martedì 20 febbraio 2018

Occhi come Te

Dal Cd "Attimi di cielo", questa canzone è una riflessione sullo sguardo. Uno sguardo di Dio su noi, e di noi su di Lui. Scritta non mi ricordo quando... certamente in questo inizio di terzo millennio forse mentre ero a Roma a studiare tra il 2003 e il 2005...
Cosa me l'ha ispirata? Ho sempre immaginato di incontrare lo sguardo di Gesù e rmanerne affascinato, come lo furono gli apostoli e tanti altri nei Vangeli.
Su internet ho trovato almeno due ibri dedicati agli sguardi di Gesù e anche Papa Francesco ne ha parlato in una omelia a Santa Marta il 20 settembre 2013, commentando lo sguardo salvifico di Gesù caduto su Matteo il pubblicano. Così scrive il giornalista, Sergio Centofanti di Radio Vaticana commentando l'omelia:


Lasciamoci guardare da Gesù, il suo sguardo cambia la vita: è quanto ha detto Papa Francesco sabato mattina, durante la Messa a Santa Marta, commentando il Vangelo che racconta la conversione di San Matteo, di cui oggi la Chiesa celebra la Festa. Il servizio di Sergio Centofanti:

Gesù guarda negli occhi Matteo, un esattore delle imposte, un pubblico peccatore. Il denaro è la sua vita, il suo idolo. Ma ora – afferma il Papa – sente “nel suo cuore lo sguardo di Gesù che lo guardava”:

“E quello sguardo lo ha coinvolto totalmente, gli ha cambiato la vita. Noi diciamo: lo ha convertito. Gli ha cambiato la vita. ‘Appena sentito nel suo cuore quello sguardo, egli si alzò e lo seguì’. E questo è vero: lo sguardo di Gesù ci alza sempre. Uno sguardo che ci porta su, mai ti lascia lì, eh?, mai. Mai ti abbassa, mai ti umilia. Ti invita ad alzarti. Uno sguardo che ti porta a crescere, ad andare avanti, che ti incoraggia, perché ti vuole bene. Ti fa sentire che Lui ti vuole bene. E questo dà quel coraggio per seguirlo: ‘Ed egli si alzò e Lo seguì’”. 

Lo sguardo di Gesù – sottolinea il Papa – non è qualcosa di “magico: Gesù non era uno specialista in ipnosi”. “Gesù guardava ognuno, e ognuno si sentiva guardato da Lui, come se Gesù dicesse il nome ... E questo sguardo cambiava la vita, a tutti”. Così ha cambiato Pietro, che dopo averlo rinnegato incontra il suo sguardo e piange amaramente. C’è poi l’ultimo “sguardo di Gesù sulla Croce: guardò la mamma, guardò il discepolo e ci ha detto, con quello sguardo, ci ha detto che la sua mamma era la nostra e che la Chiesa è madre. Con uno sguardo”. Poi ha guardato il Buon Ladrone e ancora una volta Pietro, “impaurito, dopo la Resurrezione, con quelle tre domande: ‘Mi ami?’. Uno sguardo che lo faceva vergognare. Ci farà bene pensare, pregare su questo sguardo di Gesù – sottolinea il Papa - e anche lasciarci guardare da Lui”. Gesù, ora, si reca nella casa di Matteo e mentre siede a tavola arrivano molti peccatori: “si era sparsa la voce. E tutta la società – ma non la società pulita – si è sentita invitata a quel pranzo”, come accade nella parabola del re che ordina ai servi di andare ai crocicchi delle strade per invitare al banchetto nuziale del figlio quanti incontreranno, buoni e cattivi:

“E i peccatori, pubblicani e peccatori, sentivano ... ma, Gesù li aveva guardati e quello sguardo di Gesù su di loro io credo che sia stato come un soffio sulle braci, e loro hanno sentito che c’era fuoco dentro, ancora, e che Gesù li faceva salire, riportava loro la dignità. Lo sguardo di Gesù sempre ci fa degni, ci dà dignità. E’ uno sguardo generoso. ‘Ma guarda che Maestro: pranza con la sporcizia della città!’: ma sotto a quella sporcizia c’erano le braci del desiderio di Dio, le braci dell’immagine di Dio che volevano che qualcuno li aiutasse a farsi fuoco. E questo lo faceva lo sguardo di Gesù”. 

