giovedì 10 dicembre 2015

Pare ajere (sembra ieri)

"Sembra ieri" in napoletano però suona "Pare ajere" fa parte del CD "Vegliando le stelle" del 2011


E' in napoletano, racconta e fa sentire emozioni profonde, quelle viscerali: l'amore ai genitori, alla mamma e al papà, partendo da sensazioni che assopite dal tempo, restano lì e mentre riffiorano, ti ricordano che sei stato bambino, adolescente, giovane e poi adulto. Certe cose, insomma, non si possono dimenticare.


      Mi trovavo a Roma per studiare. Ero tornato dal solito viaggio in macchina di circa 40 chilometri con la mia macchina verde scuro metallizzata, e dopo aver pranzato mi appoggiai sul letto per un piccolo riposino per poi cominciare a studiare, ma qualcosa me lo impediva. Dentro mi nasceva un forte ricordo, un'immagine. Io bambino in braccio a mia madre e lei che abbracciandomi parlava con un'altra signora. Ero appoggiato sul suo cuore, sentivo i battiti e la sua voce come da lontano. Una sensazione di pace e di serenità carpita in quell'attimo fermato dal tempo chissà perché e chissà per cosa... vuoi vedere perché dovevo scrivere una canzone? Mi cominciava anche un motivo con le prime parole: "Pare ajere ca m'addurmev mbraccio a mamma mia" (Sembra ieri che mi addormentavo in braccio a mamma mia). Mi dicevo: "no, adesso no. Devo dormire". Ma quell'idea, come una forzata dettatura del cuore, mi spingeva a prendere la chitarra e un foglio e a scrivere... Mi rigiravo dall'altra parte e di nuovo la spinta a mollare la coperta e afferrare l'attimo creativo.

     Ricordo che l'insistenza fu tale che snervato dal tira e molla andai quasi stizzito al tavolo a prendere la penna e poi afferrare la chitarra. Col senno di poi, mi dico: "Benedetto abbandono del letto". Le cose dello Spirito sono così, vogliono l'ascolto silente e obbediente. Devo dire che rimasi esterrefatto, perché sentivo il contatto con questa entità spirituale, che quando ti afferra ti da anche la gioia di vedere cosa si sta concretizzando sotto ai tuoi occhi e assisti all'ennesmo miracolo della nascita di una canzone, che prima non c'era, non l'avevi neanche pensata e ora è sotto i tuoi occhi. Mentre la canti ti piace e ti da gioia, senza neanche immaginare l'eventuale pubblico che forse non ci sarà mai. Sempre, invece, ci sarà colui che te l'ha fatta nascere dentro e poi donare all'esistenza.

Ma cos'è che compone una canzone oltre al testo alla musica e all'intepretazione? Leggendo un'intervista che parla di mistica e poetica, di sentimento religioso e ispirazione poetica, mi sono reso conto che le canzoni da me composte hanno dell'altro. Sono caratterizzate da una propria poetica e una propria mistica. Sul sito della Rai ho trovato questa intervista molto interessante di Francesca di Mattia ad Antonio Spadaro gesuita direttore della Civiltà Cattolica: Il sentimento religioso e l'ispirazione poetica. Qui si dice che mistica e poetica vanno d'accordo e aiutano ad incontrare Dio su altre strade che non siano la ragione e il ragionamento. Esse si collegano direttamente alle profondità dell'essere. Io aggiungo che alle due, la musica, aiuta ancora di più a raggiungere il luogo dell'incontro con Dio. Dell'intervista riporto solo alcune "domande e risposte"...

