sabato 2 gennaio 2016

All'ottavo giro

Dal CD "Vegliando le stelle", la canzone "All'ottavo giro" è una di quelle che raccontano una storia vera e non solo sentimenti. 


Quando si ascolta fa subito sorgere una domanda: perché l'ottavo giro?
Allora bisogna raccontare come è nata, cosa me l'ha ispirata.

Nel 2004 muore Eduardo, un nostro giovane papà di due bellissime ragazze e marito di Maria, una nostra catechista. Di ritorno da Lourdes il verdetto nefasto di un tumore che lo stroncò in pochi mesi. Egli aveva un diario, dove appuntava pensieri, paure, propositi... In una di queste pagine veniva descritto un fatto curioso. Una mattina era andato come al solito nella villa a correre o a passeggiare o per portare la cagnetta molly, a fare i suoi bisogni. La sua anima era in subbuglio perché era tra gli amministratori dell'Associazione per disabili AGVH. Si vede che qualcosa non lo convinceva e voleva mollarla. Mentre gira nella villa, parla dentro di sè con Dio e gli dice: "All'ottavo giro ho bisogno di un segno che mi faccia capire cosa devo fare: continuare nell'impegno o lasciare?". Conta e all'ottavo giro arriva il segno: incontra Vincenzo. Quest'ultimo era disabile egli stesso. Allora Eduardo chiede: "Dove vai?". Vincenzo risponde: "Vado all'AGVH ad aiutare gli altri". Poteva essere un incontro fortuito, ma per Eduardo fu il segno chiarissimo della presenza di Dio nella sua vita. Egli si manifestava in Vincenzo. Non è forse scritto: "Quello che fate al più piccolo dei fratelli lo fate a me"? Senza tentennamenti capì il da farsi.
Di seguito le foto delle pagine del Diario...






Prima  e seconda strofa con special
Giro e rigiro, la mia vita non va.
Un altro giro e la luna, scomparirà.
 
Giro e rigiro, risposta non ho:
perché gli ultimi non hanno più voce, chissà!

Ho chiesto a quel Dio, che esiste lassù,
 
di darmi un segno perché ne ho bisogno.

La vita é una ruota che gira, come la Terra e la Luna da tempo immemorabile e così la vita degli uomini. Quella di Eduardo quella mattina era un pò cigolante, aveva bisogno di 'manutenzione divina'. I giri nella villa di circa 800 passi cominciavano che l'alba ancora non c'era per poi protrarsi coi primi bagliori. La luna sbiancava e il sole dava il suo benvenuto. Riflettendo su questo scorrere del tempo e degli eventi della sua vita di padre e di impegnato nel sociale, Eduardo, giocava a nascondino con Dio, forse per una bella confidenza che aveva acquistato ultimamente o per un necessario bisogno di trovare sfogo nella sua anima ai tanti perché e per come. 
Gli "ultimi", i suoi amici disabili, quante lotte per loro. Una volontà ferrea a voler dare risposta agli infiniti "perché?", ma uno ne risolveva, cento ne ricomparivano. Umano allora il chiedersi: "Perché?". Se non altro, Egli stesso l'ha gridato dalla Croce: "Perché mi hai abbandonato". In quel grido, il grido dell'umanità sofferente.
Primo Ritornello 

All’ottavo giro lo voglio incontrare,
all’ottavo giro gli devo parlare
non posso aspettare.
C’è un muro che deve crollare.
All’ottavo giro lo voglio vedere,
all’ottavo giro lo voglio sentire
non posso aspettare,
che la vita ci viva e ci sfugga di mano.
 Arriva l'ottavo giro ecco Vincenzo, non deambula bene, né articola con chiarezza la parola, ma il suo esserci rende un servizio a Dio, che attraverso di lui, si fa presente alla coscienza di Eduardo.
In un mondo dove si costruiscono muri dopo averne fatto crollare uno, quello di Berlino, che divideva l' occidente dall'oriente è davvero un'amara constatazione dell'involuzione verso cui stiamo andando. L'Europa si chiude e innalza muri Per Eduardo il muro delle resistenze cade, si riapre un varco nel suo cuore dove Dio grida e si fa riconoscere in Vincenzo. L'attesa è finita solo dopo sette giri di villa comunale. Un tempo brevissimo se vogliamo che ha coinciso coi tempi di Eduardo. Non c'è tempo da perdere, perché la vita sfugge di mano come sabbia tra le dita... L'impegno per i disabili riprende. Quest'esperienza ci sprona a non chiudersi, ma aprirsi. Le novità di Dio sono davvero eccezionali se lasciamo che entrino, ma bisogna far cadere le tante paure che innescano chiusure che col tempo diventano trappole disumanizzanti, come i tanti campi profughi nelle periferie di zone dove ci sono conflitti per interessi economici, in nome dei quali l'umanità non ha nessun valore, le persone diventano solo numeri.
La vita dunque, bisogna viverla, la si vive se la si consuma per un ideale grande, viceversa diventiamo vittime e artefici di disumanizzazione. Voglio sperare che i popoli presto si sveglino e protestino contro tutte le politiche atte a disumanizzare. L'economia mondiale in mano a pochi, sta piegando verso la povertà intere nazioni. Così Papa Francesco, attraverso la spiegazione della parabola di Gesù, sul ricco Epulone, fa capire cosa sta accadendo nel mondo. Ascoltiamolo.