“Tutti noi, nella vita – ha concluso il Papa - abbiamo sentito questo sguardo, e non una volta: tante volte! Forse la persona di un sacerdote che ci insegnava la dottrina o ci perdonava i peccati ... forse nell’aiuto di persone amiche”: 

“Ma, tutti noi ci troveremo davanti a quello sguardo, quello sguardo meraviglioso. E andiamo avanti nella vita, nella certezza che Lui ci guarda. Ma anche Lui ci attende per guardarci definitivamente. E quell’ultimo sguardo di Gesù sulla nostra vita sarà per sempre, sarà eterno. Io chiedo a tutti questi Santi che sono stati guardati da Gesù, che ci preparino a lasciarci guardare nella vita, e che ci preparino anche a quell’ultimo – e primo! – sguardo di Gesù”. 

(fonte: http://it.radiovaticana.va/storico/2013/09/21/lo_sguardo_di_ges%C3%B9_cambia_la_vita_cos%C3%AC_il_papa_a_santa_marta/it1-730441)


Ascoltiamo la Canzone...





Il testo della canzone

La prima strofa

Occhi dentro me.
Entri per dirmi: “Cosa c’è?”,
quando mi guardi col silenzio opaco,
di chi presto parlerà
e chissà se ci sarà quell'ascolto
vivo, vero fuoco.



È proprio così, se incontri lo sguardo di Dio in Te, scopri certamente una strada nuova, il senso della tua storia. E perché avvenga bisogna sgomberare la strada dal superfluo, dalla materia, da tutto quanto è disumano. Oggi sembra che la cultura abbia imprigionato l'umanità in un vicolo cieco, che vede solo ciò che appare, e crede solo alle immediate evidenze. Eppure se si riflettesse solo un pò, si scoprirebbe in fondo all'anima la radice del proprio essere e del proprio esserci. È la storia del giovane ricco del Vangelo di Marco, entra in relazione con Gesù che gli dona lo sguardo d'amore col quale sana e salva, ma quando gli viene chiesto di lasciare quanto era zavorra per il Regno dei Cieli, si rabbuia e va via triste. Enzo Bianchi qualche anno fa tenne una lectio incentrata proprio sullo sguardo di Gesù. Per commentare questa mia canzone prenderò in prestito la bellissima lectio e la meditazione del priore di Bose.

Primo punto della lectio/meditazione. 
1. Vedere, guardare. 

Vedere, essere visto, è un’operazione importante nella nostra vita umana. Accanto all’ascolto, il vedere è decisivo nel nostro venire al mondo. Dopo pochi giorni dalla nascita, noi apriamo gli occhi e vediamo… e così entriamo in relazione con gli altri, con le cose. È soprattutto il vedere che provoca la conoscenza e quindi il riconoscimento; è attraverso il vedere che accendiamo la relazione ed entriamo in relazione. Vedere è un’operazione che, essendo in atto quando noi non siamo preda del sonno, può rispondere solo a riflessi; ma se è un’operazione di cui si è consapevoli, se è un’operazione a cui ci esercitiamo, se è “educata”, diventa per noi il primo modo di comunicazione con l’altro.
 Guardare è una cosa, vedere un’altra, e fissare lo sguardo sta nel registro del vedere, non del guardare. Per questo occorre “saper vedere”, e non si è mai finito di imparare quest’arte da cui dipende la comunicazione, la comunione, e quindi il sapore della vita. Di conseguenza, “essere visti” è l’esperienza decisiva dell’alterità: “Altro è per principio colui che mi guarda” (Jean-Paul Sartre). Se fossimo semplicemente guardati, e non visti, saremmo in una situazione disumana: abbiamo bisogno che qualcuno ci veda, che fissi lo sguardo su di noi, perché questo dice che qualcuno si accorge di noi, che possiamo ricevere uno sguardo da qualcuno. Essere visti è il primo modo di sentire la fiducia riposta dagli altri in noi. In ogni relazione che fa parte della nostra vita, noi non dimentichiamo mai quando “abbiamo visto”, quando “siamo stati visti”… È significativo che nel Bhagavadgita, poema sacro dell’induismo, stia scritto: “La salvezza sta nello sguardo”.
 Per ciascuno di noi resta dunque possibile decidere il nostro sguardo, con cui scegliamo di sentire, di toccare l’altro: nel nostro sguardo c’è l’inizio di un tattilità, sicché noi possiamo avere uno sguardo che accarezza o uno sguardo che uccide, uno sguardo che scalda o uno sguardo che uccide, uno sguardo mite o uno sguardo che cattura e seduce, uno sguardo che desta fiducia o uno sguardo che incute timore, spavento. Ognuno di noi con lo sguardo raggiunge l’altro, già gli parla e già lo tocca.

