venerdì 23 marzo 2018

C'è bisogno di Te - Hey Jesus

Queste due canzoni mi legano a Roberto Bignoli, che è passato a miglior vita il 13 marzo 2018.

1. C'è bisogno di Te, quando gliela feci ascoltare la prima volta, eravamo in Bulgaria, ospiti ad un festival organizzato da un frate francescano che si faceva chiamare don Kizu. C'erano solo le prime strofe della canzone e lui era rimasto colpito. Per la celebrazione della Messa col Vescovo del luogo, la cantammo nonostante mancassero ancora dei pezzi, come ringraziamento dopo la Comunione. In seguito volle che la completassi e che gliela donassi perché la sentiva molto sua. Non sono abituato a dare canzoni, ma in questo caso per me era un onore donare una mia canzone a uno dei più importanti cantautori di Christian Music in Italia. 
 

 Con Roberto ho condiviso anche un mese di gioie e dolori in una tournèe fra Stati Uniti e Canada dal 5 Novembre al 5 Dicembre 2001. Un mese davvero intenso dove abbiamo vissuto fianco a fianco, chilometro per chilometro, tra Toronto, New York e Washington D.C. in compagnia di un cantautore americano Danis Grady e Salvatore, figlio di mia cugina che viveva a Toronto e che ci faceva da interprete. E poi tantissimi concerti insieme per tutta l'Italia. Ultimo quello del 2010 a Reggio Calabria col gruppo Nuova Civiltà. Da Paola sua moglie ho saputo dei suoi malanni e ho cercato di fare la mia parte soprattutto come sacerdote, chiedendo all'Eterno Padre con preghiere e suppliche, la sua guarigione. Poi la notizia infausta, ma anche la certezza che quel Dio che lui ha cantato e testimoniato nel mondo, fino ai paesi più impensati, certamente l'avrà accolto tra le sue braccia e prima ancora Maria, che amava sopra ogni cosa. Infatti proprio a Medjugorje, la sua vita aveva preso una svolta, dalla droga, alla fede, e poi il matrimonio con Paola e le sue bellissime e amatissime figlie: Marichiara e Mariastella. A lui sono grato e con me tantissimi altri lo sono, della sua amicizia e della forza che aveva nel trascinarci nell'avventua della Musica Cristiana. Con lui mi sono ritrovato a Washington D.C. quando è stato insignito del premio Unity Awards per la Christian Music. A lui devo i miei primi passi nel mondo dei cantautori cristiani, e se non era per lui non nasceva "Jesus on line" e non ci sarebbero state tante altre esperienze che col senno di poi mi fanno dire solo: GRAZIE Roberto, e grazie anche a Paola, moglie davvero esemplare sempre a sostenerlo stando dietro alle quinte, come fa uno sfondo che si perde per far risaltare ciò che sta in primo piano.

Il testo di "C'è bisogno di Te"

Ritornello

Quando scende la sera c’è bisogno di Te,
quando manca la pace e qui non ci sei,
c’è bisogno, c’è bisogno di Te.
Quando scende la sera c’è bisogno di Te,
quando manca la pace e qui non ci sei,
c’è bisogno di Dio fra noi.


 È la prima e forse unica canzone mia che comincio col ritornello, non mi era mai successo prima e non so se succederà in seguito, di scriverne una così. Nel ritornello, poi, c'è tutto il messaggio della canzone: "Senza di Lui non possiamo fare nulla" (cfr Gv 15, 5). E chi lo ha sperimentato tante volte lo sa. Manca Dio, manca la Pace, manca "Gesù in mezzo ai "due o più" e si piomba nel caos spirituale, nell'assenza dello "Sposo", nella fragilità più piena, si rischia di piombare all'inferno. Ma una "chiave c'è per non soccombere nella prova: è chiamare per nome ogni dolore, ogni divisione, ogni peccato. Riporto un brano di una lectio magistralis tenuta da Emmaus, attuale presidente del Movimento dei Focolari, all'inaugurazione dell'anno accademico dell' Istituto Superiore di Scienze Religiose di Capua (CE) il 25 novembre 2013:

«Vorrei partire dallo stralcio di una lettera che Chiara scrive ad una amica ancora nel lontano 1946. Stralcio emblematico, dove si legge: 

 
“Vedi (…), io sono un’anima che passa per questo mondo.
 Ho visto tante cose belle e buone e son sempre stata attratta solo da quelle.
 Un giorno (indefinito giorno) ho visto una luce. Mi parve più bella delle altre cose belle e la seguii. M’accorsi che era la Verità”.

Gesù sulla croce. Venuto sulla terra per ricondurre gli uomini (che si erano allontanati da Dio con il peccato) nella piena comunione con Lui, prende su di sé ogni aspetto negativo dell’uomo: i suoi dolori, le sue angosce, la sua disperazione, le sue pene, i suoi peccati…, rendendosi Lui stesso, che era l’Innocente, simile all’uomo peccatore. “Per riportare all’uomo il volto del Padre, Gesù ha dovuto non soltanto assumere il volto dell’uomo, ma caricarsi persino del ‘volto’ del peccato” , dice Giovanni Paolo II.

Siamo agli inizi del Movimento, nel 1944, ancora in piena guerra mondiale. In una circostanza particolare un sacerdote dice a Chiara che, a suo parere, il dolore più grande di Gesù è stato quando in croce ha gridato: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46). È immediata la conclusione di Chiara: se è stato il culmine del dolore, è stato anche certamente il vertice del suo amore per noi. Da allora si sente chiamata ad essere, insieme alle sue prime compagne e, poi, a quanti avrebbero seguito il suo Ideale, la “risposta d’amore” a quel grido.
Gesù Abbandonato le si manifesta, dunque, come “la viva dimostrazione dell’amore di Dio qui in terra”. 
Ben lo evidenzia un noto “canto” di lode e di gratitudine, sgorgato spontaneo dal suo cuore, dedicato proprio a Gesù Abbandonato:


“Perché avessimo la Luce Ti facesti cieco.

Perché avessimo l’unione provasti la separazione dal Padre.

Perché possedessimo la Sapienza Ti facesti ‘ignoranza’.

Perché ci rivestissimo dell’innocenza, divenisti ‘peccato’.

Perché sperassimo quasi Ti disperasti…

Perché Dio fosse in noi Lo provasti lontano da Te.

Perché fosse nostro il Cielo sentisti l’Inferno.

Per darci un lieto soggiorno sulla terra, tra cento fratelli e più, fosti estromesso dal Cielo e dalla terra, dagli uomini e dalla natura.

Sei Dio, sei il mio Dio, il nostro Dio di amore infinito”.

Per questo amore infinito, che Gesù nell’abbandono in croce ha avuto per ogni uomo sulla terra, ogni nostro dolore è stato trasformato, ogni vuoto riempito, ogni peccato redento. La nostra lontananza da Dio è stata superata nella ritrovata comunione con Lui e fra noi.
 In Gesù Abbandonato è racchiusa, quindi, la chiave per penetrare e dare risposta al mistero più profondo che avvolge la vita dell’uomo e dell’intera umanità: il mistero del dolore, della sofferenza.
E’ un grande mistero questo, che tocca profondamente il cuore di Chiara:
 

“Gesù sulla terra… – scrive con commozione palpabile – Gesù nostro fratello… Gesù che muore fra ladri per noi: Lui, il Figlio di Dio, accomunato con gli altri. ‘(…) Se sei venuto fra noi, è perché la nostra debolezza ti ha attirato, la nostra miseria t’ha ferito a compassione’. Certo non c’è madre o padre terreno che attendano un figlio perduto e facciano ogni cosa per il suo ritorno come il Padre celeste”.

Dal mistero vissuto da Gesù sulla croce, Chiara vede sprigionarsi una luce capace di illuminare e di dare senso ad ogni esperienza di dolore e di abbandono che l’uomo può vivere. E ne parla con semplicità, confidando che, da quando Gesù Abbandonato le si è manifestato, le è parso di scoprirlo dovunque:
 

Egli, il suo volto, il suo misterioso grido, sembrarono colorire ogni istante doloroso della nostra vita”.
“Il buio, il senso di fallimento, l’aridità scomparivano – annota Chiara -. E si cominciava a capire quant’è dinamicamente divina la vita cristiana che non conosce noia, croce, dolore, se non di passaggio, e fa gustare la pienezza della vita, che vuole dire risurrezione, luce, speranza pur in mezzo alle tribolazioni”». 



Prima strofa
E ti accorgi che senso non ha
camminare da soli, pensare solo a sé.
E lo senti che nasce così
mentre ami e ti doni a chi è accanto a te.

 Parte del Ritornello
Quando scende la sera c’è bisogno di Te,
quando manca la pace e qui non ci sei,
c’è bisogno di Dio fra noi.


Gesù Crocifisso e Abbandonato, ci da la chiave per ricomporre ogni disunità. Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il credere, la fede in Lui. Credere e sperimentare la Presenza di Gesù fra due o più è una grazia enorme. Chi la desidera ha solo da sperimentare questa Parola: "Dove due o più sono uniti nel mio Nome Io Sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20). Così si legge in un articolo uscito su Città Nuova che spiega questa realtà partendo da uno scritto di Chiara "La resurrezione di Roma": 

"I due diventano uno. Continua Chiara,
 
“È Dio che di due fa uno, ponendosi a terzo, come relazione di essi: Gesù fra noi. Così l’amore circola e porta naturalmente (per la legge di comunione che v’è insita), come un fiume infuocato, ogni altra cosa che i due posseggono per rendere comuni i beni dello spirito e quelli materiali. E ciò è testimonianza fattiva ed esterna d’un amore unitivo, il vero amore, quello della Trinità.”

Eccoci finalmente a Gesù in mezzo: Egli qui appare come il “terzo”. Non “terzo” tra due distinti, ma “terzo” tra i due fatti uno. Tanto che c’è Gesù nell’io, nel tu (al quale l’io si è unito ritrovando se stesso, e dunque Gesù in entrambi) e Gesù tra loro.
«Allora veramente Cristo intero rivive in ambedue ed in ciascuno e fra noi».

Lo sforzo costante che deve fare ogni uomo per rimanere all’interno di queste dinamiche trinitarie è quello di “lasciarsi vivere” da Dio:
 
“E penso che, lasciando vivere Dio in me e lasciandoLo amarSi nei fratelli, scoprirebbe Se stesso in molti, e molti occhi s’illuminerebbero della sua Luce [...]. Bisogna far rinascere Dio in noi, tenerLo vivo e traboccarLo sugli altri come fiotti di Vita e risuscitare i morti. E tenerlo vivo fra noi amandoci.”
Ecco allora Chi è “Gesù in mezzo”: è sia una presenza (il terzo fra due), sia una realtà, perché egli è terzo lì dove i due sono uno, ed essendo Terzo continua a distinguere i due nell’unità raccogliendoli in se stesso." 


Seconda strofa
E lo senti che cresce con te
Mentre ami e cammini uscendo da te.
E lo vedi con gli occhi di chi
è ritornato da lì attirato da Dio fra noi.

Ripetizione della parte di ritornello
Quando scende la sera c’è bisogno di Te,
quando manca la pace e qui non ci sei,
c’è bisogno di Dio fra noi.