"Ignorare il povero è ignorare Dio"
 Terza strofa con special
Giro e rigiro, la mia strada dov’è?
Si apre a un cielo insperato, leggero, quaggiù.
Ha risposto quel Dio: “Non cercarmi lassù,
ma nel grido del mondo, dell’umanità.
Ecco dove trovarlo il Dio, che si nasconde e tace e parla solo dove e quando ce n'è bisogno, sul silenzio duro del dolore, per poter dire l'ultima parola di Resurrezione, che non udremo certo di qua... Bisogna fidarsi dei tanti che sono andati e ritornati e hanno visto e riportato visioni di Angeli, di persone care nella luce... Dio c'è e ci attende a braccia aperte o con uno sguardo di rimprovero...
Quanta fede occorre e allora bisogna chiederla: "Dammi più fede"; "Aiutami nella mia incredulità".  Eppure Lui ha detto: "A chi mi ama mi manifesterò", allora, avrà pensato Eduardo: "Fatti vedere..." e poi "Ma sì, in Vincenzo ci sei Tu..."; "Ho capito, così farò...". L'impegno per l'associazione per i disabili riprende a pieno ritmo coinvolgendo anche tutta la famiglia... 
Ha interpretato con la luce della fede, la presenza di Gesù in Vincenzo. Ha ascoltato bene, non ha cercato segni straordinari, ma ha interpretato un segno ordinario: in ogni fratello c'è Gesù, che ha detto: "Quello che fate al più piccolo dei miei fratelli l'avete fatto a me". I veri cristiani non vanno in cerca di fenomeni da baraccone, imparano a cogliere la presenza di Dio nell'ordinario. In fondo i fratelli che più hanno bisogno, li abbiamo sempre con noi. San Giovanni ancora ci esorta: "Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1Gv 4, 20) e ancora: "Da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, né lo è chi non ama il suo fratello" (1Gv 3, 10). Che altro dobbiamo capire? Dove andare a cercare?

Secondo ritornello
All’ottavo giro ho capito chi eri,
all’ottavo giro mi hai parlato sul serio
e non hai aspettato.
Il muro è crollato davvero.
All’ottavo giro ti ho visto in Vincenzo,
all’ottavo giro ho sentito il tuo grido,
che non può aspettare, che la vita ci viva e ci sfugga di mano.
 La Vita quella con la "V" passa e ti da le occasioni per rivelarsi, incontrarti. Passa perché bussa e vuole un cenno di adesione, uno spiraglio, una finestra aperta per donarti la luce che rischiara il senso dell'esistenza. Ma se bussa e tu non apri, non ti fa violenza. Tu continuerai a rimanere al buio ed ESSA, la VITA, ti sfuggirà di mano... Riporto di seguito quanto detto da Papa Francesco durante l'angelus del 21 dicembre 2015: “Maria ci insegna a cogliere il momento favorevole in cui Gesù passa nella nostra vita e chiede una risposta pronta e generosa. E Gesù passa… Il Verbo, che trovò dimora nel grembo verginale di Maria, nella celebrazione del Natale viene a bussare nuovamente al cuore di ogni cristiano: passa e bussa. Ognuno di noi è chiamato a rispondere, come Maria, con un “sì” personale e sincero, mettendosi pienamente a disposizione di Dio e della sua misericordia, del suo amore“. (Papa Francesco Angelus 21 Dicembre 2015).
Proprio così, Dio passa, se perdi l'attimo ...  e puoi giocarti l'Eternità.
Alla prossima canzone per Dare e cantare Dio...

giovedì 31 dicembre 2015

Mi hai amato


Dal CD "In fondo all'Anima" (2015), questa canzone mi è molto cara. L'ho scritta a marzo del 2014 e subito l'ho voluta arrangiare e inserirla nel CD.