Ritornello
Occhi come i tuoi,
sono rari da incontrare qui,
così chiari che m’accendono
il buio che ora c’è.
Occhi come Te.


Secondo punto della lectio/meditazione. 

2. Il guardare, il vedere di Gesù. 

Nei racconti riguardanti Gesù, si dice che egli ha ascoltato, ha parlato, ha visto… E ogni evangelista nel narrare azioni e parole di Gesù mette in evidenza in particolari occasioni, e in un suo modo proprio, il vedere, il guardare di Gesù. Tuttavia va riconosciuto che il vangelo secondo Marco dedica una particolare attenzione al vedere di Gesù, ai suoi modi diversi di guardare, a tal punto che è stato definito “il vangelo degli sguardi”. Non è un caso che solo il vangelo secondo Marco contenga il seguente rimprovero di Gesù ai discepoli: “Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?” (Mc 8,18).
 In questo vangelo per ben 27 volte si attesta il vedere di Gesù, nelle sue varie sfumature: vedere, fissare lo sguardo, guardare attorno, osservare. Il primo sguardo di Gesù è verso i cieli, che vede aperti nel momento della sua immersione nel Giordano (cf. Mc 1,10). Ma poi è soprattutto uno sguardo per gli uomini: 
sguardo che chiama alla sequela (cf. Mc 1,16.19);
 sguardo che sa vedere la fede in chi gli porta un paralitico su una barella (cf. Mc 2,5) o tocca di nascosto il suo mantello (cf. Mc 5,31-32);
 sguardo che vede con compassione una folla come pecore senza pastore (cf. Mc 6,34) o vede i suoi discepoli esauriti per il remare nella tempesta (cf. Mc 6,48).
 Non va infine sottovalutata l’annotazione di Marco riguardo a Gesù che, entrato trionfalmente a Gerusalemme, “verso sera, dopo aver guardato ogni cosa attorno, uscì con i Dodici verso Betania” (Mc 11,11). Quello di Gesù è anche un guardare attorno, uno sguardo che egli fa circolare, come se volesse cercare con gli occhi, leggendo il cuore dei suoi interlocutori o indicando in loro i destinatari delle sue parole (cf. Mc 3,5.34; 5,32; 10,23).


Seconda strofa
Scappo dentro me.
Hai vinto ancora: “Cosa vuoi?”.
Mi hai spinto dentro alla mia vita
Ed ora sono tutto là
E chissà se prenderò al volo,
il cuore, il cielo, il volo.

Terzo punto della lectio/meditazione.
 3. L’incontro con il giovane ricco e gli sguardi di Gesù su di lui e sui discepoli

Il brano dell’incontro tra Gesù e il giovane ricco è particolarmente eloquente sul vedere di Gesù. Cerchiamo dunque di commentarlo accuratamente, facendo seguire a esso anche qualche annotazione sugli sguardi rivolti da Gesù ai discepoli che lo attorniano.