"Gesù abbandonato è colui che dà luce a chi spera contro ogni speranza. È il modello di colui che confida: Abbiate fiducia – aveva detto –: “Io ho vinto il mondo!” (Gv 16, 33). Infatti nessuno ebbe una fiducia più grande di lui che, abbandonato da Dio, si fidò di Dio; abbandonato dall’Amore si affidò all’Amore.
Gesù indica il significato della fede proprio nel suo abbandono: essa infatti non è l’atteggiamento di chi ha buone motivazioni per credere, ma di chi non ne ha affatto e a cui tutto sembra perduto.
Gesù abbandonato dunque è la fede, e proprio per questo non può non essere considerato l’altra faccia della medaglia (intendendo con questa “Gesù in mezzo”). Siamo così arrivati alla congiunzione “e” che lega i due termini del titolo: Gesù in mezzo “e” la fede. È Chiara stessa a sottolineare, in Risurrezione di Roma, la strettissima relazione tra i due termini.
Dopo aver affermato «Bisogna far rinascere Dio in noi, tenerLo vivo e traboccarLo sugli altri come fiotti di Vita e risuscitare i morti. E tenerlo vivo fra noi amandoci», Chiara spiega in cosa consista questo «tenerlo vivo fra noi amandoci»: «e per amarsi non occorre strepito: l’amore è morte a noi – e la morte è silenzio – e vita in Dio – e Dio è il silenzio che parla». "
(Fonte: https://www.cittanuova.it/cn-download/21449/21450)

Terza strofa
E’ Paradiso già in terra, già qui
se ci amiamo davvero fino a darci la vita.
E’ Paradiso ed è cielo quaggiù
se siamo pronti a morire per amore, per Dio


 Ritornello
Quando scende la sera c’è bisogno di Te,
quando manca la pace e qui non ci sei,
c’è bisogno, c’è bisogno di Te.
Quando scende la sera c’è bisogno di Te,
quando manca la pace e qui non ci sei,
c’è bisogno di Dio fra noi.

 
"Durante l’estate del 1949, Chiara Lubich, con i suoi 29 anni, vive un’esperienza di luce e di vita. Lasciare quel “paradiso” in montagna non è facile, ma avverte che Dio la vuole immersa nei dolori dell’umanità, “prosciugando l’acqua della tribolazione” in quelli che più soffrono. È con quello spirito che scrive di getto:

«Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù Abbandonato: non ho altro Dio fuori di Lui.
In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità.
Perciò il suo è mio e null’altro.
E suo è il Dolore universale e quindi mio.
Andrò per il mondo cercandolo in ogni attimo della mia vita.
Ciò che mi fa male è mio.
Mio il dolore che mi sfiora nel presente. Mio il dolore delle anime accanto (è quello il mio Gesù). Mio tutto ciò che non è pace, gaudio, bello, amabile, sereno…, in una parola: ciò che non è Paradiso. Poiché anch’io ho il mio Paradiso ma è quello nel cuore dello Sposo mio.
Non ne conosco altri.
Così per gli anni che mi rimangono: assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di malinconie, di distacchi, di esilio, di abbandoni, di strazi, di… tutto ciò che è lui e lui è il Peccato, l’Inferno.
Così prosciugherò l’acqua della tribolazione in molti cuori vicini e – per la comunione con lo Sposo mio onnipotente – lontani.
Passerò come Fuoco che consuma ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la Verità.
Ma occorre esser come Lui: esser Lui nel momento presente della vita»."

(fonte: http://www.focolare.org/news/2016/09/25/chiara-lubich-ho-un-solo-sposo-sulla-terra/)

In questa canzone dunque c'è tutto: Paradiso, Purgatorio e Inferno. Quest'ultimo non come luogo di perdizione, ma come risvolto in positivo di quel luogo. Se la terra senza salvezza operata da Gesù, sarebbe rimasta un pre-inferno, con la morte e risurrezione di Gesù, tutto il pre-inferno è stato assunto da Gesù e da allora tutto il negativo dell'umanità si è riempito della presenza divina. E come ci ha insegnato Chiara Lubich, posso amare il dolore, una divisione, qualsiasi altra cosa negativa e scorgerci Gesù Abbandonato. L'inferno definitivo è un'altra cosa ancora, ma finché siamo sotto al Cielo, possiamo sempre uscire dal buio e chiamarlo per nome: Gesù Abbandonato.


 Ecco svelato in pochi passaggi, tutto l'AMORE di Dio AMORE. La sua stessa essenza consiste nel DONO TOTALE di sè. E in questa dinamica del "dono" anche noi umani creati a immagine del Dono Totale di sè, siamo, esistiamo, nella misura in cui recuperiamo l'essenza di cui siamo plasmati. Se Dio è Amore, noi creati da Lui, non possiamo non essere amore... il fatto che la realtà ci dice tutt'altro, è perché grande è il danno che ha fatto il nemico, nel seminare zizzania, lì dove doveva crescere solo grano. E così sperimentiamo la distanza che si è creata tra l'origine originale, e la creatura fatta sua immagine, ma deturpata dal peccato. È necessario dunque, svegliarsi dal torpore e camminare verso la LUCE, Gesù, che per noi ha dato la VITA. Facciamoci toccare dall'AMORE, facciamoci guarire dal peccato.

Chissà caro Roberto Bignoli, se ascoltando questa canzone tu ti si sia mai reso conto delle profondità di questa canzone, che sottende una bellezza disarmante, di un Dio che si umana per farci Dio e darci le risposte a tutti i "perché". Ora che sei nelle Luce, caro amico mio, puoi vedere cose che neanch'io riesco a vedere nelle mie canzoni e, credo anche nelle tue e scorgervi quel gioco d'Amore, che occorre per metterle in essere e cavarle dal buoio dell'inesistenza. Quella LUCE che è nelle ispisrazioni e che noi cristiani chiamiamo Spirito Santo.

Continua a cantare in Cielo, ma prima riposati un poco, dalla salita al Calvario che hai fatto, e poi aiuta lo Spirito a ispirarci nuove canzoni e a farci scoprire strade nuove per la Christian Music italiana.

2. Hey Jesus è l'altra canzone che Roberto volle per sé. In relatà si doveva intitolare Hey Roby, ma lui la volle trasformare dedicandola a Gesù. Riporto il testo...



Hey Jesus, quanta strada da fare!
Dai non fermarti, proprio adesso,
che il sole, il sole già sale e la luna scompare
ma è ancora dietro alle nuvole.

Hey Jesus quanto cielo da volare,
ti aspettano per cantare, lodare,
imparare parole che sanno di sale,
per condire questa vita, questa vita da vivere.

Jesus sei un amico sincero come me.

Mi guardo allo specchio,
con quest’anima inquieta.
Sono io l’amico mio.
Mi dico che tutto va bene, va bene così.
E mi guardo nel cuore,
in quest’anima inquieta.
Ci sei anche tu e mi sostieni,
per i prossimi giorni di sole
di vento e di mare.
Ci son io, ci sei tu. Ci son io, ci sei tu…

Hey Jesus ce n’è ancora da cantare,
canzoni che fanno di nuovo, di nuovo sperare.
Non possiamo fermarci a pensare,
c’è da rifare le valigie per poi riandare.






venerdì 16 marzo 2018

La casa sulla roccia

Dal CD Ravvivate il cuore e l'anima una canzone dedicata alla parabola di Gesù più efficace, più netta, limpida, diretta...
Infatti, la nostra vita la si potrebbe descrivere come la somma totale delle scelte fatte. Non c'è momento in cui non bisogna fare una scelta. Vado a destra o a sinistra, salgo su o vado giù. Mi sposto di qua o vado di là. Faccio questo o quest'altro? Si può costruire la propria casa (la propria vita) sulla Roccia, che è Dio, sommando giorno per giorno, direi anche, momento per momento, le opzioni per Dio. Perché tutta la nostra esistenza diventi di Dio, bisogna imparare a sceglierlo, in ogni piccola o grande cosa che facciamo. Matteo (7, 24-29) e Luca (6, 47 - 7,1) riportano la parabola della casa sulla roccia.
Una bellissima e brevissima meditazione di Padre Raniero Cantalamessa ci aiuterà a entrare nel significato della canzone. Adesso ascoltiamola.


Il testo della canzone

Prima strofa
Ascolta, ascolta, metti in pratica la Parola,
la saggezza sarà con te.
Avrai costruito sulla roccia,
avrai costruito la tua casa.


Così scrive Padre Raniero Cantalamessa:

"Tutti sapevano, al tempo di Gesù, che è da stolti costruire la propria casa sulla sabbia, nel fondo delle valli, anziché in alto sulla roccia. Dopo ogni pioggia abbondante si forma infatti quasi subito un torrente che spazza via le casupole che incontra sul suo cammino. Gesù si basa su questa osservazione che aveva forse fatto di persona per costruirvi la parabola odierna delle due case, che è come una parabola a due facce.
"Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia".
Con simmetria perfetta, variando solo pochissime parole, Gesù presenta la stessa scena in negativo: "Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande".
Costruire la propria casa sulla sabbia vuol dire riporre le proprie speranze, certezze su cose instabili e aleatorie che non reggono all'urto del tempo e dei rovesci di fortuna. Tali sono il denaro, il successo, la stessa salute. L'esperienza ce lo mette ogni giorno sotto gli occhi: basta un nonnulla - un piccolo grumo nel sangue, diceva il filosofo Pascal – per far crollare tutto.
Costruire la casa sulla roccia, vuol dire, al contrario, fondare la propria vita e le proprie speranze su ciò "i ladri non possono rubare, né la tignola corrodere", su ciò che non passa. "I cieli e la terra passeranno, diceva Gesù, ma le mie parole non passeranno".
Costruire la casa sulla roccia significa molto semplicemente costruire su Dio. Egli è la roccia. Roccia è uno dei simboli preferiti dalla Bibbia per parlare di Dio: "Il nostro Dio è una roccia eterna" (Is 26,4); "Egli è la Roccia, perfetta è l'opera sua" (Deut. 32,4). "

Seconsa strofa
Ascolta, ascolta se cade pioggia abbondante,
con vento fortissimo,
avrai costruito saldamente.
Nessun danno avrai.


 Ancora Padre Raniero:
"La casa costruita sulla roccia esiste già; si tratta di entrarci! È la Chiesa. Non, evidentemente, quella fatta di mattoni, ma quella composta dalle "pietre vive" che sono i credenti, edificati sulla "pietra angolare" che è Cristo Gesù. La casa sulla roccia è quella di cui parlava Gesù quando diceva a Simone: "Tu sei Pietro e su questa pietra (alla lettera, roccia) edificherò la mia Chiesa" (Mt 16, 18).
Fondare la propria vita sulla roccia significa dunque vivere nella Chiesa; non restarne fuori puntando tutto il tempo il dito contro le incoerenze e i difetti degli uomini di Chiesa. Dal diluvio universale si salvarono solo poche anime, quelle che erano entrate con Noè nell'arca; dal diluvio del tempo che tutto inghiotte si salvano solo quelli che entrano nell'arca nuova che è la Chiesa (cf. 1 Pt 3, 20). Questo non vuol dire che tutti quelli che sono fuori di essa non si salvano; c'è una appartenenza alla Chiesa di altro genere, "nota solo a Dio", dice il concilio Vaticano II che riguarda quelli che senza conoscere Cristo, operano secondo i dettami della propria coscienza."

 Ritornello
Fondando sulla roccia la tua vita,
niente mai potrà distruggerla,
stai lontano dalle sabbie del peccato,
dalle piene dei malvagi stai lontano.