"I grandi mistici dell’Occidente hanno spesso utilizzato la scrittura in modo verticale (parole “verso” Dio, per comunicare con il “tutto”) e in modo orizzontale (parole di testimonianza e predicazione per la condivisione dell’ideale religioso con altri uomini e donne). Un’esigenza dell’anima, potremmo definirla, che spesso è diventata opera letteraria, anzi un vero e proprio genere. Cosa pensi di questo fenomeno che ci ha dato “frasi di carne e sangue”, frammenti di estasi e libri d’amore, talvolta contraddittori e sofferti? R.: Nel sentimento religioso e nell’ispirazione poetica è possibile riconoscere alcuni gesti profondi comuni: il raccoglimento, il ritmo di attività e passività, di iniziativa e di accoglienza alla gratuità di una «visita». Esiste un’analogia e una continuità fra le due esperienze a tal punto che un grande studioso di mistica e poesia, Henri Bremond, si rivolse proprio all’esperienza mistica per chiarire la natura dell'esperienza poetica. Insomma: tocca al mistico spiegare il poeta. La poesia non è la preghiera, ma essa tende di sua natura a raggiungerla. Ciò significa che la poesia è il segno di una facoltà che ci appartiene, in grado di ricevere Dio e incapace da sé di comprenderlo. Quella poetica è un tipo di conoscenza unitiva, conoscenza non per astrazione concettuale, ma per assenso concreto e totale, che unisce all’oggetto, che fa toccare il reale. Come la contemplazione mette il mistico in grado di avvicinarsi a Dio e di contemplarlo, così ogni esperienza poetica implica un contatto immediato con una realtà interiore, inattingibile in altri modi.  (...)
 D.: La testimonianza dei mistici nasce dunque dall’unione profonda di anima e parola, parola intesa come “verbo originario”?  
R.: Il cristianesimo ha bisogno di parole che esercitano la capacità di ascolto e di «raccoglimento». Il linguaggio poetico-letterario ha il potere di far ritirare l’uomo dal chiasso perché rientri in se stesso, non alienandosi dal mondo, ma portando il proprio mondo con sé in modo ridotto alle sue linee essenziali, dandogli la possibilità di ritrovare se stesso. Per il corretto ascolto del messaggio cristiano occorre inoltre saper udire le parole che colpiscono il centro dell’uomo, il cuore, perché, quando Dio si comunica nella parola della rivelazione cristiana, questa parola è in cerca di tutto l’uomo nella sua originaria unità, dalla quale scaturisce la sua esistenza. Le parole del messaggio evangelico sono necessariamente non parole della ragione tecnica, ma «parole del cuore»: non parole sentimentali, né parole puramente razionali. Il cristiano sa percepire la parola che colpisce il cuore nel suo più intimo. Sa imparare ad ascoltare la parola che, nel suo senso limitato e preciso, è la corporeità del mistero. Ma questa è anche la parola «poetica». La capacità e l’esercizio di ascolto della parola poetica è dunque un presupposto per ascoltare la parola di Dio.
(...)  D.: I Salmi, per la ricchezza dei contenuti e della forma, rappresentano una fonte inesauribile di stimoli, che si può calare perfettamente nel nostro quotidiano. R.: I Salmi, oltre ad essere in se stessi preghiera, sono divenuti fonte di elaborazione ed espressione di nuova preghiera, quasi una partitura da eseguire liberamente o un canovaccio che serve come riferimento per creare un linguaggio orante nuovo. Sono numerosi i libri che contengono queste rielaborazioni che prendono spunto dal testo biblico per attualizzarlo e interpretarlo. Nel XVII secolo la parafrasi dei Salmi divenne un genere letterario (Malherbe, Corbeille, La Fontaine,…). Ma ricordiamo che grandi musicisti, da Monteverdi, Bach e Vivaldi a Stravinsky, Kodaly e Bernstein, hanno scelto di lavorare, in vario modo, intorno alla poesia salmica. Esistono anche alcune elaborazioni in immagini e suoni. Una delle più importanti dei nostri giorni porta la firma di Lucio Dalla: nel 1992, per la Kamel Film – Pressing, con Robert Sidoli e Roberto Guarino, egli ha composto musiche per i Salmi che il regista Pietro Quagliano ha illustrato con racconti minimali in video che presentano immagini delle foreste africane e dei grattacieli di New York, le grandi pianure americane e le povere case vietnamite. Essi dunque costituiscono poesia fondativa di civiltà letteraria, capace di ispirare altra poesia in parole, suoni e immagini. I Salmi spesso mostrano la vita nei suoi momenti più intensi e fondamentali, sia in forma lirica sia in forma narrativa: felicità, amore, passione, paura, dolore, morte, trovano accenti e espressioni che parlano e riescono a raccontare e a far «vedere». Per questo oggi, come sempre, esprimono bene l’esigenza dell’anima e diventano occasioni di parafrasi, interpretazioni e riscritture."