    1.    Prima scena: “Gesù, fissato lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10,17-22)
Un tale di cui Marco non specifica l’identità, in modo che ognuno di noi possa riconoscersi in lui, corre e si inginocchia davanti a Gesù che è in cammino, per interrogarlo, per porgli domande (cf. Mc 10,17). Appare così una persona che cerca con passione, infatti corre, e cerca qualcuno, un maestro, perché lo aiuti nella sua ricerca – diremmo oggi – di senso: “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (ibid.). È uno che, per lo meno, ha venerazione per i “maestri”, gli “in-segnanti”, quelli che fanno segno, che sanno indicare la via, e forse ha sentito parlare di Gesù. Per questo si inginocchia davanti a lui e lo chiama: “Didáskale agathé”, “Maestro buono” (ibid.), dunque maestro capace di amore, e così gli confessa un grande riconoscimento.
 Gesù però non gli risponde subito, anzi gli pone una contro-domanda, chiedendogli consapevolezza delle parole da lui dette e rimandandolo a se stesso: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc 10,18). C’è una motivazione che ispira costui a definire Gesù “buono”? Perché in verità tutti gli uomini sono cattivi (cf. Mt 7,11; Lc 11,13). Basta conoscere i comandamenti per rendersi conto di quanto ogni uomo, ogni donna sia mancante; soprattutto ascoltando i comandamenti della seconda tavola della Legge, riguardanti il rapporto tra ciascuno di noi e gli altri (cf. Es 20,12-16; Dt 5,16-20), è facile discernere la presenza della malvagità nell’uomo. Gesù dunque ricorda al suo interlocutore questi comandi, di cui cinque negativi e uno positivo (cf. Mc 10,19). Ecco il terreno su cui interrogarsi per orientarsi verso il bene, per conoscere la strada su cui si cammina, per trovare l’eredità della vita eterna, il Regno di Dio, la vita per sempre con lui. Nel vangelo secondo Matteo non si dirà forse che ognuno sarà giudicato sul suo rapporto con gli altri (cf. Mt 25,31-46)? E l’Apostolo Paolo non ricorderà forse i comandamenti, in una perfetta corrispondenza con le parole rivolte da Gesù a questo tale (cf. Rm 13,8-9)?
 Quest’uomo che interroga Gesù deve interrogare se stesso, deve comprendere che la bontà che Dio vuole è la bontà verso gli altri, e che il male che Dio non vuole è il male che facciamo agli altri. Ogni comando di Dio è dato perché l’uomo si umanizzi, diventi più buono, tenda all’amore, pienezza di tutta la Legge (cf. Rm 13,9-10; Gal 5,14). Ma di fronte a queste parole di Gesù, quest’uomo pieno di zelo, forse “giovane” – come lo definisce Matteo (Mt 19,20) –, afferma con una certa ingenuità: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza” (Mc 10,20). Ha tentato di osservarle – diciamo noi – e l’ha fatto con zelo, con convinzione, con spirito di obbedienza. Gesù, che conosce ogni uomo (cf. Gv 2,24-25), sa che in verità questo giovane non ha osservato pienamente la Legge, ma, accogliendo quella sua convinzione generosa, entra in una relazione più profonda con lui.
 A questo punto Marco – e solo lui – scrive: “Allora Gesù, fissato lo sguardo su di lui, lo amò”, “ho de Iesoûs emblépsas autô egápesen autòn” (Mc 10,21). Attraverso il guardare, il fissare lo sguardo, Gesù vuole comunicare in modo più profondo con quel giovane, vuole che egli “si senta visto” (esperienza per ognuno di noi straordinaria e decisiva, quando avviene veramente!), si senta conosciuto nel suo cuore, si senta accolto. Di fatto Gesù mostra al giovane di essere come lui lo ha chiamato, “buono”, capace di amore, di essere come il Signore che “guarda il cuore”, che discerne in profondità, non come l’uomo che guarda l’esteriorità (cf. 1Sam 16,7). Gesù guarda quell’uomo, vede che c’è fuoco sotto la cenere, soffia su quella cenere perché appaia la brace e arda il cuore, arda di amore, in modo che il suo amore incontri l’amore preveniente e gratuito donatogli da Gesù stesso. Sì, in questo modo di vedere che non è possessivo, che non abusa, ma è benevolo, pieno di affetto e gratuito, Gesù di fatto lo ama. Quel giovane si è sentito guardato e amato dal Signore: ecco il culmine del nostro brano evangelico! Per lui il volto di Gesù è diventato il volto di uno che offre attenzione e amore, sicché questi non vanno meritati, vanno solo accolti con stupore, perché sono la grazia. Quello sguardo di Gesù è stato come una carezza, come un bacio sulla bocca… bacio che il maestro dava al discepolo al tempo di Gesù: sulla bocca, come nel caso di Giuda (cf. Mc 14,45 e par.), o sul capo, come è testimoniato di altri rabbi. Potremmo leggere questo sguardo come fa Beda il Venerabile commentando lo sguardo di Gesù sul pubblicano Matteo (cf. Mt 9,9: “Vidit ergo Iesus publicanum, et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi: Sequere me”. “Gesù vide il pubblicano, lo vide facendogli misericordia, e lo chiamò dicendogli: ‘Seguimi!’” (Omelie 21, CCL 122,150). 