Cosa me l'ha ispirata?

Il continuo sbarco di profughi africani a Lampedusa, il giro a largo per l'Egeo di siriani che scappano dalla guerra e le risposte inadeguate delle politiche occidentali che devono guadagnare anche sulle sventure degli altri. Un grido dunque, l'ennesimo di questa umanità sempre più alla deriva. Quante volte il dolore di questa gente mi bussa al cuore e mi trova stanco di assistere alle immagini di naufragi, naufraghi e corpi di bambini senza vita sulle spiagge delle nostre povere sicurezze...

Lo straniero è mio fratello, anche se diverso da me, per colore della pelle, della religione, delle convinzioni ideali e per stili di vita... La paura della diversità e l'appiattimento dell'omologazione sono gli estremi che non dovrebbero riguardare noi cristiani.

E' venuto a fare proprio questo, Gesù-Dio, umanandosi.

 L'esempio di accoglienza che Gesù ci ha lasciato, verso tutti, senza discriminare nessuno, con la sola clausola, che esige di ripercorrere i suoi stessi passi, non per omologarci, ma per ritrovare la "Via" dove le diversità sono ricchezza, e dove le confusioni create dal tentatore, fanno deviare dall'originale creato da Dio.
La Parola di Vita del mese di Maggio 2016 ci invita ad amare i popoli altrui come il proprio, ammesso che lo amiamo il nostro popolo...



Cerchiamo ora di spiegare il testo.

Mi hai amato

Il titolo dovrebbe avere un bel punto interrogativo. E' la domanda che Gesù ci farà all'incontro con Lui. Ma è bello anche vederlo come affermazione. Ossia: "Sì, Signore... ci ho provato ad amarti in ogni prossimo..."



Prima strofa - prima parte

Il tempo passa e va, verso l’Eternità.
Dio c’incontrerà e sarà gioia o dolore.

Proprio così il tempo passa inesorabile per andare verso l'Eternità: lì siamo diretti. Anche gli atei ci arriveranno per constatare la grande verità anche su di loro. Leggendo la biografia della mistica di Paravati, Natuzza Evolo, mi ha tanto impressionato il dono che Dio le aveva dato, quello della xenoglossia.


 Natuzza Evolo - trasmissione di Porta a Porta a un anno dalla morte - terza parte...


 Natuzza Evolo - trasmissione di Porta a Porta a un anno dalla morte - settima parte.
Altre parti si trovano su Youtube...

Alcune anime di "trasumanati" potevano parlare attraverso di lei. Illustri personaggi della nostra cultura prendono la parola per comando del Signore. Dante Alighieri dice di aver avuto 500 anni di Purgatorio per aver giudicato irresponsabilmente nella Divina Commedia;  e un giornalista cattolico dalla firma importante, dannato e all'inferno per aver omesso di confessare dei peccati mortali, non avendone avuto il tempo di confessarli e Benedetto Croce... Riporto la pagina dal libro di Luciano regolo, Il segreto di una vita... 


Dal libro di Luciano Regolo, Il miracolo di una vita...


Queste storie ci devono far pensare, meditare, che il tempo che ci è dato è prezioso e non va sciupato, banalizzato, ma vissuto bene per custodire il Dio ricevuto nel Battesimo e per meritarsi un giorno "il posto" che Gesù ci ha promesso in Paradiso...


Prima strofa - seconda parte

Il tempo passa e va, inesorabile.
Meglio prepararsi e vivere per incontrare Dio.

Prepararsi dunque, all'incontro, con ogni sforzo, con ogni volontà per non lasciarsi sorprendere all'improvviso dall'inesorabile evento: la morte.
Dice Gesù:
«Ho dettato un’Ora Santa per coloro che lo desideravano. Ho svelato la mia Ora di Agonia del Getsemani per darti un gran premio, perché non vi è atto di fiducia più grande fra amici che quello di svelare all’amico il proprio dolore. Non è il riso e il bacio prova suprema d’amore, ma il pianto e il dolore reso noto all’amico. Tu, amica mia, lo hai conosciuto. Per quando eri nel Getsemani. Ora sei sulla Croce. E senti pene di morte. Appoggiati al tuo Signore mentre ti dà un’Ora di preparazione alla morte.