Sono d'accordo con quanto si afferma nell'intervista, che la poesia e la mistica possono andare d'accordo e con l'aiuto della musica si può arrivare a far sperimentare"il Cielo". Perché no, indurre ad una esperienza mistica. Ildegarda di Binsen nel XII secolo fu monaca, mistica e artista, teologa e medico di grande spessore. Le sue composizioni ancora sono eseguite e molto apprezzate. Il 7 Ottobre 2012 è stata dichiarata dottore della Chiesa da papa Bnedetto XVI.

Le canzoni che io scrivo non arrivano alle altezze vertiginose di tanti artisti davvero bravi e meritevoli, né tantomeno ad Ildegarda di Binsen, ma quando nascono, mi fanno sperimentare la stretta connessione tra Cielo e terra. L'alchimia che avviene attraverso le "componenti genetiche" della canzone, testo, musica e interpretazione, che si intrecciano poi, a loro volta con poetica e mistica, mi aiutano comunque ad elevare lo spirito. Per mistica intendo quanto si legge nel dizionario Treccani: "Atteggiamento spirituale in cui lo spirito individuale trova risposta al senso del suo essere e la piena esplicazione delle proprie capacità nella contemplazione e nel ‘contatto’ con la realtà del divino (inteso diversamente nell’ambito delle differenti esperienze mistiche); ha varia fisionomia anche secondo l’accentuazione del suo aspetto speculativo o etico-pratico".

Cerchiamo ora di tornare alla mia "Pare ajere", canzonetta se vogliamo, ma credo molto ispirata, per come mi è nata.

Prima strofa

Pare ajere,
ca m’addurmevo
’m’braccio a mamma mia.
E ne sentevo a voce
e ’o core che sbatteva.

(traduzione) 
Sembra ieri, 
che m'addormentavo 
in braccio a mia madre 
e ne sentivo la voce 
e il cuore che batteva. 

     Non è bella la traduzione e non rende il pathos che è contenuto nella mia lingua madre, il napoletano. Questa immagine di mia madre con me in braccio, che l'infanzia mi ha impresso nella memoria affettiva, è davvero forte, piena di sentimento, di emozione... Nell'attimo in cui riaffiorò dalla memoria mi provocò un vero turbinio emotivo. Mia madre era già passata a miglior vita da alcuni anni e tutto il trambusto della mancanza affettiva l'avevo superata da un pezzo. Non nasceva dunque da nostalgia, da malinconia, ma credo sia stata proprio un'emersione di un ricordo, come un dono di Dio al mio spirito, una pace, dopo il trambusto della prima mezza giornata passata tra traffico e lezioni in facoltà. Comunque è una gioia riuscire a dare visibilità a un'emozione attraverso una canzone.Questi primi versi così sembrano dar vita a una foto, a un fermo-immagine, che poi è molto di più perché ci sono non solo immagini ma sensazioni, odori, palpiti del cuore e tutti i sensi concentrati in quell'attimo che è divenuto memoria viva.

Seconda strofa

Pare ajere,
ca pateme,
m’accumpagnava a scola,
girava a cincuciente
e po’ se ne parteva.

(traduzione) 
Sembra ieri
che mio padre,
mi accompagnava a scuola
girava la sua cinquecento
e poi se ne andava

      L'altra immagine che pure riaffiorava alla mia mente e alla mia memoria, era mio padre che andava via dopo avermi affidato al professore delle elementari. Davvero sentivo la tristezza di quel distacco. La scuola elementare è stato un quinquennio non troppo felice. Non ero contento di andare a scuola dove assistevo a molta violenza. Il professore era severo e quando non gli giravano erano mazzate. Un buon uomo "scallanema soja", ma i calci e i pugni inferti ai miei compagni ciuchi per "transfert" li subivo anch'io: "Papà non te ne andare, non mi lasciare qui a soffrire". La macchina andava via ed io lasciato alle mie dosi di violenza giornaliera. Davvero di quei cinque anni mi ricordo molto poco. Oltre alle botte, ricordo la nevicata in un inverno molto rigido, era la prima volta che vedevo la neve da vicino e la vedevo scendere dal mio posto nei banchi della seconda elementare. Ero spesso malato per le tonsille che ad ogni cambiamento climatico mi mettevano kappa-o ed erano penicilline e siringhe che mi trapanavano i glutei. Ricordo una volta mia madre che aveva già messo la medicina nella siringa ed io tergiversavo, mi agitavo che non volevo quel supplizio. Si rischiava di buttare la medicina. Mio padre per tenermi fermo mi diede un morso e sentii un dolore lancinante e mia madre mi infilò l'ago e la medicina che mi faceva sentire dolore per tutta la gamba per un'ora. Ho combattuto con le tonsille fino a sedici anni, quando finamente il mio medico me le fece togliere. Non è stata poetica l'asportazione delle tonsille. Ricordo solo i ghiaccioli a limone che servivano per causticare le ferite nella gola. Non credo che scriverò mai una canzone su quest'altro episodio.