Siamo dunque al punto più profondo dell’incontro, della relazione tra Gesù e il giovane, dove è possibile dire quello che sarebbe indicibile senza aver raggiunto quell’intensità di comunicazione data dal vedere-essere visto, dall’amare-essere amato. E così ora Gesù può dirgli la verità più profonda: “Una cosa sola ti manca” (Mc 10,21). Se tu avessi tutto, allora il Signore sarebbe il tuo Pastore, ma ti manca una cosa sola per non mancare di nulla – “Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla” (Sal 23,1) –, perché il Signore è buono, e amore, e se si ha l’amore, si ha tutto!
 Gesù non gli dice: “Sì, tutto va bene, ma se vuoi fare qualcosa di più, allora va’ e vendi i tuoi beni…”, ma gli dice: “Ti manca una cosa, lasciare tutto e seguire me” (cf. Mc 10,21). Ecco dove Gesù ha portato il giovane con il suo sguardo e il suo amarlo: a riconoscere che gli manca qualcosa, una sola, ma che dunque non può essere soddisfatto di se stesso. Egli deve ormai rispondere a quello sguardo, deve sentire che lo sguardo e l’amore di Gesù lo spingono a cambiare vita, a prendere un nuovo orientamento, a mutare i rapporti che ha con gli altri e con le cose, per poter seguire Gesù e aderire a lui. Seguire Gesù senza riserve, senza avere garanzie o vie di fuga, comporterà per tutti una decisione da cui non si può tornare indietro: se si hanno beni, si vendono e si danno ai poveri; se si ha una famiglia e la si abbandona; se si ha una professione e la si lascia, allora si può seguire Gesù senza nostalgie e senza indecisioni per scelte ancora da fare. 
Ma a queste parole egli si fa triste e si tira indietro (cf. Mc 10,22). Non crede a quello sguardo, non crede a quell’amore di Gesù, e quindi non sa rispondere a Gesù. Nella sua ricerca di senso questo giovane pieno di zelo e di ardente desiderio è giunto alla possibilità di scegliere: non scegliere cosa fare, ma scegliere di essere e scegliere come trovare pienezza nella propria indigenza. Ma di fronte a quell’offerta di Gesù, offerta di rischiare l’amore, si rabbuia, cambia volto, si incupisce, e con la tristezza che lo domina se ne va di nuovo per la sua strada, lontano da Gesù, il maestro, rabbi, in-segnante, che aveva cercato per ricevere dei segni-segnali nella sua vita. Esce di scena “lupoúmenos, rattristato perché aveva molte ricchezze (pollá)” (Mc 10,22), troppe per essere libero di seguire Gesù. Tra il mettere la fede-fiducia in Gesù, rischiando la vita, e l’avere fiducia nelle ricchezze che possiede (o che forse lo possiedono!), preferisce questa seconda situazione, a cui è abituato… Scopriamo così che questo giovane in realtà osservava formalmente la Legge, ma non ne comprendeva né lo spirito né il télos. Nel cosiddetto Vangelo degli Ebrei si testimonia l’aggiunta di questo significativo inciso tra il v. 22 e il v. 23:
Allora il ricco si mise a grattarsi la testa e fu triste. E il Signore gli disse: “Come puoi dire: ho osservato la Legge e i Profeti? È scritto nella Legge: ‘Tu amerai il tuo prossimo come te stesso’ (Lv 19,17), ed ecco che un gran numero dei tuoi fratelli figli di Abramo sono vestiti di cenci e muoiono di fame mentre la tua casa è piena di beni in abbondanza e assolutamente nulla esce da essa per loro. E voltatosi verso Simone seduto accanto a lui disse: ‘Simone, figlio di Giona, è più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel Regno dei cieli!’” (Origene, Commento al vangelo secondo Matteo 15,14).
Sì, quello sguardo di Gesù (emblépsas) ha raggiunto il giovane ricco, ma non è riuscito a liberarlo dalla prigione dell’avere per collocarlo nella libertà dell’essere.