I.
“Padre mio, se è possibile passi da me questo calice”.
Non è una delle sette Parole della Croce. Ma è già parola di passione. È il primo atto della Passione che inizia. È la necessaria preparazione per le altre fasi dell’olocausto. È invocazione al Dator della vita, rassegnazione, umiltà, è orazione in cui si intrecciano, nobilitandosi la carne e perfezionandosi l’anima, la volontà dello spirito e la fralezza della creatura che ripugna alla morte.
“Padre!...”. Oh! è l’ora in cui il mondo si allontana dai sensi e dal pensiero mentre si avvicina, come meteora che scende, il pensiero dell’altra vita, dell’ignoto, del giudizio. E l’uomo, sempre un pargolo anche se centenario, come un bambino spaurito, rimasto solo, cerca il seno di Dio.
Marito, moglie, fratelli, figli, genitori, amici... Erano tutto finché la vita era lontana dalla morte, finché la morte era un pensiero nascosto sotto nebbie lontane.
Ma adesso che la morte esce da sotto al velo e avanza, ecco che per un capovolgimento di situazione, sono i genitori, i figli, gli amici, i fratelli, il marito, la moglie che perdono i loro tratti decisi, il loro valore affettivo, e si offuscano davanti all’imminente avanzarsi della morte. Come voci che si affievoliscono per la distanza, ogni cosa della terra perde vigore mentre ne acquista ciò che è al di là, ciò che fino a ieri pareva così lontano... E un moto di paura colpisce la creatura.
Se non fosse penosa e paurosa, la morte non sarebbe l’estremo castigo e l’estremo mezzo per espiare concesso all’uomo. Sinché non vi fu la Colpa, la morte non fu morte ma dormizione. E dove non fu colpa non fu morte come per Maria Ss. Io morii perché su Me era tutto il Peccato, e ho conosciuto il ribrezzo del morire.
“Padre!”. Oh! questo Dio tante volte non amato, o amato ultimo, dopo che il cuore ha amato parenti e amici, od ha avuto più indegni amori per creature di vizio, o ha amato le cose come dèi, questo Dio tanto sovente dimenticato, e che ha permesso di dimenticarlo, che ha lasciato liberi di dimenticarlo, che ha lasciato fare, che è stato irriso talora, tal’altra maledetto, tal’altra negato, ecco che risorge nel pensiero dell’uomo e riprende i suoi diritti. Tuona: “io sono!” e per non far morire di spavento con la rivelazione della sua potenza, medica quel potente “io sono” con una parola soave: “Padre”. “io sono Padre tuo”. Non è più terrore. È abbandono il sentimento che dà questa parola. Io, io che dovevo morire, che comprendevo cosa è il morire, dopo avere insegnato agli uomini a vivere chiamando “Padre” l’Altissimo Jeovè, ecco che vi ho insegnato a morire senza  terrore, chiamando “Padre” il Dio che fra gli spasimi dell’agonia risorge o si fa più presente allo spirito del moribondo.
“Padre!”. Non temete! Non temetelo, voi che morite, questo Dio che è Padre! Non viene avanti, giustiziere armato di registri e di scure, non viene avanti cinico strappandovi alla vita e agli affetti. Ma viene aprendovi le braccia, dicendo: “Torna alla tua dimora. Vieni al riposo. Io ti compenserò, ad usura di ciò che qui lasci. E, Io te lo giuro, in seno a Me sarai più attivo per coloro che lasci che rimanendo quaggiù in lotta affannosa e non sempre rimunerata”.
Ma la morte è sempre dolore. Dolore per la sofferenza fisica, dolore per la sofferenza morale, dolore per la sofferenza spirituale. Deve essere dolore per essere mezzo di ultima espiazione nel tempo, lo ripeto. E in un ondeggiare di nebbie, che offuscano e scoprono in alterna vicenda ciò che nella vita si è amato, ciò che ci rende paurosi dell’al di là, l’anima, la mente, il cuore, come nave presa da gran tempesta, passano - da zone calme già nella pace dell’imminente porto ormai vicino, visibile, così sereno che già dà una quiete beata e un senso di riposo simile a quello di chi, terminata quasi una fatica, pregusta la gioia del prossimo riposo - passano a zone in cui la tempesta li scrolla, li colpisce, li fa soffrire, spaurire, gemere. È di nuovo il mondo, l’affannoso mondo con tutti i suoi tentacoli: la famiglia, gli affari; è l’angoscia dell’agonia, è lo spavento dell’ultimo passo... E poi? E poi?... La tenebra investe, soffoca la luce, sibila i suoi terrori...
Dove è più il Cielo? Perché morire? Perché dover morire? E l’urlo gorgoglia già in gola: “Non voglio morire!”.
No, fratelli miei che morite perché giusto è il morire, santo è il morire essendo voluto da Dio. No. Non gridate così! Quell’urlo non viene dalla vostra anima. È l’Avversario che suggestiona la vostra debolezza per farvelo dire. Mutate l’urlo ribelle e vile in un grido d’amore e di fiducia: “Padre, se è possibile passi da me questo calice”. Come l’arcobaleno dopo il temporale, ecco che quel grido riporta la luce, la quiete. Rivedete il Cielo, le sante ragioni del morire, il premio del morire, ossia il ritornare al Padre, e allora comprendete che anche lo spirito, anzi, che lo spirito ha dei diritti più grandi della carne perché esso è eterno e di natura soprannaturale, e ha perciò la precedenza sulla carne, e allora dite la parola che è assoluzione a tutti i vostri peccati di ribellione: “Però non la mia ma la tua volontà sia fatta”.
Ecco la pace, ecco la vittoria. L’angelo di Dio si stringe a voi e vi conforta perché avete vinto la battaglia, preparatoria a far della morte un trionfo.