Sulla roccia, che è Gesù, Parola viva.
Sarai al sicuro dalle insidie del nemico,
Se avrai costruito la tua casa sulla roccia
... nessun danno avrai…

Ancora Padre Raniero:
"Il tema della parola di Dio,  mi suggerisce una applicazione pratica. Dio si è servito della parola per comunicarci la vita e rivelarci la verità. Noi esseri umani usiamo spesso la parola per dare la morte e nascondere la verità! Nella introduzione al suo famoso Dizionario delle opere e dei personaggi, Valentino Bompiani racconta questo episodio. Nel luglio 1938 si tenne a Berlino il congresso internazionale degli editori a cui partecipò anche lui. La guerra era già nell'aria e il governo nazista si mostrava maestro nel manipolare le parole a fini di propaganda. Il penultimo giorno, Goebbels che era il ministro della propaganda del Terzo Reich, invitò i congressisti nell'aula del parlamento. Ai delegati dei vari paesi fu chiesta una parola di saluto. Quando venne il turno di un editore svedese, questi salì sul podio e con voce grave pronunciò queste parole: "Signore Iddio, devo fare un discorso in tedesco. Non ho un vocabolario né una grammatica e sono un pover'uomo sperduto nel genere dei nomi. Non so se l'amicizia è femminile e l'odio maschile, o se l'onore, la lealtà, la pace sono neutri. Allora, Signore Iddio, riprenditi le parole e lasciaci la nostra umanità. Forse riusciremo a comprenderci e a salvarci". Ci fu un applauso scrosciante, mentre Goebbels, che aveva capito l'allusione, usciva adirato dalla sala.
Un imperatore cinese, interrogato su quale fosse la cosa più urgente da fare per migliorare il mondo, rispose senza esitare: riformare le parole! Intendeva dire: ridare alle parole il loro vero significato. Aveva ragione. Ci sono parole che, a poco a poco, sono state svuotate completamente del loro significato originario e riempite di un significato diametralmente opposto. Il loro uso non può che risultare micidiale. È come mettere su una bottiglia di arsenico l'etichetta "digestivo effervescente": qualcuno ne resterà avvelenato. Gli stati si sono dati leggi severissime contro quelli che falsificano le banconote, ma nessuna contro quelli che falsificano le parole.
A nessuna parola è successo quello che è successo alla povera parola amore. Un uomo violenta una donna e si scusa dicendo che l'ha fatto per amore. L'espressione "fare l'amore" spesso sta per il più volgare atto di egoismo, in cui ognuno pensa alla sua soddisfazione, ignorando completamente l'altro e riducendolo a semplice oggetto.
La riflessione sulla parola di Dio ci può aiutare, come si vede, anche a riformare e riscattare dalla vanità la parola degli uomini." (fonte: https://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=12854)

Mi pare proprio che siamo giunti a dover chiedere a Dio di ridarci l'umanità perduta. Tra i gorghi di parole che si consumano esageratamente, rischiamo di affogare nella confusione più totale e di venir portati via dalla violenza dei fiumi di parole in piena.
Menomale che il VERBO, la PAROLA DI DIO è SEMPRE lì a ricordarci: "Passeranno i cieli e la terra, ma le mie parole non passeranno" (Mt 24, 35). Per salvarci ancora una volta dalla piena di cattive o insulse parole, bisogna di nuovo rifondarsi sulla Roccia, la PAROLA che non passa, perché è Eterna, è Dio.

La canzone si ripete da capo in un'altra tonalità...

Da un articolo uscito sulla rivista "Città Nuova":

"La Parola è “l’Amore Vero e il Vero Amore”, è “l’Ideale”: è Gesù stesso.
Queste espressioni, nella loro chiarezza ed assolutezza, sono una limpida e profonda professione di fede.
Alla luce di questa comprensione teologica della Parola di Dio, si comprende il senso di un’esperienza tutta particolare vissuta da Chiara  (Lubich) agli inizi dell’estate del ’49.

“Vivendo una Parola e poi un’altra e un’altra ancora – racconta –, avevamo costatato come, mettendo in pratica qualsiasi Parola di Dio, gli effetti alla fine erano identici”.

Lei stessa ne spiega il motivo: “Il fatto è che ogni Parola, pur essendo espressa in termini umani e diversi, è Parola di Dio. Ma siccome Dio è Amore, ogni Parola è carità. Crediamo d’aver in quel tempo scoperto sotto ogni Parola la carità. E, quando una di queste Parole cadeva nella nostra anima, ci sembrava che si trasformasse in fuoco, in fiamme, si trasformasse in amore. Si poteva affermare che la nostra vita interiore era tutta amore”.

Accogliere e vivere la Parola fa essere altrettante parole vive perché è accogliere Dio stesso che in essa si comunica; è vivere della sua vita: fa essere Amore, come Dio è Amore.
Vivere la Parola per essere la Parola. Quale dunque l’atteggiamento davanti a Dio che parla e si dona? Per instaurare un autentico dialogo con Dio occorra vivere la Parola, essere la Parola." (fonte: http://www.focolaritalia.it/2017/08/31/parola-viva-perche-importante-vivere-la-parola-dio/)

Dunque se viviamo la Parola di Dio diventeremo "Parole vive". C'è chi ha vissuto la Parola in modo eminente ed è senz'altro Maria, la Mamma Celeste. Così scriveva Chiara Lubich:

"Ecco, se Maria ha tutte quelle magnifiche e straordinarie qualità che sai, essa è anche « la perfetta cristiana ».
Ed è tale perché, come dal Vangelo puoi dedurre, ella non vive la propria vita, ma lascia che la legge di Dio viva in lei. È colei che meglio di tutti può dire : « Non sono io che vivo, è Cristo che vive in me » (Gal 2, 20). Maria è la Parola di Dio vissuta.
Se vuoi dunque amarla veramente, « imitala ».
Sii anche tu Parola di Dio viva !
L’imitazione di lei ti fa simile a lei e ti porta ad amarla, perché se un detto dice : « L’amore o trova simili, o fa simili », è vero anche che i simili si amano. Guarda : con chi giocano i bambini ? coi bambini. Chi cercano le giovanette come amiche ? altre giovanette. E gli uomini adulti ? altri uomini adulti.
Imitiamo dunque Maria, diventiamo simili a lei e nascerà spontaneo nel nostro cuore l’amore per lei."
(fonte: http://www.centrochiaralubich.org/it/documenti/scritti/4-scritto-it/1610-l-amore-fa-simili.html)



martedì 20 febbraio 2018

Occhi come Te

Dal Cd "Attimi di cielo", questa canzone è una riflessione sullo sguardo. Uno sguardo di Dio su noi, e di noi su di Lui. Scritta non mi ricordo quando... certamente in questo inizio di terzo millennio forse mentre ero a Roma a studiare tra il 2003 e il 2005...
Cosa me l'ha ispirata? Ho sempre immaginato di incontrare lo sguardo di Gesù e rmanerne affascinato, come lo furono gli apostoli e tanti altri nei Vangeli.
Su internet ho trovato almeno due ibri dedicati agli sguardi di Gesù e anche Papa Francesco ne ha parlato in una omelia a Santa Marta il 20 settembre 2013, commentando lo sguardo salvifico di Gesù caduto su Matteo il pubblicano. Così scrive il giornalista, Sergio Centofanti di Radio Vaticana commentando l'omelia:


Lasciamoci guardare da Gesù, il suo sguardo cambia la vita: è quanto ha detto Papa Francesco sabato mattina, durante la Messa a Santa Marta, commentando il Vangelo che racconta la conversione di San Matteo, di cui oggi la Chiesa celebra la Festa. Il servizio di Sergio Centofanti:

Gesù guarda negli occhi Matteo, un esattore delle imposte, un pubblico peccatore. Il denaro è la sua vita, il suo idolo. Ma ora – afferma il Papa – sente “nel suo cuore lo sguardo di Gesù che lo guardava”:

“E quello sguardo lo ha coinvolto totalmente, gli ha cambiato la vita. Noi diciamo: lo ha convertito. Gli ha cambiato la vita. ‘Appena sentito nel suo cuore quello sguardo, egli si alzò e lo seguì’. E questo è vero: lo sguardo di Gesù ci alza sempre. Uno sguardo che ci porta su, mai ti lascia lì, eh?, mai. Mai ti abbassa, mai ti umilia. Ti invita ad alzarti. Uno sguardo che ti porta a crescere, ad andare avanti, che ti incoraggia, perché ti vuole bene. Ti fa sentire che Lui ti vuole bene. E questo dà quel coraggio per seguirlo: ‘Ed egli si alzò e Lo seguì’”. 

Lo sguardo di Gesù – sottolinea il Papa – non è qualcosa di “magico: Gesù non era uno specialista in ipnosi”. “Gesù guardava ognuno, e ognuno si sentiva guardato da Lui, come se Gesù dicesse il nome ... E questo sguardo cambiava la vita, a tutti”. Così ha cambiato Pietro, che dopo averlo rinnegato incontra il suo sguardo e piange amaramente. C’è poi l’ultimo “sguardo di Gesù sulla Croce: guardò la mamma, guardò il discepolo e ci ha detto, con quello sguardo, ci ha detto che la sua mamma era la nostra e che la Chiesa è madre. Con uno sguardo”. Poi ha guardato il Buon Ladrone e ancora una volta Pietro, “impaurito, dopo la Resurrezione, con quelle tre domande: ‘Mi ami?’. Uno sguardo che lo faceva vergognare. Ci farà bene pensare, pregare su questo sguardo di Gesù – sottolinea il Papa - e anche lasciarci guardare da Lui”. Gesù, ora, si reca nella casa di Matteo e mentre siede a tavola arrivano molti peccatori: “si era sparsa la voce. E tutta la società – ma non la società pulita – si è sentita invitata a quel pranzo”, come accade nella parabola del re che ordina ai servi di andare ai crocicchi delle strade per invitare al banchetto nuziale del figlio quanti incontreranno, buoni e cattivi:

“E i peccatori, pubblicani e peccatori, sentivano ... ma, Gesù li aveva guardati e quello sguardo di Gesù su di loro io credo che sia stato come un soffio sulle braci, e loro hanno sentito che c’era fuoco dentro, ancora, e che Gesù li faceva salire, riportava loro la dignità. Lo sguardo di Gesù sempre ci fa degni, ci dà dignità. E’ uno sguardo generoso. ‘Ma guarda che Maestro: pranza con la sporcizia della città!’: ma sotto a quella sporcizia c’erano le braci del desiderio di Dio, le braci dell’immagine di Dio che volevano che qualcuno li aiutasse a farsi fuoco. E questo lo faceva lo sguardo di Gesù”. 

“Tutti noi, nella vita – ha concluso il Papa - abbiamo sentito questo sguardo, e non una volta: tante volte! Forse la persona di un sacerdote che ci insegnava la dottrina o ci perdonava i peccati ... forse nell’aiuto di persone amiche”: 

“Ma, tutti noi ci troveremo davanti a quello sguardo, quello sguardo meraviglioso. E andiamo avanti nella vita, nella certezza che Lui ci guarda. Ma anche Lui ci attende per guardarci definitivamente. E quell’ultimo sguardo di Gesù sulla nostra vita sarà per sempre, sarà eterno. Io chiedo a tutti questi Santi che sono stati guardati da Gesù, che ci preparino a lasciarci guardare nella vita, e che ci preparino anche a quell’ultimo – e primo! – sguardo di Gesù”. 

(fonte: http://it.radiovaticana.va/storico/2013/09/21/lo_sguardo_di_ges%C3%B9_cambia_la_vita_cos%C3%AC_il_papa_a_santa_marta/it1-730441)


Ascoltiamo la Canzone...





Il testo della canzone

La prima strofa

Occhi dentro me.
Entri per dirmi: “Cosa c’è?”,
quando mi guardi col silenzio opaco,
di chi presto parlerà
e chissà se ci sarà quell'ascolto
vivo, vero fuoco.



È proprio così, se incontri lo sguardo di Dio in Te, scopri certamente una strada nuova, il senso della tua storia. E perché avvenga bisogna sgomberare la strada dal superfluo, dalla materia, da tutto quanto è disumano. Oggi sembra che la cultura abbia imprigionato l'umanità in un vicolo cieco, che vede solo ciò che appare, e crede solo alle immediate evidenze. Eppure se si riflettesse solo un pò, si scoprirebbe in fondo all'anima la radice del proprio essere e del proprio esserci. È la storia del giovane ricco del Vangelo di Marco, entra in relazione con Gesù che gli dona lo sguardo d'amore col quale sana e salva, ma quando gli viene chiesto di lasciare quanto era zavorra per il Regno dei Cieli, si rabbuia e va via triste. Enzo Bianchi qualche anno fa tenne una lectio incentrata proprio sullo sguardo di Gesù. Per commentare questa mia canzone prenderò in prestito la bellissima lectio e la meditazione del priore di Bose.