Ritornello
Occhi come i tuoi,
sono rari da incontrare qui,
così chiari che m’accendono
il buio che ora c’è.
Occhi come Te.

Occhi, occhi, occhi, come Te.

 2.    Seconda scena: “Gesù, volgendo lo sguardo attorno… Gesù, guardandoli in faccia…” (Mc 10,23-27)
Allora “Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: ‘Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!’” (Mc 10,23). Ecco un altro modo di guardare da parte di Gesù: volge lo sguardo attorno (periblepsámenos). Guarda tutti i discepoli e le folle che lo ascoltano per dire loro una parola forte. Con lo sguardo percorre in modo circolare l’uditorio, come per rivolgersi a ciascuno dei presenti, e mette in guardia denunciando una difficoltà radicale della quale Gesù stesso sembra stupirsi: come sarà difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. Ciò che è appena avvenuto, e si è concluso con l’andata via del giovane ricco, ne è una conferma.
 Davvero la ricchezza è qualcosa che cattura la fiducia, la fede dell’uomo, è ciò che più facilmente si fa idolo e rende l’uomo idolatra (“l’avarizia è idolatria”: Col 3,5). Per questo Gesù ha chiamato la ricchezza “Mammona” (Mt 6,24, Lc 16,13), utilizzando la parola aramaica mamon che ha nella sua radice proprio il verbo della fede, dell’“aderire con fiducia” (aman): perché sapeva che l’uomo fa affidamento su di essa più facilmente che su tutto il resto, più che sui vincoli di sangue, di vicinanza. Di fronte a ogni sorta di bisogno o di male la ricchezza appare come un possibile antidoto, come una via per contrastare il male o uscire dalla sofferenza. Diciamo la verità: in che cosa crede la gente? Nel denaro, e per questo giustamente Walter Benjamin in un suo scritto del 1921 osservava che “nell’accumulo di denaro, nel perseguire il profitto si deve vedere una forma di religione”. Non è un caso che più si aumentano i beni posseduti, meno si fa fiducia agli altri e all’Altro, Dio. I beni, il denaro o le cose determinano la mente e il cuore di chi li possiede, plasmano un modo di pensare e di sentirsi al mondo. Il benessere in cui uno vive, il potere di cui uno dispone, la vanità dell’ostentazione di ciò che si ha, rendono ciascuno di noi diverso, spingono a confidare, a mettere fiducia nei beni, fino a pensare che in queste condizioni è più facile salvarsi. Ecco l’inganno: salvarsi, e dunque non attendere più la salvezza da Dio! 
I discepoli sono sconcertati da queste parole di Gesù sulla difficoltà dei ricchi a entrare nel Regno, ma Gesù, chiamandoli con dolcezza “figli” (tékna: Mc 10,24), ribadisce ciò che ha detto ricorrendo a un’immagine paradossale, quella del cammello che passa per la cruna di una ago. Ebbene, è più facile che avvenga questo (cf. Mc 10,25). L’animale più grande può forse passare per lo spazio più stretto? Ma questo è più facile rispetto all’entrare di un ricco nel Regno di Dio! Lo sbigottimento dei discepoli si fa ancora più grande, ed essi gli chiedono: “Ma allora chi può essere salvato? (Mc 10,26). Chi potrà entrare nel Regno?”. Gesù legge sul volto dei discepoli quello sgomento, quell’aporia: se è così, allora per gli uomini c’è possibilità di vita eterna?
Segue allora il terzo sguardo di Gesù, espresso con lo stesso verbo (e la stessa forma verbale, il participio) usato per il giovane ricco: emblépsas (Mc 10,27). Questa volta fissa lo sguardo sui discepoli soltanto, quasi per dire: “Mi rivolgo a voi, dunque non dovete temere”. Ed ecco la sua parola: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (ibid.). Gli uomini non possono dare la salvezza, anche se la cercano. L’uomo da sé non può dare senso, non può trovare ciò che fa salva la vita. Resta sempre con “qualcosa che gli manca”, come il giovane ricco; resta sempre inadeguato a raggiungere la pienezza e la beatitudine; resta un mendicante che ha bisogno di essere guardato e amato, ma guardato nel cuore, non come vedono gli uomini, e amato per sempre, senza meritare l’amore. Solo Dio è capace di questo, solo il Signore…
Riecheggiano allora le parole di uno dei tre messaggeri alle querce di Mamre, di fronte all’incredulità di Sara nella promessa di un figlio: “C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?” (Gen 18,14). Per il discepolo occorre seguire Gesù che prega dicendo: “Abba! Padre! Tutto è possibile a te” (Mc 14,36), occorre credere che tutto è possibile a Dio!
Conclusione