Prima parte del ritornello

Pare ajere,
caggiu ditt, chillu “sì”.
Pare ajere,
e sta passanno chesta vita.
E je me sento l’anima,
ca scoppia e tanta vita.


 (traduzione)
Sembra ieri,
da quando ho detto il mio "Sì"
Sembra ieri,
e sta passando questa vita.
E sento l'anima
che scoppia di tanta vita.


      Mia madre, mio padre, dolci e amari ricordi. Soprattutto il Signore Iddio a cui ho voluto donare la mia vita. E nel "Sì" della consacrazione c'è tutto. Davvero aver conosciuto l'amore di Dio mi riempie l'anima di ogni dolcezza. Ci sono giorni cupi, ma altri solari e pieni della Sua Presenza, così chiara, così palpitante, come quando scrivo una canzone e sono i giorni migliori, quelli più belli. Sono stato Ordinato Diacono a settembre del 1993 e sacerdote l'anno succesivo 15 Ottobre del 1994, giorno della memoria di Santa Teresa la grande e, la sento grande Madrina del mio sacerdozio. Sono trascorsi già vent'anni...sembra ieri. Come vorrei che si aggiustassero tante cose, che col tempo si sono usurate o addirittura scassate... Amicizie che come fiumi carsici, sono scomparse e chissà se riaffiorano più. Altre che si ritrovano ma che i capelli bianchi rendono più difficili. Quanta vita che è passata, mi ha sfiorato, lambito, vivificato... L'anima sembra un registratore che incassa, incassa, e si purifica al dolore di tante amputazioni... A proposito di amputazioni...

Mi sono ritrovato a leggere questa pagina dall' Evangelo come mi è stato rivelato di M. Valtorta, dove Gesù con forza spiega quale amore occorre per essere discepolo:

Dice Gesù: "Venire a Me come discepolo vuol dire rinuncia di tutti gli amori a un solo amore: il mio. Amore egoista verso se stessi, amore colpevole verso le ricchezze o il senso o la potenza, amore onesto verso la sposa, santo verso la madre, il padre, amore amabile dei e ai figli e fra- telli, tutto deve cedere al mio amore se si vuole essere miei. In verità vi dico che più liberi di uccelli spazianti nei cieli devono essere i miei discepoli, più liberi dei venti che scorrono i firmamenti senza che nessuno li trattenga, nessuno e nessuna cosa. Liberi, senza catene pesanti, senza lacci d'amore materiale, senza neppure le ragnatele sottili delle più lievi barriere.
Lo spirito è come una delicata farfalla serrata dentro al bozzolo pesante della carne, e può appesantirne il volo, o arrestarlo del tutto, anche l'iridescente e impalpabile tela di un ragno: il ragno della sensibilità, della ingenerosità nel sacrificio. Io voglio tutto, senza riserve. Lo spirito abbisogna di questa libertà di dare, di questa generosità di dare, per poter esser certo di non essere impigliato nella ragnatela delle affezioni, consuetudini, riflessioni, paure, tese come tanti fili da quel ragno mostruoso che è Satana, rapinatore di anime.
Se uno vuol venire a Me e non odia santamente suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i suoi fratelli e le sue sorelle, e persino la sua vita, non può esser mio discepolo. Ho detto "odia santamente". Voi in cuor vostro dite: "L'odio, Egli lo insegna, non è mai santo. Perciò Egli si contraddice". No. Non mi contraddico. Io dico di odiare la pesantezza dell'amore, la passionalità carnale dell'amore al padre e madre, e sposa e figli, e fratelli e sorelle, e alla stessa vita, ma anzi ordino di amare, con la libertà leggera che è propria degli spiriti, i parenti e la vita. Amateli in Dio e per Dio, non posponendo mai Dio a loro, occupandovi e preoccupandovi di portarli dove il discepolo è giunto, ossia a Dio Verità. Così amerete santamente i parenti e Dio, conciliando i due amori e facendo dei legami di sangue non peso ma ala, non colpa ma giustizia. Anche la vostra vita dovete esser pronti a odiare per seguire Me. Odia la sua vita colui che, senza paura di perderla o di renderla umanamente triste, la fa servire a Me. Ma non è che una apparenza di odio. Un sentimento erroneamente detto "odio" dal pensiero dell'uomo che non sa elevarsi, dell'uomo tutto terrestre, di poco superiore al bruto. In realtà questo apparente odio, che è il negare le soddisfazioni sensuali alla esistenza per dare una sempre più vasta vita allo spirito, è amore. Amore è, e del più alto che esista, del più benedetto. Questo negarsi le basse soddisfazioni, questo interdirsi la sensualità degli affetti, questo procurarsi rimproveri e commenti ingiusti, questo rischiare punizioni, ripudi, maledizioni e forse anche persecuzioni, è una sequela di pene. Ma occorre abbracciarle e imporsele come una croce, un patibolo sul quale si espia ogni passata colpa per andare giustificati a Dio, e dal quale si ottiene ogni grazia, vera, potente, santa grazia di Dio per coloro che noi amiamo.
Chi non porta la sua croce e non viene dietro a Me, chi non sa fare questo, non può essere mio discepolo.
Pensateci dunque molto, molto, voi che dite: "Siamo venuti perché vogliamo unirci ai tuoi discepoli". Non è vergogna ma sapienza pesarsi, giudicarsi e confessare, a se stessi e agli altri: "Io non ho stoffa di discepolo". (20 settembre 1945)