II
“Padre, perdona loro”.
È il momento di spogliarsi di tutto quanto è peso per volare più sicuri a Dio. Non potete portare con voi né affetti né ricchezze che non siano spirituali e buone.
E non c’è uomo che muoia senza avere da perdonare qualcosa ad uno od a molti suoi simili e in molte cose, per molti motivi. Quale l’uomo che giunga a morire senza aver patito l’acre di un tradimento, di un disamore, di una menzogna, un’usura, un danno qualsiasi, da parenti, consorti, o amici? Ebbene: è l’ora di perdonare per essere perdonati. Perdonare completamente, lasciando andare non solo il rancore, non solo il ricordo, ma anche la persuasione che il nostro motivo di sdegno era giusto. È l’ora della morte. Il tempo, il mondo, gli affari, gli affetti hanno fine, divengono “nulla”. Un solo vero esiste ormai: Dio. A che dunque portare oltre le soglie ciò che è del di qua delle soglie?
Perdonare. E poiché giungere alla perfezione d’amore e di perdono, che è il neppur più dire: “Eppure io avevo ragione”, è molto, troppo difficile per l’uomo, ecco passare al Padre l’incarico di perdonare per noi. Dargli il nostro perdono, a Lui che non è uomo, che è perfetto, che è buono, che è Padre, perché Egli lo depuri nel suo Fuoco e lo dia, divenuto perfetto, a chi merita il perdono.
Perdonare, ai vivi e ai morti. Si. Anche ai morti che sono stati cagione di dolore. La loro morte ha levato molte punte al corruccio degli offesi, talora le ha levate tutte. Ma il ricordo dura ancora. Hanno fatto soffrire, e si ricorda che hanno fatto soffrire. Questo ricordo mette sempre un limite al nostro perdono. No. Ora non più. Ora la morte sta per levare ogni limite allo spirito. Si entra nell’infinito. Levare perciò anche questo ricordo che limita il perdono. Perdonare, perdonare perché l’anima non abbia peso e tormento di ricordi e possa essere in pace con tutti i fratelli viventi o penanti, prima di incontrarsi col Pacifico.
“Padre, perdona loro”. Santa umiltà, dolce amore del perdono dato, che sottintende perdono chiesto a Dio per i debiti verso Dio e verso il prossimo che ha colui che chiede perdono per i fratelli. Atto d’amore. Morire in un atto d’amore è avere l’indulgenza dell’amore. Beati quelli che sanno perdonare in espiazione di tutte le loro durezze di cuore e delle colpe dell’ira.