Primo punto della lectio/meditazione. 
1. Vedere, guardare. 

Vedere, essere visto, è un’operazione importante nella nostra vita umana. Accanto all’ascolto, il vedere è decisivo nel nostro venire al mondo. Dopo pochi giorni dalla nascita, noi apriamo gli occhi e vediamo… e così entriamo in relazione con gli altri, con le cose. È soprattutto il vedere che provoca la conoscenza e quindi il riconoscimento; è attraverso il vedere che accendiamo la relazione ed entriamo in relazione. Vedere è un’operazione che, essendo in atto quando noi non siamo preda del sonno, può rispondere solo a riflessi; ma se è un’operazione di cui si è consapevoli, se è un’operazione a cui ci esercitiamo, se è “educata”, diventa per noi il primo modo di comunicazione con l’altro.
 Guardare è una cosa, vedere un’altra, e fissare lo sguardo sta nel registro del vedere, non del guardare. Per questo occorre “saper vedere”, e non si è mai finito di imparare quest’arte da cui dipende la comunicazione, la comunione, e quindi il sapore della vita. Di conseguenza, “essere visti” è l’esperienza decisiva dell’alterità: “Altro è per principio colui che mi guarda” (Jean-Paul Sartre). Se fossimo semplicemente guardati, e non visti, saremmo in una situazione disumana: abbiamo bisogno che qualcuno ci veda, che fissi lo sguardo su di noi, perché questo dice che qualcuno si accorge di noi, che possiamo ricevere uno sguardo da qualcuno. Essere visti è il primo modo di sentire la fiducia riposta dagli altri in noi. In ogni relazione che fa parte della nostra vita, noi non dimentichiamo mai quando “abbiamo visto”, quando “siamo stati visti”… È significativo che nel Bhagavadgita, poema sacro dell’induismo, stia scritto: “La salvezza sta nello sguardo”.
 Per ciascuno di noi resta dunque possibile decidere il nostro sguardo, con cui scegliamo di sentire, di toccare l’altro: nel nostro sguardo c’è l’inizio di un tattilità, sicché noi possiamo avere uno sguardo che accarezza o uno sguardo che uccide, uno sguardo che scalda o uno sguardo che uccide, uno sguardo mite o uno sguardo che cattura e seduce, uno sguardo che desta fiducia o uno sguardo che incute timore, spavento. Ognuno di noi con lo sguardo raggiunge l’altro, già gli parla e già lo tocca.

Ritornello
Occhi come i tuoi,
sono rari da incontrare qui,
così chiari che m’accendono
il buio che ora c’è.
Occhi come Te.


Secondo punto della lectio/meditazione. 

2. Il guardare, il vedere di Gesù. 

Nei racconti riguardanti Gesù, si dice che egli ha ascoltato, ha parlato, ha visto… E ogni evangelista nel narrare azioni e parole di Gesù mette in evidenza in particolari occasioni, e in un suo modo proprio, il vedere, il guardare di Gesù. Tuttavia va riconosciuto che il vangelo secondo Marco dedica una particolare attenzione al vedere di Gesù, ai suoi modi diversi di guardare, a tal punto che è stato definito “il vangelo degli sguardi”. Non è un caso che solo il vangelo secondo Marco contenga il seguente rimprovero di Gesù ai discepoli: “Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?” (Mc 8,18).
 In questo vangelo per ben 27 volte si attesta il vedere di Gesù, nelle sue varie sfumature: vedere, fissare lo sguardo, guardare attorno, osservare. Il primo sguardo di Gesù è verso i cieli, che vede aperti nel momento della sua immersione nel Giordano (cf. Mc 1,10). Ma poi è soprattutto uno sguardo per gli uomini: 
sguardo che chiama alla sequela (cf. Mc 1,16.19);
 sguardo che sa vedere la fede in chi gli porta un paralitico su una barella (cf. Mc 2,5) o tocca di nascosto il suo mantello (cf. Mc 5,31-32);
 sguardo che vede con compassione una folla come pecore senza pastore (cf. Mc 6,34) o vede i suoi discepoli esauriti per il remare nella tempesta (cf. Mc 6,48).
 Non va infine sottovalutata l’annotazione di Marco riguardo a Gesù che, entrato trionfalmente a Gerusalemme, “verso sera, dopo aver guardato ogni cosa attorno, uscì con i Dodici verso Betania” (Mc 11,11). Quello di Gesù è anche un guardare attorno, uno sguardo che egli fa circolare, come se volesse cercare con gli occhi, leggendo il cuore dei suoi interlocutori o indicando in loro i destinatari delle sue parole (cf. Mc 3,5.34; 5,32; 10,23).


Seconda strofa
Scappo dentro me.
Hai vinto ancora: “Cosa vuoi?”.
Mi hai spinto dentro alla mia vita
Ed ora sono tutto là
E chissà se prenderò al volo,
il cuore, il cielo, il volo.

Terzo punto della lectio/meditazione.
 3. L’incontro con il giovane ricco e gli sguardi di Gesù su di lui e sui discepoli

Il brano dell’incontro tra Gesù e il giovane ricco è particolarmente eloquente sul vedere di Gesù. Cerchiamo dunque di commentarlo accuratamente, facendo seguire a esso anche qualche annotazione sugli sguardi rivolti da Gesù ai discepoli che lo attorniano.

    1.    Prima scena: “Gesù, fissato lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10,17-22)
Un tale di cui Marco non specifica l’identità, in modo che ognuno di noi possa riconoscersi in lui, corre e si inginocchia davanti a Gesù che è in cammino, per interrogarlo, per porgli domande (cf. Mc 10,17). Appare così una persona che cerca con passione, infatti corre, e cerca qualcuno, un maestro, perché lo aiuti nella sua ricerca – diremmo oggi – di senso: “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (ibid.). È uno che, per lo meno, ha venerazione per i “maestri”, gli “in-segnanti”, quelli che fanno segno, che sanno indicare la via, e forse ha sentito parlare di Gesù. Per questo si inginocchia davanti a lui e lo chiama: “Didáskale agathé”, “Maestro buono” (ibid.), dunque maestro capace di amore, e così gli confessa un grande riconoscimento.
 Gesù però non gli risponde subito, anzi gli pone una contro-domanda, chiedendogli consapevolezza delle parole da lui dette e rimandandolo a se stesso: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc 10,18). C’è una motivazione che ispira costui a definire Gesù “buono”? Perché in verità tutti gli uomini sono cattivi (cf. Mt 7,11; Lc 11,13). Basta conoscere i comandamenti per rendersi conto di quanto ogni uomo, ogni donna sia mancante; soprattutto ascoltando i comandamenti della seconda tavola della Legge, riguardanti il rapporto tra ciascuno di noi e gli altri (cf. Es 20,12-16; Dt 5,16-20), è facile discernere la presenza della malvagità nell’uomo. Gesù dunque ricorda al suo interlocutore questi comandi, di cui cinque negativi e uno positivo (cf. Mc 10,19). Ecco il terreno su cui interrogarsi per orientarsi verso il bene, per conoscere la strada su cui si cammina, per trovare l’eredità della vita eterna, il Regno di Dio, la vita per sempre con lui. Nel vangelo secondo Matteo non si dirà forse che ognuno sarà giudicato sul suo rapporto con gli altri (cf. Mt 25,31-46)? E l’Apostolo Paolo non ricorderà forse i comandamenti, in una perfetta corrispondenza con le parole rivolte da Gesù a questo tale (cf. Rm 13,8-9)?
 Quest’uomo che interroga Gesù deve interrogare se stesso, deve comprendere che la bontà che Dio vuole è la bontà verso gli altri, e che il male che Dio non vuole è il male che facciamo agli altri. Ogni comando di Dio è dato perché l’uomo si umanizzi, diventi più buono, tenda all’amore, pienezza di tutta la Legge (cf. Rm 13,9-10; Gal 5,14). Ma di fronte a queste parole di Gesù, quest’uomo pieno di zelo, forse “giovane” – come lo definisce Matteo (Mt 19,20) –, afferma con una certa ingenuità: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza” (Mc 10,20). Ha tentato di osservarle – diciamo noi – e l’ha fatto con zelo, con convinzione, con spirito di obbedienza. Gesù, che conosce ogni uomo (cf. Gv 2,24-25), sa che in verità questo giovane non ha osservato pienamente la Legge, ma, accogliendo quella sua convinzione generosa, entra in una relazione più profonda con lui.
 A questo punto Marco – e solo lui – scrive: “Allora Gesù, fissato lo sguardo su di lui, lo amò”, “ho de Iesoûs emblépsas autô egápesen autòn” (Mc 10,21). Attraverso il guardare, il fissare lo sguardo, Gesù vuole comunicare in modo più profondo con quel giovane, vuole che egli “si senta visto” (esperienza per ognuno di noi straordinaria e decisiva, quando avviene veramente!), si senta conosciuto nel suo cuore, si senta accolto. Di fatto Gesù mostra al giovane di essere come lui lo ha chiamato, “buono”, capace di amore, di essere come il Signore che “guarda il cuore”, che discerne in profondità, non come l’uomo che guarda l’esteriorità (cf. 1Sam 16,7). Gesù guarda quell’uomo, vede che c’è fuoco sotto la cenere, soffia su quella cenere perché appaia la brace e arda il cuore, arda di amore, in modo che il suo amore incontri l’amore preveniente e gratuito donatogli da Gesù stesso. Sì, in questo modo di vedere che non è possessivo, che non abusa, ma è benevolo, pieno di affetto e gratuito, Gesù di fatto lo ama. Quel giovane si è sentito guardato e amato dal Signore: ecco il culmine del nostro brano evangelico! Per lui il volto di Gesù è diventato il volto di uno che offre attenzione e amore, sicché questi non vanno meritati, vanno solo accolti con stupore, perché sono la grazia. Quello sguardo di Gesù è stato come una carezza, come un bacio sulla bocca… bacio che il maestro dava al discepolo al tempo di Gesù: sulla bocca, come nel caso di Giuda (cf. Mc 14,45 e par.), o sul capo, come è testimoniato di altri rabbi. Potremmo leggere questo sguardo come fa Beda il Venerabile commentando lo sguardo di Gesù sul pubblicano Matteo (cf. Mt 9,9: “Vidit ergo Iesus publicanum, et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi: Sequere me”. “Gesù vide il pubblicano, lo vide facendogli misericordia, e lo chiamò dicendogli: ‘Seguimi!’” (Omelie 21, CCL 122,150). 
Siamo dunque al punto più profondo dell’incontro, della relazione tra Gesù e il giovane, dove è possibile dire quello che sarebbe indicibile senza aver raggiunto quell’intensità di comunicazione data dal vedere-essere visto, dall’amare-essere amato. E così ora Gesù può dirgli la verità più profonda: “Una cosa sola ti manca” (Mc 10,21). Se tu avessi tutto, allora il Signore sarebbe il tuo Pastore, ma ti manca una cosa sola per non mancare di nulla – “Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla” (Sal 23,1) –, perché il Signore è buono, e amore, e se si ha l’amore, si ha tutto!
 Gesù non gli dice: “Sì, tutto va bene, ma se vuoi fare qualcosa di più, allora va’ e vendi i tuoi beni…”, ma gli dice: “Ti manca una cosa, lasciare tutto e seguire me” (cf. Mc 10,21). Ecco dove Gesù ha portato il giovane con il suo sguardo e il suo amarlo: a riconoscere che gli manca qualcosa, una sola, ma che dunque non può essere soddisfatto di se stesso. Egli deve ormai rispondere a quello sguardo, deve sentire che lo sguardo e l’amore di Gesù lo spingono a cambiare vita, a prendere un nuovo orientamento, a mutare i rapporti che ha con gli altri e con le cose, per poter seguire Gesù e aderire a lui. Seguire Gesù senza riserve, senza avere garanzie o vie di fuga, comporterà per tutti una decisione da cui non si può tornare indietro: se si hanno beni, si vendono e si danno ai poveri; se si ha una famiglia e la si abbandona; se si ha una professione e la si lascia, allora si può seguire Gesù senza nostalgie e senza indecisioni per scelte ancora da fare. 
Ma a queste parole egli si fa triste e si tira indietro (cf. Mc 10,22). Non crede a quello sguardo, non crede a quell’amore di Gesù, e quindi non sa rispondere a Gesù. Nella sua ricerca di senso questo giovane pieno di zelo e di ardente desiderio è giunto alla possibilità di scegliere: non scegliere cosa fare, ma scegliere di essere e scegliere come trovare pienezza nella propria indigenza. Ma di fronte a quell’offerta di Gesù, offerta di rischiare l’amore, si rabbuia, cambia volto, si incupisce, e con la tristezza che lo domina se ne va di nuovo per la sua strada, lontano da Gesù, il maestro, rabbi, in-segnante, che aveva cercato per ricevere dei segni-segnali nella sua vita. Esce di scena “lupoúmenos, rattristato perché aveva molte ricchezze (pollá)” (Mc 10,22), troppe per essere libero di seguire Gesù. Tra il mettere la fede-fiducia in Gesù, rischiando la vita, e l’avere fiducia nelle ricchezze che possiede (o che forse lo possiedono!), preferisce questa seconda situazione, a cui è abituato… Scopriamo così che questo giovane in realtà osservava formalmente la Legge, ma non ne comprendeva né lo spirito né il télos. Nel cosiddetto Vangelo degli Ebrei si testimonia l’aggiunta di questo significativo inciso tra il v. 22 e il v. 23:
Allora il ricco si mise a grattarsi la testa e fu triste. E il Signore gli disse: “Come puoi dire: ho osservato la Legge e i Profeti? È scritto nella Legge: ‘Tu amerai il tuo prossimo come te stesso’ (Lv 19,17), ed ecco che un gran numero dei tuoi fratelli figli di Abramo sono vestiti di cenci e muoiono di fame mentre la tua casa è piena di beni in abbondanza e assolutamente nulla esce da essa per loro. E voltatosi verso Simone seduto accanto a lui disse: ‘Simone, figlio di Giona, è più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel Regno dei cieli!’” (Origene, Commento al vangelo secondo Matteo 15,14).
Sì, quello sguardo di Gesù (emblépsas) ha raggiunto il giovane ricco, ma non è riuscito a liberarlo dalla prigione dell’avere per collocarlo nella libertà dell’essere.