Seconda parte del ritornello

Si Tu ca me staje arinte.
So schiaffe e po’ carezze,
si chiove o esce o sole.
Pe Te tutto è ammore
’nda sta vita,
’nda sta vita.


(traduzione) 
Sei Tu che mi stai dentro.
Sono schiaffi e a volte carezze,
se piove o esce il sole.
Per Te tutto è amore
in questa vita,
in questa vita.

      Nessuno si illude  che sia sempre sereno, nè che manchino le nuvole anche nelle giornate di gioia. Nessuno è così anormale da non sapere che nella vita ci sono salite e discese da fare e pianure noiose da camminare e da vivere, ma se si comincia a vedere con gli occhi di Dio che è Amore, e tutto esprime questa verità, tranne l'uomo sporcato dal peccato, allora si comincia a capire che si è incamminati verso una meta e questa specie di realtà è un film, una scena che deve passare.
Dio è dentro di noi, ed è anche ovunque.Se permette certe cadute è perché ne ricaviamo in umiltà e fervore. Se permette certi dolori e sofferenze è per una purificazione che certo porterà ad una nuova comprensione di Lui Amore. Scriveva San Paolo: "Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati." (Rm 8, 28-30). In questa vita tutto è amore... e tutto può servire per il ritorno a casa.

Terza strofa

Pare ajere,
ma è già oggi
e dimane sta già cà.
E nun ce può passà,
che tutto se ne và.

(traduzione) 
Sembra ieri,
ma è già oggi,
domani è già qua.
Non ci puoi passare, 
che tutto se ne và.

     Sì, la vita è un attimo, col senno di poi, guardando indietro, ai miei cinquantuno anni, sento come se qualcuno avesse messo un'accelerazione al tempo. Sarà che si è tanto impegnati, sarà che veramente il Signore vuole farci sentire la fame di eternità... è che ... più luce entra, più le tenebre del mondo si manifestano e anche aumenta il disagio dell'esserci, quasi inadeguati, come stranieri nel tempo. Passano, passano, passano i giorni, i mesi, gli anni e aumenta la consapevolezza che ci attende la nuova Patria unica per tutti. Un dono da meritare in qualche modo e da pagare con la croce da portare e vivere bene, che è proprio la tua e di nessun altro con tutta la fatica dell'essere discepolo. Il traguardo può essere vicino o lontano non importa. Importa essere sempre nella Luce, nell'amore, per non correre il rischio di aver corso invano, di aver creduto e non meritare il premio...

Pare ajere, dunque ma è già oggi, anzi... il domani è già qua.

Dopo la ripetizione del ritornello, Niki, il chitarrista e arrangiatore della canzone, ha voluto metterci la sua firma, una "nota" musicale che fa meditare molto e che io non mi stanco mai di ascoltare...

Alla prossima canzone per dare e cantare Dio...






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