III
“Ecco tuo figlio”.
Ecco tuo figlio! Cedere ciò che è caro, con previdente e santo pensiero. Cedere gli affetti, e cedersi a Dio senza resistenza. Non invidiare chi possiede ciò che lasciamo. Nella frase potete affidare a Dio tutto quanto vi sta a cuore e che abbandonate, e tutto quanto vi angustia, anche il vostro stesso spirito.
Ricordare al Padre che è Padre. Mettergli nelle mani lo spirito che torna alla Sorgente. Dire: “Ecco. Sono qui. Prendimi con Te perché mi dono. Non cedo per forza di cose. Mi dono perché ti amo come figlio che torna a suo padre”. E dire: “Ecco. Questi sono i miei cari. Te li dono. Questi sono i miei affari, quegli affari che qualche volta mi hanno fatto essere ingiusto, invidioso del prossimo, e che mi hanno fatto dimenticare Te perché mi parevano - lo erano, ma io lo credevo più che non fossero - mi parevano di una importanza capitale per il benessere dei miei, per il mio onore, per la stima che mi attiravano. Ho creduto anche che solo io fossi capace di tutelarli. Mi sono creduto necessario per compirli. Ora vedo... Non ero che un congegno infinitesimale nel perfetto organismo della tua Provvidenza, e molte volte un congegno imperfetto che guastava il lavoro dell’organismo perfetto. Ora che le luci e le voci del mondo cessano e tutto si allontana, vedo... sento... Come le mie opere erano insufficienti, logore, incomplete! Come erano dissonanti dal Bene! Ho presunto di essere io un grande ‘che’. Tu eri - previdente, provvidente, santo - che correggevi i miei lavori e li rendevi utili ancora. Ho presunto. Talora ho anche detto che non mi amavi perché non mi riusciva, come agli altri che invidiavo, ciò che io volevo. Ora vedo. Miserere di me!”.
Umile abbandono, riconoscente pensiero alla Provvidenza in riparazione delle vostre presunzioni, avidità, invidie e sostituzioni di Dio con povere cose umane, con le golosità delle ricchezze diverse.

IV
“Ricordati di me”.
Avete accettato il calice di morte, avete perdonato, avete ceduto ciò che era vostro, persino voi stessi. Avete molto mortificato l’io dell’uomo, molto liberato l’anima da ciò che spiace a Dio: dallo spirito di ribellione, dallo spirito di rancore, dallo spirito di avidità. Avete ceduto la vita, la giustizia, la proprietà, la povera vita, la più povera giustizia, le tre volte povere proprietà umane, al Signore. Novelli Giobbe, siete languenti e spogli davanti a Dio. Potete allora dire: “Ricordati di me”.
Non siete più niente. Non salute, non fierezza, non ricchezza. Non possedete più neppure voi stessi. Siete bruco che può divenire farfalla o marcire nella carcere del corpo per un’ultima estrema ferita allo spirito. Siete fango che torna fango o fango che si muta in stella a seconda che preferite scendere nella cloaca dell’Avversario o ascendere nel vortice di Dio. L’ultima ora decide della vita eterna. Ricordatevelo. E gridate: “Ricordati di me!”.
Dio attende quel grido del povero Giobbe per colmarlo di beni nel suo Regno.
È dolce ad un Padre perdonare, intervenire, consolare. Non attende che questo grido per dirvi: “Sono con te, figlio. Non temere”. Ditela questa parola per riparare a tutte le volte che vi dimenticaste del Padre o foste superbi.

V
“Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Talora sembra che il Padre abbandoni. Non si è che nascosto per aumentare l’espiazione e dare maggior perdono. Può l’uomo lamentarsi con ira di ciò, egli che infinite volte ha abbandonato Iddio? E deve disperare perché Dio lo prova?
Quante cose avete messo nel vostro cuore che non erano Dio! Quante volte foste inerti con Lui! Con quante cose lo avete respinto e scacciato. Avete empito il cuore di tutto. Lo avete poi ferrato e ben chiavistellato perché temevate che Dio entrando potesse disturbare il vostro quietismo accidioso, purificare il suo tempio cacciandone gli usurpatori. Finché foste felici, che vi importava di avere Dio? Dicevate: “Ho già tutto perché me lo sono meritato”. E quando felici non foste, non lo fuggiste mai Dio facendolo causa di ogni vostro male?
Oh! figli ingiusti che bevete il veleno, che entrate nei labirinti, che precipitate nei burroni e nei covi di serpi e altre fiere, e poi dite: “È Dio il colpevole”, se Dio non fosse Padre e Padre santo, che dovrebbe rispondere al vostro lamento delle ore dolorose quando nelle felici lo dimenticaste? Oh! figli ingiusti che pieni di colpe pretendereste di essere trattati come il Figlio di Dio non fu trattato nell’ora dell’olocausto, dite, chi fu il più abbandonato? Non è il Cristo, l’innocente, Colui che per salvare accettò l’abbandono assoluto di Dio dopo averlo amato attivamente sempre? E non avete voi nome di “cristiani”? E non avete il dovere di salvare almeno voi stessi?
Nell’accidia torbida che di sé si compiace e teme disturbo dell’accogliere l’Attivo, non c’è salvezza. Imitate allora Cristo, gettando questo grido nel momento di angoscia più forte. Ma fate che la nota del grido sia nota di mansuetudine e di umiltà, non tono di bestemmia e rimprovero. “Perché mi hai Tu abbandonato, Tu che sai che senza di Te nulla io posso? Vieni, o Padre, vieni a salvarmi, a darmi forza di salvare me stesso perché orrende sono le strette di morte e l’Avversario me ne aumenta ad arte la potenza, mi fischia che Tu non mi ami più. Fatti sentire, o Padre, non per i miei meriti ma proprio perché sono un nulla senza meriti che non sa vincere se è solo e che comprende, ora, che la vita era lavoro per il Cielo”.
Guai ai soli, è detto4. Guai a chi è solo nell’ora della morte, solo con se stesso contro Satana e la carne! Ma non temete. Se chiamerete il Padre, Egli verrà. E questo umile invocarlo espierà i vostri colpevoli torpori verso Dio, le false pietà, gli amori sregolati dell’io, che fanno accidiosi.