Ritornello
Occhi come i tuoi,
sono rari da incontrare qui,
così chiari che m’accendono
il buio che ora c’è.
Occhi come Te.

Occhi, occhi, occhi, come Te.

 2.    Seconda scena: “Gesù, volgendo lo sguardo attorno… Gesù, guardandoli in faccia…” (Mc 10,23-27)
Allora “Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: ‘Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!’” (Mc 10,23). Ecco un altro modo di guardare da parte di Gesù: volge lo sguardo attorno (periblepsámenos). Guarda tutti i discepoli e le folle che lo ascoltano per dire loro una parola forte. Con lo sguardo percorre in modo circolare l’uditorio, come per rivolgersi a ciascuno dei presenti, e mette in guardia denunciando una difficoltà radicale della quale Gesù stesso sembra stupirsi: come sarà difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. Ciò che è appena avvenuto, e si è concluso con l’andata via del giovane ricco, ne è una conferma.
 Davvero la ricchezza è qualcosa che cattura la fiducia, la fede dell’uomo, è ciò che più facilmente si fa idolo e rende l’uomo idolatra (“l’avarizia è idolatria”: Col 3,5). Per questo Gesù ha chiamato la ricchezza “Mammona” (Mt 6,24, Lc 16,13), utilizzando la parola aramaica mamon che ha nella sua radice proprio il verbo della fede, dell’“aderire con fiducia” (aman): perché sapeva che l’uomo fa affidamento su di essa più facilmente che su tutto il resto, più che sui vincoli di sangue, di vicinanza. Di fronte a ogni sorta di bisogno o di male la ricchezza appare come un possibile antidoto, come una via per contrastare il male o uscire dalla sofferenza. Diciamo la verità: in che cosa crede la gente? Nel denaro, e per questo giustamente Walter Benjamin in un suo scritto del 1921 osservava che “nell’accumulo di denaro, nel perseguire il profitto si deve vedere una forma di religione”. Non è un caso che più si aumentano i beni posseduti, meno si fa fiducia agli altri e all’Altro, Dio. I beni, il denaro o le cose determinano la mente e il cuore di chi li possiede, plasmano un modo di pensare e di sentirsi al mondo. Il benessere in cui uno vive, il potere di cui uno dispone, la vanità dell’ostentazione di ciò che si ha, rendono ciascuno di noi diverso, spingono a confidare, a mettere fiducia nei beni, fino a pensare che in queste condizioni è più facile salvarsi. Ecco l’inganno: salvarsi, e dunque non attendere più la salvezza da Dio! 
I discepoli sono sconcertati da queste parole di Gesù sulla difficoltà dei ricchi a entrare nel Regno, ma Gesù, chiamandoli con dolcezza “figli” (tékna: Mc 10,24), ribadisce ciò che ha detto ricorrendo a un’immagine paradossale, quella del cammello che passa per la cruna di una ago. Ebbene, è più facile che avvenga questo (cf. Mc 10,25). L’animale più grande può forse passare per lo spazio più stretto? Ma questo è più facile rispetto all’entrare di un ricco nel Regno di Dio! Lo sbigottimento dei discepoli si fa ancora più grande, ed essi gli chiedono: “Ma allora chi può essere salvato? (Mc 10,26). Chi potrà entrare nel Regno?”. Gesù legge sul volto dei discepoli quello sgomento, quell’aporia: se è così, allora per gli uomini c’è possibilità di vita eterna?
Segue allora il terzo sguardo di Gesù, espresso con lo stesso verbo (e la stessa forma verbale, il participio) usato per il giovane ricco: emblépsas (Mc 10,27). Questa volta fissa lo sguardo sui discepoli soltanto, quasi per dire: “Mi rivolgo a voi, dunque non dovete temere”. Ed ecco la sua parola: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (ibid.). Gli uomini non possono dare la salvezza, anche se la cercano. L’uomo da sé non può dare senso, non può trovare ciò che fa salva la vita. Resta sempre con “qualcosa che gli manca”, come il giovane ricco; resta sempre inadeguato a raggiungere la pienezza e la beatitudine; resta un mendicante che ha bisogno di essere guardato e amato, ma guardato nel cuore, non come vedono gli uomini, e amato per sempre, senza meritare l’amore. Solo Dio è capace di questo, solo il Signore…
Riecheggiano allora le parole di uno dei tre messaggeri alle querce di Mamre, di fronte all’incredulità di Sara nella promessa di un figlio: “C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?” (Gen 18,14). Per il discepolo occorre seguire Gesù che prega dicendo: “Abba! Padre! Tutto è possibile a te” (Mc 14,36), occorre credere che tutto è possibile a Dio!
Conclusione

Questo brano evangelico ha attraversato i secoli ed è giunto fino a noi come racconto di vocazione di un giovane: una vocazione abortita, una vocazione mancata, con l’esito di una grande tristezza. Questo dice la forza della nostra pagina per ognuno che si fa discepolo, che incontra nella sua vita il Signore.
 Ma io credo che questo testo riguardi non solo la vocazione di ciascuno di noi, bensì il nostro quotidiano, nel quale sempre cerchiamo il volto di Gesù che ci precede, lo sguardo di Gesù che ci discerne e ci parla. Gesù mi guarda, guarda ciascuno di noi, fissa lo sguardo sul nostro volto e guardandoci ci ama. Noi crediamo a questo sguardo? Siamo attenti a leggere questo sguardo nella sua gratuità, nel suo non voler sedurre, nel suo offrirci amore senza imporlo? Siamo disposti ad accogliere questa precedenza con cui il Signore ci ama e ci discerne, anche se noi non ci giudichiamo degni?
 Queste sono domande serie implicate nella nostra preghiera, nella nostra assiduità con il Signore: la qualità della nostra relazione con il Signore si gioca qui… Qui, in questo incrocio di sguardi, quello del Signore e il mio, assumo o non assumo la capacità di vedere il Signore che mi guarda attraverso gli occhi del povero, il volto del sofferente, lo sguardo bisognoso dell’ultimo. È sempre questione di saper “vedere” e sapere cosa significhi “l’essere visti”.
(fonte: http://www.monasterodibose.it/fondatore/conferenze-e-omelie/omelie-e-lectio/864-lectio-divina/8701-lo-sguardo-di-gesu-e-un-giovane-ricco-marco-10-17-22)

Ultima ripetizione di ritornello
Occhi come i tuoi,
sono rari da incontrare qui,
così chiari che m’accendono
il buio che ora c’è.
Occhi come Te.


Si Signore, i tuoi occhi è raro incontrarli qui, ma quando ciò avviene è una gioia indescrivibile.

giovedì 8 febbraio 2018

"Basta sorridere"

Tratta dal mio primo lavoro "Innamorami di Te", lavoro discografico per niente indovinato dall'allora arrangiatore. Purtroppo andrebbero tutte riarrangiate e ricantate con le tecniche moderne... Magari lo faremo ....

Che titolo? "Basta sorridere"... e magari risolvi tutto... ma è proprio così? Non la scriverei più una canzone così...ma c'è una storia da raccontare...

L'immagine impressa nelle parole "Fischiettando vado incontro al tempo..." risale ai tempi del dopo maturità, sempre in cerca di lavoro e sembrava che ne avessi trovato uno che mi faceva guadagnare almeno quel pò per sopravvivere. Eravamo agli inizi del 1984, ne avevo già cambiato diversi: dal contadino stagionale, all'elettricista e ora mi trovavo in una fabbrica di finte pelli. Arrotolavo chilometri di finta pelle, dalla quale tagliavamo le parti difettate. Bastava una merenda e dalle sette di mattina alle 18 del pomeriggio ero recluso in quattro mura dove la cultura era uno spruzzo di luce filtrato da una finestra in alto da dove forse entrava un pò di aria fresca. La religiosità era una statua del cuore di Gesù che stava così in alto che nessuno si accorgeva che ci fosse. Io stesso dopo anni mi son vergognato di esserci passato sotto e di non avergli mai lanciato almeno un'occhiata e fatto almeno un segno di croce. Eppure quella statua ci ammoniva con la sua sola presenza. Quando ho rischiato la vita, pur di spegnere l'incendio che era divampato, col senno di poi, quella presenza di Gesù me la sono sentita addosso...

A quei tempi soprattutto quando le giornate si allungavano, mi piaceva ritornare a casa a piedi percorrendo delle stradine campestri. Un giorno tornavo particolarmente felice, non ricordo il perché, ma mi piaceva osservare le margherite gialle sotto alle viti appena inverdite e l'erba lussureggiante di quei prati ameni. Tutto quel verde mi faceva sorridere alla vita e al futuro. E così mi sembra, sia stato. Il futuro per me è consistito nell'aver riconosciuto una presenza discreta che mi ha fatto muovere l'anima dal fango verso l'azzurro del Cielo... È bastato sorridere alla Vita, per poterla incontrare e riceverne l'invito più sconvolgente e trasformante. Grazie Gesù!

Avevo compiuto 19 anni e stavo vivento il mio ventesimo. Le prime libertà, le notti con gli amici a giocare a carte, a condividere il niente... E poi la prima macchina tutta mia con la quale scorribandare con gli amici e un'adolescenza da togliersi di dosso, che ancora pesava, ma che non voleva proprio andare via. Un sogno nel cassetto: diventare cantautore e una vita avanti per progettare qualsiasi cosa, tranne che fare il meccanico (mestiere del primo fratello mio) e il sarto (mestiere di mio padre).

