il suo cuore e le rispose con generosità. Da quell’incontro con il Signore la sua vita cambiò. Tutti noi possiamo incontrare il Signore. A quel punto il nostro sguardo si poserà sulle cose per le quali vale davvero la pena.
Ecco una preghiera di Santa Teresa che riassume la sua esperienza e ci dà 7 suggerimenti per trovare la vera felicità e aggrapparci a Dio, la cosa più importante della nostra vita.

1. Niente ti turbi
“Eleva il tuo pensiero in alto nel cielo. Dove niente ti addolora, niente ti turba”
Il problema inizia quando lo sguardo è solo sulle cose terrene. L’anima è inquieta. Non c’è pace interiore. Sto cercando, ma non riesco a trovare. Ti è mai capitato? Se siete persone che vanno a Messa la domenica, recitano il rosario e le preghiere durante il giorno e vi accade questo, non preoccupatevi. È normale. L’invito di Gesù attraverso Santa Teresa è quello di elevare il pensiero. Ciò significa lasciare la nostra visione terrena del mondo per vedere con gli occhiali della fede tutto ciò che accade. Le guerre, i conflitti, l’odio, tutto questo avviene nel cuore di Gesù. Abbandonate le vostre preoccupazioni su di Lui. Non vi preoccupate. Presentate le vostre preghiere a Dio e vedrete che Lui ne prenderà carico. Una volta lasciato tutto nel suo cuore, sarete liberi dalle cose terrene e avrete più forza per affrontare il mondo. Ma è necessario lasciare tutto nelle sue mani, cioè avere fede, che è la fiducia in Dio. Egli è il padrone dell’universo, il creatore, lasciate tutto per alzare gli occhi al cielo.
“Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho” (Luca 24: 38-39).

2. Nulla ti spaventi
“Segui Gesù Cristo con un cuore grande e ciò che viene non ti spaventi”
Seguiamo Gesù. La nostra speranza è su di Lui. Ma dobbiamo avere il coraggio di essere cattolici. Non è facile difendere la nostra fede in una società quasi del tutto priva di valori. Non imponiamo una credenza, ma la verità che illumina le tenebre dell’errore. Grande è la nostra missione! Pensate così? Avere un grande cuore vuol dire sapere di essere sulla strada giusta. Ci vuole coraggio per combattere, usando altre armi: l’amore, il perdono, la verità, la fede… Così, quando annunciate Cristo, non abbiate paura di ciò che la gente dice, di ciò che pensano gli altri, perché è il vostro proprio tesoro, è il vostro cuore a comunicare. Nulla ci spaventi nella vita. La paura è come la morfina, a volte intorpidisce e paralizza. Non abbiamo bisogno di morfina quando abbiamo Cristo. Con Lui siamo in grado di affrontare qualsiasi cosa. Nessuna cosa mi allontana dal Signore. È un dono che dobbiamo chiedere. Non finite le vostre preghiere senza chiedere questo dono a Dio, in cui abbiamo forza.
Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore (Romani 8: 35,37-39).

3. Tutto passa
“Vedete la gloria del mondo? Si tratta di vana gloria. Non c’è nulla di stabile, tutto passa “
Guardatevi intorno, cosa vedete? Percepite la “gloria del mondo”? Denaro, acquisizioni, compravendite, transazioni, fama, successo, riconoscimento, potere. Tutto questo è la vanagloria. A che cosa serve? Possiamo portarcelo dopo la morte? Tutto questo muore, muore. Immaginate di lottare 80 anni per la fama, il successo, il denaro e poi, una volta posseduti, morire. Vuol dire lavorare invano, a voi piace farlo? La gloria del mondo è vana per questo motivo. Non aiuta a niente. Invece lottare per la gloria eterna dello stare con Dio non ha un prezzo.
È necessario rimuovere il pregiudizio secondo il quale essere cattolici vuol dire essere repressi, non liberi, legati a leggi e regolamenti che schiavizzano. Questa è una bugia grande come una nave! Più ci si avvicina a Dio, più liberi si diventa. Più ci si distacca dalle cose del mondo, più liberi si diventa. Più ci si allontana dalle tentazioni del male, più liberi si diventa. Non ci si perde! Che la vanagloria vi servi da esempio per la ricerca della gloria celeste, la gloria per la quale vale la pena lottare, quella gloria che vi renderà felici e che “infetterà” gli altri senza che voi lo sappiate.
Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne (2 Corinzi 4: 17-18 ).

4. Dio non cambia mai
“Aspira al cielo che dura per sempre. Fedele e ricco di promesse, Dio non cambia mai “
Spesso si pensa che Dio sia come una fabbrica di gelati, modellabile in base ai nostri gusti. Voglio una piccola palla di cioccolato e una di lampone con gocce di cioccolato. Se non si ottiene ciò che si chiede, non si paga e non si mangia. Dio non è così. Dio è il Padre, e i papà non sempre ci danno quello che vogliamo, ci danno quello che ci serve. Un papà sa cosa è meglio per i propri figli, perché li conosce. Un padre ama i suoi figli, perché li corregge e li rimprovera anche, di tanto in tanto. Un padre vuole il meglio per il proprio bambino. Quanto più Dio con noi! Ma ci risiamo, vogliamo che ci soddisfi, che ci faccia un miracolo, ancora e ancora. Aspettate un po’, Dio non è la fabbrica del vostro gradimento! A volte si deve aspettare prima che qualcuno ci venga incontro. Anche se pensate che Dio sia lontano da voi, che non vi stia guardando, dovreste sapere che Egli è presente nella vostra vita. Ogni vostro respiro è tenuto sotto controllo da Lui. Abbiate fiducia in Dio. Fatevi modellare e correggere da Lui. Vi darà sempre quello che vi serve, non sempre ciò che volete.
“…e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?” (Ebrei 12: 5-7).