Questo brano evangelico ha attraversato i secoli ed è giunto fino a noi come racconto di vocazione di un giovane: una vocazione abortita, una vocazione mancata, con l’esito di una grande tristezza. Questo dice la forza della nostra pagina per ognuno che si fa discepolo, che incontra nella sua vita il Signore.
 Ma io credo che questo testo riguardi non solo la vocazione di ciascuno di noi, bensì il nostro quotidiano, nel quale sempre cerchiamo il volto di Gesù che ci precede, lo sguardo di Gesù che ci discerne e ci parla. Gesù mi guarda, guarda ciascuno di noi, fissa lo sguardo sul nostro volto e guardandoci ci ama. Noi crediamo a questo sguardo? Siamo attenti a leggere questo sguardo nella sua gratuità, nel suo non voler sedurre, nel suo offrirci amore senza imporlo? Siamo disposti ad accogliere questa precedenza con cui il Signore ci ama e ci discerne, anche se noi non ci giudichiamo degni?
 Queste sono domande serie implicate nella nostra preghiera, nella nostra assiduità con il Signore: la qualità della nostra relazione con il Signore si gioca qui… Qui, in questo incrocio di sguardi, quello del Signore e il mio, assumo o non assumo la capacità di vedere il Signore che mi guarda attraverso gli occhi del povero, il volto del sofferente, lo sguardo bisognoso dell’ultimo. È sempre questione di saper “vedere” e sapere cosa significhi “l’essere visti”.
(fonte: http://www.monasterodibose.it/fondatore/conferenze-e-omelie/omelie-e-lectio/864-lectio-divina/8701-lo-sguardo-di-gesu-e-un-giovane-ricco-marco-10-17-22)

Ultima ripetizione di ritornello
Occhi come i tuoi,
sono rari da incontrare qui,
così chiari che m’accendono
il buio che ora c’è.
Occhi come Te.


Si Signore, i tuoi occhi è raro incontrarli qui, ma quando ciò avviene è una gioia indescrivibile.

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