L'immagine dunque della canzone, risale al mio ventesimo anno di età, ma la canzone l'ho scritta mentre ero già in seminario, con un pezzo di strada già fatta in vista della meta: diventare sacerdote.


Ma ora passiamo al testo e cerchiamo di entrarci dentro.

Prima strofa
Fischiettando vado incontro al tempo
che mi sorriderà, che mi convincerà.
Mi cambierà un po' dentro,
farò i miei conti e poi continuerò.

A vent'anni si fanno sogni stratosferici e se non ti infili in uno di essi, la vita passa e ti ritrovi col niente. Dio poi, che non credevo potesse esistere, tanto da farmi prendere una decisione così totalitaria, ha bussato... e menomale che non c'ho pensato due volte... e menomale che non mi sono fatto neanche tanti conti. Infatti, lasciando il lavoro rimanevo squattrinato e la situazione sarebbe diventata davvero difficile. Chi andava a pensare che ci sarebbero stati dei benefattori, che ancora ringrazio, e che mi avrebbero aiutato nell'impresa? Benedetta incoscienza, o benedetta fiducia in chi tutto può.
I cambiamenti sono stati davvero inaspettati e visibili.
Di nuovo coi libri in mano, a misurarmi con materie che all'istituto tecnico non avevo neanche sfiorato col pensiero: latino, greco, filosofia... teologia... Quella finestrella, lì nella fabbrica, da cui arrivava uno spiffero di cielo, ora era diventata uno scoperchiamento completo del tetto e la mia mente beveva assetata tutto quel sapere vecchio e nuovo.
"Mi cambierà un pò dentro!", dico nella canzone, in realtà col senno di poi, quella decisione di entrare in seminario, mi ha cambiato totalmente, dandomi prospettive inaudite e insperate. E seppure avessi fatto qualche conto, quello che ho ricevuto è stato infinitamente molto di più di quello che stavo dando con il mio "Sì". Si è realizzata sotto ai miei occhi e il mio cuore esterrefatti la Parola: "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt 19, 29).
E ancora vado, "incontro al tempo" al mio tempo, quello che il Signore ha voluto donarmi e che per questo non finirò mai di ringraziare in modo consono e adeguato, per il dono ricevuto: un tempo vivo, pieno, vivace, creativo, con anche annessa una colonna sonora composta dalle mie canzoni.

Seconda strofa
Stradina di campagna e Tu sei al centro.
M’illumino di Te, c’è pace intorno a me.
Vivendo questa vita
mi sento più felice stando in Te.
Ecco l'immagine spiegata all'inizio di questa pagina, "la stradina di campagna", la novità è che a vent'anni Dio non c'era al centro, solo dopo la folgorazione della chiamata, ho capito che quella pace, in quella passeggiata si chiamava Dio. Quando ho scritto la canzone l'immagine che mi era ritornata prendeva una nuova fisionomia e una nuova coscientizzazione del cammino che stavo percorrendo verso Dio, in Dio e con Dio. O Signore, Tu ci sei sempre e ci ami davvero d'Amore Eterno, perché veniamo così presto annichiliti dal nemico che come leone ruggente, va in giro cercando chi divorare?E se la vera Felicità consiste nello stare con Te, O Dio, perché ci ritroviamo così spesso senza ali ossia senza la Tua GRAZIA?

 Così si legge nei Quaderni del 43 di M. Valtorta - 6 giugno 1943
:

Dice Gesù:

«Quest’oggi voglio parlarti della “grazia”. Vedrai che ha attinenza con gli altri argomenti anche se a tutta prima non ti pare. Sei un po’ stanca, povera Maria (Valtorta), ma scrivi lo stesso. Queste lezioni ti serviranno per i giorni di digiuno in cui Io, tuo Maestro, non ti parlerò.
Cosa è la grazia? L’hai studiato e spiegato molte volte. Ma Io te lo voglio spiegare a modo mio nella sua natura e nei suoi effetti.
La grazia è possedere in voi la luce, la forza, la sapienza di Dio. Ossia possedere la somiglianza intellettuale con Dio, il segno inconfondibile della vostra figliolanza in Dio.
Senza la grazia sareste semplicemente delle creature animali, arrivate ad un tale punto di evoluzione da essere provvedute di ragione, con un’anima, ma un’anima a livello di terra, capace di condursi nelle contingenze della vita terrena ma incapace di elevarsi nelle plaghe in cui si vive la vita dello spirito. Poco di più dei bruti, perciò, i quali si regolano soltanto per istinto e, in verità, vi superano molto spesso col loro modo di condursi.
La grazia è dunque un dono sublime, il più grande dono che Dio, mio Padre, vi poteva dare. E ve lo dà gratuitamente perché il suo amore di Padre, per voi, è infinito come infinito è Lui stesso. Volere dire tutti gli attributi della grazia vorrebbe dire scrivere una lunga lista di aggettivi e sostantivi, e non spiegherebbero ancora perfettamente cosa è questo dono.

Ricorda solo questo: la grazia è possedere il Padre, vivere nel Padre; la grazia è possedere il Figlio, godere dei meriti infiniti del Figlio; la grazia è possedere lo Spirito Santo, fruire dei suoi sette doni. La grazia, insomma, è possedere Noi, Dio Uno a Trino, ed avere intorno alla vostra persona mortale le schiere degli angeli che adorano Noi in voi.
 
Un’anima che perde la grazia perde tutto. Per lei inutilmente il Padre l’ha creata, per lei inutilmente il Figlio l’ha redenta, per lei inutilmente lo Spirito Santo l’ha infusa dei suoi doni, per lei inutilmente sono i Sacramenti. È morta. Ramo putrido che sotto l’azione corrosiva del peccato si stacca a cade dall’albero vitale e finisce di corrompersi1 nel fango. Se un’anima sapesse conservarsi come è dopo il Battesimo e dopo la Confermazione, ossia quando essa è imbibita letteralmente dalla grazia, quell’anima sarebbe di poco minore a Dio. E questo ti dica tutto.
Quando leggete i prodigi dei miei santi voi strabiliate. Ma, mia cara, non c’è nulla da strabiliare.  

I miei santi erano creature che possedevano la grazia, erano dèi, perciò, perché la grazia vi deifica. Non l’ho forse detto Io nel mio Vangelo che i miei faranno gli stessi prodigi che Io faccio? Ma per essere miei occorre vivere della mia Vita, ossia della vita della grazia.
 
Se voleste, potreste tutti essere capaci di prodigi, ossia di santità. Anzi Io vorrei che lo foste perché allora vorrebbe dire che il mio Sacrificio è stato coronato da vittoria e che Io vi ho realmente strappati all’impero del Maligno, relegandolo nel suo Inferno, ribattendo sulla bocca di esso una pietra inamovibile e ponendo su essa il trono di mia Madre, che fu l’Unica che tenne il suo calcagno sul dragone, impotente di nuocerle.

Non tutte le anime in grazia possiedono la grazia nella stessa misura. Non perché Noi la si infonda in misura diversa, ma perché in diversa maniera voi la sapete conservare in voi. Il peccato mortale distrugge la grazia, il peccato veniale la sgretola, le imperfezioni la anemizzano.

Vi sono anime, non del tutto cattive, che languono in una etisia spirituale perché, con la loro inerzia, che le spinge a compiere continue imperfezioni, sempre più assottigliano la grazia, rendendola un filo esilissimo, una fiammolina languente. Mentre dovrebbe essere un fuoco, un incendio vivo, bello, purificatore. Il mondo crolla perché crolla la grazia nella quasi totalità delle anime e nelle altre langue. 

La grazia dà frutti diversi a seconda che più o meno è viva nel cuore vostro. 

Una terra è più fertile quanto più è ricca di elementi e beneficiata dal sole, dall’acqua, dalle correnti aeree. Vi sono terre sterili, magre, che inutilmente vengono irrorate dall’acqua, scaldate dal sole, corse dai venti. Lo stesso è delle anime. Vi sono anime che con ogni studio si caricano di elementi vitali e perciò riescono a fruire del cento per cento degli effetti della grazia.

Gli elementi vitali sono: vivere secondo la mia Legge, casti, misericordiosi, umili, amorosi di Dio e del prossimo; è vivere di preghiera “viva”. Allora la grazia cresce, fiorisce, mette radici profonde e si eleva in albero di vita eterna. Allora lo Spirito Santo, come un sole, inonda dei suoi sette raggi, dei suoi sette doni; allora Io, Figlio, vi penetro della pioggia divina del mio Sangue; allora il Padre vi guarda con compiacenza vedendo in voi la sua somiglianza; allora Maria vi carezza stringendovi sul seno che ha portato Me come i suoi figliolini minori ma cari, cari al suo Cuore; allora i nove angelici cori fanno corona alla vostra anima tempio di Dio e cantano il “Gloria” sublime; allora la vostra morte è Vita e la vostra Vita è beatitudine nel mio Regno.»


Lancio al ritornello
La vita mi sorriderà anche se c’è il buio.
Che gioia, che gioia mi dai, che gioia!...


Ritornello
Basta sorridere e sei già contento
sta cambiando colore il mio mondo
Basta sorridere e sei già contento
sta cambiando colore anche il tuo mondo.

 Oh Gesù, aver ascoltato da Te cosa è la Grazia, è stato un tuffo nella SS. Trinità. Almeno in me, nasce il desiderio di seguirti fedelmente, di donarmi totalemente, di non volerti mai offendere, di corrispondere il più possibile alla GRAZIA... Ma poi eccomi fare i conti coi freni che questa mia umanità frappone a tanta Luce. Allora viene lo sconforto, la paura di non farcela già più, ma Tu stesso vieni in aiuto della nostra debolezza:


Quaderni (di M. Valtorta) 15 giugno 1943.

Dice Gesù: «Che il demonio cerchi di turbarti, è naturale. Non può più farlo sulla carne, e cerca perciò di turbare il tuo spirito. Esso fa quello che è sua occupazione. Ossia tenta di avvilire le anime, di spaventarle, di farle titubare. Generalmente cerca di farle peccare per staccarle da Me. Quando a questo non riesce, perché l’anima è ben vigilante e l’insidia non entra, allora tenta di spaventarla e mettere pensieri in apparenza buoni, ma che in verità sono nocivi.

Vedi, Maria. Tra il pensiero: “Io diverrò santa” e il pensiero: “È impossibile che io diventi santa”, il più pericoloso e il più contrario a Me è il secondo. Il primo non è atto di superbia, se è corroborato da tutti gli sforzi della volontà per raggiungere la santità.
Io ho detto: “Siate perfetti come il Padre mio”. Dicendo così, non vi ho fatto una semplice esortazione, ma vi ho dato un dolce comando, dandovi la misura della perfezione: quella di Dio, il Perfettissimo. Perché Io vi avrei voluto tutti perfetti per avervi tutti intorno a Me in eterno.
L’anima deve perciò tendere alla santità, dire a se stessa: “Voglio divenire santa” senza titubanze, senza fiacchezze.  

Riconoscete di essere deboli? Ma Io lo so più di voi che siete deboli, eppure vi ho detto: “Siate perfetti”, perché so che se lo volete, con l’aiuto mio, potete essere perfetti, ossia santi.
Questo il Maligno non lo vuole. Sa bene, perché è intelligentissimo, che quando un’anima ha fatto il primo passo nella via della santità, ha gustato il primo boccone della santità, il cui sapore è ineffabile , diviene nostalgica di santità e per lui è perduta. Allora crea pensieri di falsa modestia e di diffidenza.
“Non è possibile che io meriti il Paradiso. Per quanto Dio sia buono, è possibile che mi possa perdonare, aiutare? È possibile che io, anche col suo aiuto lo possa accontentare? Sono buona a nulla”.
Oppure sibila le sue insinuazioni. “Ma ti pare che tu possa divenire santa? Quello che provi, che senti, che vedi, sono illusioni di mente malata. È la tua superbia che te le fa pensare. Tu santa? Ma non ricordi questo... questo... questo? E non ricordi cosa ha detto il Cristo? Tu pensando così fai un nuovo peccato, il mio stesso. Pensi di esser simile a Dio...”.
Lascialo sibilare. Non merita risposta. 