5. La pazienza ottiene tutto
“Ama con tutta l’immensa bontà necessaria, ma non c’è vero amore senza pazienza. La fiducia e la fede viva mantengono l’anima, che crede e spera che tutto si compi”
La pazienza è un frutto dello Spirito Santo che ora giace dimenticato. Sarà perché il mondo così tecnologico ci rende tutti express, veloci, via! L’aspettare non gode di molta popolarità. Si dice che la pazienza è la scienza della pace: serve per essere in pace con se stessi, con gli altri e con Dio. È anche sperare senza ansia, sapendo che tutto arriverà, a suo tempo. Ma quanto è difficile! Anche in questo caso, il consiglio è lo stesso: bisogna chiedere al Signore! Il segreto è quello di chiedere. Non c’è amore senza pazienza. Manca pazienza nelle coppie, nei matrimoni, nelle relazioni tra fratelli e sorelle, nel lavoro, nella vita religiosa. Tutti abbiamo bisogno di pazienza. Con fiducia e vivendo per fede possiamo essere certi che tutto si può realizzare. “È che vorrei migliorare il rapporto con mia moglie…” Abbi pazienza! “È che vorrei cambiare i miei difetti…” Abbi pazienza! “Io non so cosa fare con mio fratello, che è molto ribelle…” Abbi pazienza! La pazienza è importante, naturalmente non bisogna trascurare la fede, la speranza e l’amore, ma sempre con pazienza. 
“Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla. Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare mossa e agitata dal vento” (Giacomo 1: 2-6).

6. Chi ha Dio non manca di nulla
“Dal tormentato inferno si deride con furia chi è con Dio. Vengano le diserzioni, le croci, le disgrazie; se c’è il tesoro di Dio non manca nulla”
Qui ci sono due cose da dire. La prima è che non possiamo permettere che il peccato ci ostacoli nel raggiungere Dio. Mai! Il peccato non deve farci affondare nella pozza della disperazione. Se peccate, vi pentite e confessate, Dio vi perdona e voi ricominciate daccapo, pentiti per i vostri peccati! Ma senza mai scoraggiarvi. C’è una cosa che si deve sapere e che Papa Francesco ha detto spesso: mai dialogare col diavolo! Quindi sollevate il volto e camminate, perché se avete Dio la rabbia del male non vi penetrerà. La seconda è che per un cattolico Dio è il suo tesoro. Se si pensa così, non c’è bisogno di cercare pepite d’oro nei fiumi del male. Immaginate una grande cassa piena di gioielli e perle preziose, Dio è per noi molto di più. Dio è il più grande! Qualunque cosa capiterà, la mia felicità sarà in Lui. E non mi manca nulla, non ho nulla da invidiare agli altri, anzi, questo tesoro di Dio può essere condiviso con tutti senza mai esaurirsi. Con un tesoro così, chi non sarebbe felice? Non è una favola o una storiella, è verità. Essendo Dio il mio tesoro, non mi manca nulla.
“Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6: 19-21).

7. Basta solo Dio!
“Se ne andassero dunque i beni terreni; andassero le cose vane. Anche se tutto perisse, mi basta Dio!”
Chiedetevi dove sono le vostre sicurezze, in banca, in azienda, nella fama, nei soldi? Abbiamo già detto che tutto ciò passa. Se avete vissuto per strada senza niente, senza telefono, senza vestiti di marca, senza servizi, amereste ancora Dio? Proprio così! Anche se si perde tutto si dovrebbe rimanere fedeli al Signore. Ma a volte abbiamo un piede nella Chiesa e uno nelle altre cose nel mondo. Bisogna fare il passo finale. Quando la nostra unica sicurezza è l’amore di Dio le cose cambiano, si trasformano. Non mi importa delle cose materiali, se ho questo o quello, il mio unico bene è nel Signore! Solo Dio mi basta, solo Dio riempie il cuore, solo Dio mi dà compimento. Quanto è difficile capire questo? Dio mio, ci dai tutto, tutto! Eppure noi ci lamentiamo. Adesso il nostro compito è metterci gli occhiali della fede e fare il passo di cui abbiamo bisogno verso Dio. Decidiamoci!
“Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo … Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo“(Filippesi 3: 8,12).

Che questi 7 consigli di Santa Teresa di Gesù ci aiutino a vedere le piccole cose della vita, ciò che conta davvero, a guardare Dio verso l’alto. Il cattolico è fermo nella sua fede, perché sa di essere amato da Dio, ha vissuto la sua misericordia e la vede attraverso i suoi fratelli. Se la nostra visione è diretta verso Dio, possiamo cambiare mondo. Rallegriamoci dell’essere strumenti del Signore. Manteniamo la fede viva, costante la speranza e fervente l’amore; diciamo con Santa Teresa: “Niente ti turbi, niente ti spaventi. Tutto passa ma Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla. Basta solo Dio”.  H. Edgar Henríquez Carrasco, LC (fonte: https://it.aleteia.org/2016/08/12/crisi-felicita-consigli-infallibili-santa-teresa/2/)

Alla prossima canzone per dare e cantare Dio...