VI
“Ho sete”.
Sì, veramente, quando si è capito il vero valore della vita eterna rispetto al metallo falso della vita terrena, quando la purificazione del dolore e della morte è accettata come santa ubbidienza, quando si è cresciuti in sapienza e in grazia presso Dio in poche ore, in pochi minuti talora, più che non si sia cresciuti in molti anni di vita, viene una sete profonda di acque celesti, di celesti cose. Le lussurie di tutte le seti umane sono vinte. Ma viene la soprannaturale sete di possedere Iddio.
La sete dell’amore. L’anima aspira di bere l’amore e di esserne bevuta. Come un’acqua che è piovuta al suolo e non vuole divenire fango ma tornare nuvola, l’anima ora ha sete di salire al luogo dal quale discese. Quasi rotte le muraglie carnali, la prigioniera sente le aure del Luogo d’origine e vi anela con tutta se stessa.
Quale quel pellegrino esausto che vedendo, dopo anni, ormai prossimo il luogo natio, non raduna le forze e prosegue, svelto, tenace, incurante di tutto che non sia arrivare là da dove parti un giorno e tutto il vero suo bene vi lasciò, ed è certo ora  di trovarlo e di gustarlo più ancora, perché fatto esperto del povero bene, che non sazia, trovato nel luogo di esilio?
“Ho sete”. Sete di Te, mio Dio. Sete di averti. Sete di possederti. Sete di darti. Perché sulle soglie fra la terra e il Cielo già si sa capire l’amore di prossimo come va capito, e viene un desiderio di agire per dare Dio al prossimo che lasciamo. La santa operosità dei santi che, granelli morti che divengono spiga, si effondono in amore per dare amore e per fare amare Dio da chi ancora è nelle lotte della terra.
“Ho sete”. Non c’è più che un’acqua che sazi, giunta l’anima alle soglie della Vita:
l’Acqua viva, Dio stesso.
L’Amore vero: Dio stesso. Amore contrapposto ad egoismo. L’egoismo è morto prima della carne nei giusti, e regna l’amore. E l’amore grida: “Ho sete di Te e di anime. Salvare. Amare. Morire per essere libero di amare e di salvare. Morire per nascere. Lasciare per possedere. Rifiutare ogni dolcezza, ogni conforto perché tutto è vanità quaggiù, e l’anima vuole solo tuffarsi nel fiume, nell’oceano della Divinità, bere di Essa, essere in Essa, senza più sete, perché la Fonte d’Acqua della Vita l’avrà accolta”.
Avere questa sete per riparare al disamore e alla lussuria.

VII
“Tutto è compiuto”.
Tutte le rinunce, tutte le sofferenze, tutte le prove, le lotte, le vittorie, le offerte: tutto. Ormai non c’è più che da presentarsi a Dio. Il tempo concesso alla creatura per divenire un dio, a Satana per tentarla, è compiuto. Cessa il dolore, cessa la prova, cessa la lotta. Restano soltanto il giudizio, l’amorosa purificazione, o viene, beatissima, la dimora immediata5 del Cielo. Ma quanto è terra, quanto è volontà umana, ha fine.
Tutto è compiuto! La parola della completa rassegnazione o del gioioso riconoscimento di aver finito la prova e consumato l’olocausto. Non contemplo coloro che muoiono in peccato mortale, i quali non dicono, essi, “tutto è compiuto”, ma con un urlo di vittoria e un pianto di dolore lo dicono, per loro, l’angelo delle tenebre, vittorioso, e l’angelo custode, vinto. Io parlo ai peccatori pentiti, ai buoni cristiani o agli eroi della virtù. Questi, sempre più vivi nello spirito man mano che la morte prende la carne, mormorano, o gridano, rassegnati o gioiosi: “Tutto è consumato. Il sacrificio ha termine. Prendilo per mia espiazione! Prendilo per mia offerta d’amore!”. Così dicono gli spiriti, con la penultima parola, a seconda che subiscano la morte per legge comune o, anime vittime, la offrano per volontario sacrificio. Ma tanto le une che le altre, giunte ormai alla liberazione dalla materia, reclinano lo spirito sul seno di Dio dicendo: “Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio”.
Maria, sai cosa è spirare con questa elevazione fatta viva nel cuore? È spirare nel bacio di Dio. Vi sono molte preparazioni alla morte. Ma credi che questa, sulle mie parole, è nella sua semplicità la più santa.»