Quello che provi è da Dio, quello che pensi è il desiderio mio che si ripercuote in te. Perciò è cosa santa. Ti ho detto quale è il segno mio. È la pace. Quando in te senti pace è segno che è cosa di Dio quello che provi, senti, vedi, pensi. Continua senza titubare. Io sono con te.

Quando il Nemico nostro cerca di darti troppa noia, di’: “Ave Maria, Madre di Gesù, mi affido a te”. Il demonio ha ancora più ribrezzo del nome di Maria che del mio Nome e della mia Croce. Non ci riesce, ma cerca di nuocermi nei miei fedeli in mille maniere. Ma l’eco soltanto del nome di Maria lo mette in fuga. Se il mondo sapesse chiamare Maria, sarebbe salvo. 
Quindi invocare i nostri due Nomi insieme è cosa potente per fare cadere spezzate tutte le armi che Satana avventa contro un cuore che è mio. Da sole le anime sono tutte dei nulla, delle debolezze. Ma l’anima in grazia non è più sola. È con Dio. 

Perciò quando l’altro ti turba con riflessioni di falsa modestia o di timore, devi sempre pensare: 
“Non sono io che penso esser santa, ma è Gesù che vuole che io lo sia. Siamo noi: Gesù e io, Dio e io, che vogliamo che ciò avvenga per gloria sua”.
Non ho forse detto Io: “Quando due saranno riuniti insieme a pregare, il Padre concederà loro il richiesto”? Ma che sarà quando Uno dei due è Gesù stesso? 

Allora il Padre darà la grazia richiesta con misura piena, scossa, abbondante. Perché il Figlio è potente sul Padre e tutte le cose sono fatte in nome del Figlio.»

Terza strofa
Camminando questa strada piango e sogno
son lacrime d’amore sogni d’altri tempi.
C’è un punto ancora fermo
ma lo rimuoverò.  Così farò.

Quarta strofa
Stringendomi nel cuore quella promessa
non ti deluderò. Fortemente t’amerò.
Se mi starai vicino
più forte e più sicuro io sarò.

Dopo quanto raccomandato dal Signore Gesù attraverso, Maria Valtorta, quanto abbiamo letto prima, non ci resta che avventurarci per la strada che Gesù stesso ha tracciato per ognuno di noi e non voltarci più indietro. C'è da faticare un pò ma ne vale "Il Paradiso". 

Lancio al ritornello

La vita mi sorriderà anche se c’è il buio.
Che gioia, che gioia mi dai, che gioia!...


Ritornello

Basta sorridere e sei già contento
sta cambiando colore il mio mondo
Basta sorridere e sei già contento
sta cambiando colore anche il tuo mondo.


"Basta sorridere"... ma per concludere...

Un sorriso non costa nulla e rende molto.
Arricchisce chi lo riceve,
senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante,
ma il suo ricordo è talora eterno.
Nessuno è così ricco da poterne fare a meno.
Nessuno è così povero da non poterlo dare.
Crea felicità in casa;
è sostegno negli affari;
è segno sensibile dell'amicizia profonda.
Un sorriso dà riposo alla stanchezza;
nello scoraggiamento rinnova il coraggio;
nella tristezza è consolazione;
d'ogni pena è naturale rimedio.
Ma è bene che non si può
comprare, né prestare, né rubare,
poiché esso ha valore solo nell'istante in cui si dona.
E se poi incontrerete talora chi non vi dona l'atteso sorriso, siate generosi e date il vostro;
perché nessuno ha tanto bisogno di sorriso
come chi non sa darlo ad altri.

               Fr. Frederik W. Faber (1814-1863)

Ci son persone che vivono per il tuo sorriso e altre che rosicheranno quando capiranno di non essere riuscite a spegnerlo. (Roberto Benigni)

Vero...spero di essere tanto forte da resistere a tutti gli attacchi possibili, e così riuscire a non spegnere mai il sorriso del mio cuore e della mia anima.

 

domenica 17 dicembre 2017

Ponte fra cielo e terra

Una canzone difficile, profonda, dedicata a Gesù Crocifisso nel suo grido estremo: "Perchè mi hai abbandonato". È difficile non tanto musicalmente, ma quanto a livello del testo. Se non si conosce il mistero del "grido" di Gesù, non si entra nella sua comprensione. E chissà quanti ascoltandola, non vi entrano e magari si fermano a dire: "non la capisco". In realtà in essa c'è la soluzione a tutti i nostri "perchè" esistenziali, morali, umani...e ultraumani.
La scrissi perché pensavo potesse diventare inno di un congresso di seminaristi a livello mondiale, del Movimento dei Focolari, che aveva come titolo: "Gesù Abbandonato, ponte fra cielo e terra". C'è tutto dentro la terra con tutte le sfide e il Cielo con tutte le Grazie. Venne fuori questa canzone e non si prestava ad essere un inno che avrebbe dovuto coinvolgere, far cantare in coro. Questa canzone invece si presta al solo ascolto e alla meditazione.




Il titolo l'ho già spiegato da dove viene. Il bello sarà spiegare il resto.

 Prima strofa
Distendi le braccia, su quella realtà
e abbraccia di faccia il dolore tuo proprio.
Entra negli occhi suoi.
Passa quel ponte sospeso sul nulla.


 L'editoriale di Gen's del 4 ottobre 2016, fa da apripista a quanto vorrei dire innanzitutto sul simbolo cristiano: la croce e per questo lo riporto pari pari.

Editoriale
 La Croce, come si sa, era cosa scandalosa per l’ambiente in cui è iniziato il cristianesimo, e giustamente: è realmente tale! Oggi la si porta spesso dorata a una catenina, ma forse non si è consci fino in fondo del suo significato del suo sconvolgente messaggio. In quei tempi non la si poteva rappresentare pubblicamente quali simbolo della fede: era improponibile credere in un Dio la cui vicenda era finita in un simile e umiliante supplizio. Un espediente trovato dei primi secoli, scoperto nelle catacombe, è stato raffigurarla sotto forma di un’ancora. E con ciò esprimere pure il suo singolare valore: un segno di speranza che, in mezzo alle 1000 incertezze della vita e alle vicissitudini non di rado tragiche della storia, da sicurezza. Paradossalmente, è stata proprio la discesa dell’uomo-Dio fin negli abissi della morte del male - e la sua risurrezione! – a fare da punto fermo dove tutto vacillava, infondere nei seguaci di Gesù un’invincibile speranza di vita.
Nel nostro tempo ci vengono meno tanti punti di riferimento sui quali pensavamo di poter poggiare saldamente: un ordine mondiale che, con la seconda guerra mondiale, sembrava avviato in modo crescente verso un riconoscimento dei diritti di tutti e verso la pace; un Welfare che all’interno di certi Stati prometteva maggiore equità; una serietà nell’amministrazione della cosa pubblica e un’organizzazione del mondo del lavoro che parevano orientati al bene comune; un grande impegno per assicurare istruzione a tutti, che oggi si è trasformato in emergenza educativa; lo sforzo per favorire lo sviluppo e il progresso delle popolazioni più svantaggiate, che ai nostri giorni vediamo invece sempre più povere, abbandonate, sfruttate. E potremmo continuare. Viviamo in mezzo alle incognite. E forse non si stagliano neppure all’orizzonte risposte veramente risolutive che ci possano rassicurare. La complessità e le sfide sono tali che non sembra facile mettere in atto una governance che riesca a prendere in mano la situazione e instradarla verso un futuro migliore. Basti pensare al problema climatico, ai poteri finanziari che condizionano intere nazioni, agli immensi flussi migratori, al terrorismo fondamentalista.
Nel mare magnum del mondo globale che sembra non riuscire ad incamminarsi sulle vie di una cultura dell’incontro, del dialogo e della pace, siamo alla ricerca di un ancoraggio che ci possa dare speranza.
Il messaggio evangelico ce lo indica, oggi come 2000 anni fa, nel Crocifisso. Non come vittima di un supplizio che ci ha redenti pagando - come tante volte si pensa - il prezzo di un riscatto (Dio, e per di più un Dio che è Amore, può aver bisogno di “pagamenti”?), bensì come Dio che in Gesù è solidale con noi fino a sperimentare tutte le conseguenze del male, della rottura e lontananza del Creatore e delle divisioni fra noi umani. E se ne è fatto carico, riempiendo gli abissi del dolore e della disunità di un amore nonostante tutto, del “super amore”, come l’ha chiamato Chiara Lubich. Amore senza riserve che ci raggiunge nei momenti più neri e disperati e suscita anche in noi, se vogliamo, la capacità di un amore più grande che può dilagare nel mondo e di sanare le piaghe.
Siamo alla ricerca di nuovi punti fermi. Ma forse l’unico punto fermo cui ancorare la vita è proprio questo amore fino all’abbandono. Radicati in esso, troviamo la luce e la forza per trasformare in un nuovo inizio ogni smarrimento e ogni tragedia e concorrere, nel micro e nel macro,  alla costruzione di una cultura della condivisione e di una società diversa con quanti come noi si lasciano guidare dal sogno della fraternità che, pur seppellito da debolezze, interessi egoistici e mediocrità, alberghi in fondo ad ogni cuore umano. (H B Rivista Gen's XLVI)

Questi primi versi della mia canzone indicano un evento di 2000 anni fa ma anche un evento quotidiano di ciascuno di noi, perché in quella croce, la nostra croce. "Chi vuol essere mio discepolo prenda la sua croce e mi segua. Ecco perché dico: "Distendi le braccia, su quella realtà e abbraccia di faccia il dolore tuo proprio".

Seconda strofa
 Senti le mani forate dal mondo.
Nella cruna dell’ago attraversa il dolore.
Entra negli occhi suoi
Passa quel ponte sospeso sul nulla.


 Anche questi versi fanno pensare al Dio Crocifisso, ma anche a tutti i crocifissi della storia e all'immane silenzio davanti al dolore innocente. 

Risposta di Papa Francesco a una ragazza
”Spesso diventa difficile coniugare i valori cristiani che portiamo dentro, con gli orrori, le difficoltà e le costruzioni che ci circondano”,  ha detto Bianca di Napoli a Papa Francesco durante l’incontro con i giovani sul lungomare Caracciolo il 21 marzo 2015.  E gli ha chiesto: “in mezzo a tali silenzi di Dio come piantare germogli di gioia e segni di speranza?”

È un Dio delle parole, è un Dio dei gesti, È un Dio dei silenzi. Il Dio delle parole, lo sappiamo perché nella Bibbia ci sono le parole di Dio: ci parla, ci cerca. È un Dio dei gesti e il Dio che va. Pensiamo alla parabola del buon pastore che va a cercarci, che si chiama per nome, che ci conosce meglio di noi stessi, che sempre si aspetta, che Sempre ci aspetta, che sempre si capisce con gesti di tenerezza.
E poi il Dio del silenzio. Pensate ai grandi silenzi della Bibbia: per esempio silenzio del cuore di Abramo, quando andava con suo figlio per offrirlo in sacrificio. Due giorni, salendo sul monte, ma lui non osava dire qualcosa al figlio, anche se il figlio, che non era sciocco, capiva. E Dio taceva. Ma il più grande silenzio di Dio è stato la croce: Gesù ha sentito il silenzio del Padre, Fino a definirlo “Abbandono”: “Padre perché mi hai abbandonato?”. E poi, è successo quel miracolo di Dio, quella parola, Quel gesto grandioso che è stata la  Risurrezione.
Il nostro Dio è anche il dio dei silenzi e ci sono silenzi di Dio che non si possono spiegare se tu non guardi il crocifisso. Per esempio, perché soffrono i bambini? Come mi spieghi questo? Dove trovi una parola di Dio che spieghi perché soffrono i bambini? Questo è uno dei grandi silenzi di Dio. E il silenzio di Dio non dico che si può “capire”, ma possiamo avvicinarci ai silenzi di Dio guardando il Cristo crocifisso, il Cristo che muore, Il Cristo abbandonato, dall’orto degli ulivi fino alla croce. Questi sono i silenzi. “Ma, Dio ci ha creati per essere felici…”-“sì, è vero”. Ma lui, tante volte tace. E questa è la verità. Io non posso ingannarti dicendo: “no, tu abbi fede e andrà tutto bene, Sarai felice, avrai una buona fortuna, avrai soldi…”: no, il nostro Dio stando in silenzio. Ricordati: è il Dio delle parole, il Dio dei gesti e il Dio dei silenzi, queste tre cose devi unirle nella tua vita. (Papa Francesco)

E se ci riflettiamo dove tutto è, per il Verbo di Dio che esprime qualcosa, ed essa è, nei silenzi di Dio c'è la sua assenza, e i dolori della storia sono l'assenza di Dio, perché lì Dio non c'è, o è meglio dire che non c'era, perché dopo aver accettato di soffrire e morire in croce, ora tutti i dolori sono intrisi della sua Presenza, che è amore, avendoli presi tutti in sè, sicché si fa prossimo nel dolore, si fa talmente prossimo da esservi dentro a ogni dolore, ad ogni distanza, diventando così ponte fra Cielo e terra, colmando l'infinita distanza che s'era creata per il peccato. In qualche modo ha dovuto prendere in sé anche tutto l'inferno, per poterlo far esistere, e tutto questo per amore. Per garantire la libertà dei demoni, ha dovuto prendere in sé anche la loro distanza. L'hanno scelta, l'hanno voluta e deve poter esistere, e perché ciò fosse, ha accettato di morire della morte più ignominiosa, si è fatto lacerare per amore. Il Crocifisso non è un Dio che uccide, ma che si fa uccidere, pur di redimere chi vuol essere redento. E come diceva il Papa, è un Dio della Parola, dei gesti, e del silenzio che crea anche lì dove non dovrebbe esserci niente.

 Il ritornello
Fra cielo e terra non c’è più distanza.
Fattosi estremo, calato qui
ogni buio è suo e luce chiara è già.

Fra me e l’Eterno non c’è più tormento.
Nella cruna entra il cammello:
il mio peccato e il tuo, non ci sono più.
Così scrive Emmaus, attuale presidente del Movimento dei Focolari: 

Partiamo dal Vangelo: è la prima eredità che Chiara ci ha lasciato.
In una delle più belle pagine del Vangelo di Giovanni leggiamo: «Dio infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito» (Gv 3, 16).
«Questa verità - ha commentato Giovanni Paolo II - cambia dalle sue fondamenta il quadro della storia dell'uomo e della sua situazione terrena». E ciò accade nonostante il peccato che si è radicato in questa storia. Infatti, Dio Padre, che ha amato il Figlio unigenito e lo ama in modo incommensurabile ed eterno, proprio in virtù di «questo amore che supera tutto», «dà» suo Figlio, «affinché tocchi le radici stesse del male umano e così si avvicini in modo salvifico all'intero mondo della sofferenza, di cui l'uomo è partecipe»; «solo perché il Figlio di Dio, è diventato veramente uomo, l'uomo può, e in lui e attraverso di lui, divenire realmente figlio di Dio». 
In questo modo Dio si è incarnato nella storia. 
Gesù, dunque, è venuto sulla terra per ricondurre gli esseri umani (che si erano allontanati da Dio con il peccato) nella piena comunione con lui e sulla croce prende su di sé ogni aspetto negativo di ogni persona: i suoi dolori, le sue angosce, la sua disperazione, le sue pene, i suoi peccati…, rendendosi Lui stesso, che era l'Innocente, simile a noi peccatori. (...) 

In Gesù abbandonato - allo stesso tempo culmine del dolore e vertice dell'amore - è racchiusa, quindi, La chiave per penetrare e dare risposta al mistero più profondo che avvolge la vita dell'essere umano e dell'intera umanità: il mistero del dolore, della sofferenza, che Chiara - proprio grazie a Lui - ha saputo riconoscere e accogliere come mistero d'amore. È un mistero questo, un grande mistero, che tocca profondamente il suo cuore: «Gesù sulla terra. - scrive con particolare commozione - Gesù nostro fratello. Gesù che muore fra ladri per noi: lui, il figlio di Dio, accomunato con gli altri. (...) Se sei venuto fra noi, è perché la nostra debolezza ti ha attirato, La nostra miseria t'ha ferito a compassione. Certo, non c'è madre o padre terreno che attendano un figlio perduto e facciano ogni cosa per il suo ritorno come il Padre celeste». 

(Fonte Maria Voce, Gesù Abbandonato: finestra Dio - finestra dell'umanità in Gen's XLVI p. 149-151)

 Terza strofa
Guarda il tuo volto è ormai di pace.
Big-bang di vita ridonante senso
per stare e andare lì
dove il tempo non è più un ricordo.

L'infinito amore di un Dio che si dona senza misura lo evidenzia bene la Novo Millennio Ineunte (LETTERA APOSTOLICA DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II ALL'EPISCOPATO, AL CLERO E AI FEDELI AL TERMINE DEL GRANDE GIUBILEO DELL'ANNO DUEMILA fonte: https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_letters/2001/documents/hf_jp-ii_apl_20010106_novo-millennio-ineunte.html ) quando sottolinea che «per riportare all'uomo il volto del Padre», Gesù «ha dovuto non soltanto assumere il volto dell'uomo, ma caricarsi persino del volto del peccato». E dopo aver assunto su di sé tutta la realtà del male - realtà che è prima di tutto assenza di amore - sperimenta sulla croce anche l'abisso di non sentire più neppure l'unione con il Padre Cf. Mc 15, 34; Mt 27, 46). Ma, pur sperimentando questa separazione, si abbandona a Lui e si fa così «artefice e via dell'unità degli uomini con Dio e tra loro». Come leggiamo nel Vangelo di Luca, Gesù, nel momento supremo della morte, rivolgendosi al padre disse: «nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Egli tramuta così il suo sentirsi abbandonato da Dio nell'affidarsi finalmente a lui e in quel momento, «fattosi nulla, unisce i figli al Padre» e dona a noi lo Spirito Santo. Da qui Chiara Lubich trae ancora importanti conseguenze: «ma come lui, dopo aver gridato all'abbandono, si è abbandonato nel Padre e muore in Lui, così noi, guardando al modello, siamo capaci di ricomporre l'unità dovunque e da chiunque sia stata rotta».

(Fonte articolo: Maria Voce, Gesù Abbandonato: finestra di Dio - finestra dell'umanità in Gen's XLVI p. 151-152)

 
 Secondo ritornello
Fra cielo e terra non c’è più distanza.
Fattosi estremo, calato qui
ogni buio è suo e luce chiara è già.

Fra me e l’Eterno non c’è più tormento.
Nella cruna entra il cammello:
il mio peccato e il tuo, non ci sono più.

L'impossibile diventa possibile per il perdono di Dio: il cammello entra nella cruna di un ago, da peccatori che eravamo Lui ci può trasformare in Figli di Dio redenti e trasferire nelle altezze dei Cieli dove regna Dio e chi con Lui merita.

Sempre dall'articolo di Maria voce riporto.

È vero: Lui ci ha attirati a sé facendoci partecipare, in modo specialissimo nell'epoca storica in cui viviamo, «al grande dramma della sua passione, per la quale tutto è stato ricapitolato in Lui (cf. Ef 1, 10)». Ma ci ha fatto partecipare in vari modi, fin da ora, anche alla sua risurrezione. 
In Gesù Abbandonato abbiamo riconosciuto con Chiara il più grande "mistero d'amore", il vero "maestro di unità". Infatti Lui, «sintesi di tutti i dolori del corpo e dell'anima», si è fatto per noi modello, «stile d'amore». E numerose sono state le esperienze fatte nel riconoscerlo ed abbracciarlo nei dolori di ogni tipo (...)
Scorrono davanti ai nostri occhi immagini tragiche riportateci quotidianamente dai mass-media: barconi di profughi con popoli interi che fuggono dalle loro terre per fame o guerra; Città devastate dalla mano dell'uomo fino alla distruzione di culture antichissime; integralismi e atti di violenza ai più vari livelli. 
A tutto ciò si aggiunge un fenomeno, accentuato più che mai, già evidenziato a suo tempo da Benedetto XVI quando ha parlato della "notte culturale" che ci avvolge:  
 «quanti eventi di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, Quante mode del pensiero…(...) Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull'inganno degli uomini, sull'astuzia che tende a trarre nell'errore (cf Ef 4, 14) (...) Mentre il relativismo, cioè lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi vento di dottrina", appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo perché lascia come ultima misura il suo proprio io e le sue voglie».
Nella notte che sembra volgere l'umanità sofferente che ci circonda, Chiara Lubich ci propone il modello di Gesù che grida a gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». «È la sua notte più nera, è il culmine dei suoi dolori», ribadisce. «Infinito mistero, dolore abissale che Gesù ha provato come uomo, e che dà la misura del suo amore per gli uomini, in quanto ha voluto prendere su di sé la separazione che li teneva lontani dal Padre e tra loro, colmandola».
 Questo grido, che rasenta il paradosso, in questo straziante dolore sono riassunti i mille nomi del dolore dell'umanità. 
Gesù crocifisso e abbandonato è la stella per questo cammino. Lui ci da il coraggio e la luce per intervenire in ognuna di queste situazioni:
«amando lui troviamo il motivo e la forza per non sfuggire a questi mali, a queste divisioni, ma per accettare e consumarli e portarvi così il nostro personale e collettivo rimedio». (...)
Perciò «non si può più separare la croce dalla gloria, non si può separare il crocifisso dal Risorto. Sono due aspetti dello stesso mistero di Dio che è Amore». (...) Il prezioso insegnamento di crocifisso risorto (...) getterà luce anche sul ruolo del dolore che può sopravvivere nella nostra vita e sulla sua straordinaria fecondità», scrivere Chiara, esortandoci con queste espressioni: «giorno dopo giorno, quando siamo colpiti da piccole o grandi sofferenze(…) sforziamoci di accettarle e di offrirle a Gesù come espressione del nostro amore.(…) Se così faremo, potremo sperimentare un effetto insolito e insperato: la nostra anima è pervasa di pace, di amore, anche di gioia pura, di luce. Potremo trovare in noi una forza nuova. Questo ci dirà come, abbracciando le croci di ogni giorno e unendoci per esse a Gesù crocifisso abbandonato, possiamo partecipare già da quaggiù alla sua vita di Risorto. E, ricchi di questa esperienza, potremo aiutare più efficacemente tutti i fratelli nostri a trovar beatitudine fra le lacrime, a trasformare in serenità ciò che li travaglia. Diventeremo così strumenti di gioia per molti, di felicità, di quella felicità a cui ambisce ogni cuore umano».
In Gesù abbandonato anche il non senso del dolore acquista senso. Egli - mediatore tra l'umanità di Dio - è la risposta ad ogni non senso perché ci dà la possibilità di incontrarci faccia a faccia con Dio in ogni situazione. 
Richiamando le due prospettive che Chiara ci ha aperto - Gesù abbandonato finestra di Dio - finestra dell'umanità - E che abbiamo voluto mettere come titolo di questo testo: Dio può vedere l'essere umano perché Gesù abbandonato è l'uomo, e l'essere umano può vedere Dio perché Gesù abbandonato è Dio. 

(Fonte articolo: Maria Voce, Gesù Abbandonato: finestra Dio - finestra dell'umanità in Gen's XLVI p. 153-156)