(A questo punto della canzone c'è un pezzo musicale che fa meditare...)

 
Seconda strofa - unica parte


E lì ci chiederà: “Avevo fame e sete,
ero nudo, carcerato, immigrato, clandestino… e tu…

Le domande dell'esame finale sono scritte in Matteo 25. Sappiamo le domande e a queste dovremo rispondere. La carità concreta ci distinguerà, non le parole, nè gli inganni... Un mio amico mi fece notare che tra le opere di misericordia citate nella canzone, manca quella "agli ammalati"... In una canzone non si può scrivere tutto l'importante è sapere che se accogli qualsiasi fratello in nome di Dio, ti rotrovi ad aver accolto Dio stesso, insomma "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me." Mt 25, 40. Qualsiasi atto d'amore dunque...


Parola di Vita di aprile 2016: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me." Mt 25, 40...

Primo ritornello


Se mi hai amato, se mi hai amato
non potrai scappare,
vedrai la tua verità
se hai amato o no,
e sarà buio o nebbia, luce infinita
se mi hai amato o no, se mi hai amato o no….

Cos'altro aggiungere? Bisogna meditarle tutti i giorni queste parole. Davanti a Lui dopo l'esame, vedremo veramente chi siamo e sarà quello che sarà...


Terza strofa con prima e seconda parte

Beati noi se amiamo figli del Padre siamo
e troveremo, capiremo che la vita quaggiù è solo un attimo.

E lì ci chiederà: “Avevo fame e sete,
ero nudo, carcerato, immigrato, clandestino… e tu…

Proprio perché figli, siamo amati con la misura di Dio: fino a dare per noi la VITA. La vita quaggiù anche se durasse 130 anni, è un attimo. Siamo per il Cielo dunque, e dobbiamo prepararci all'incontro. Non perdiamo tempo in altre cose, viviamo solo per questo. Quanti martiri cristiani hanno vissuto con la speranza del Cielo e il Cielo si è aperto. Santo Stefano mentre moriva vedeva il Cielo aperto e il Signore Gesù assiso nella sua Gloria...


 La canzone si conclude con il ritornello che è un ulteriore richiamo a prendere sul serio la vita di quaggiù che spesso va via tra mille cose INUTILI...   Buon ascolto...

P.S.   ESERCIZIODELLA BUONA MORTE

Tutta la nostra vita, o miei cari giovanetti, dev'essere una preparazione a fare una buona morte.
 Per conseguire questo fine importantissimo giova assai praticare il cosiddetto Esercizio della buona morte, il quale consiste nel disporre in un giorno di ogni mese tutti i nostri affari spirituali e temporali, come se di lì a poco dovessimo realmente morire.
 Il modo pratico di fare tale Esercizio è il seguente:
 Fissare per esso (un giorno del mese: l'ultimo giorno di ogni mese) (...);
fare fin dal giorno o dalla sera precedente qualche riflessione sulla morte, che forse è vicina e potrebbe anche sopraggiungere all'improvviso;
pensare come si è passato il mese antecedente, e soprattutto se vi è qualche cosa che turbi la coscienza e lasci inquieta l'anima sulla sorte a cui andrebbe incontro se allora dovesse presentarsi al tribunale di Dio;
e al domani fare una Confessione e Comunione, come se si fosse veramente in punto di morte.
 Siccome poi potrebbe anche succedere che doveste morire di morte subitanea, o per una disgrazia o malattia che non vi lasciasse il tempo di chiamare un prete e di ricevere i Santi Sacramenti,
così vi esorto a far sovente durante la vita, anche fuori della Confessione, atti di dolore perfetto dei peccati commessi ed atti di perfetto amor di Dio, perché un solo di tali atti, congiunto al desiderio di confessarsi, può bastare in ogni tempo, e specialmente negli estremi momenti, a cancellare qualsiasi peccato e aprirci il Paradiso.
 Vi esorto pure a fare di quando in quando il proposito d'accettare, per amor di Dio, dalle, sue sante mani, qualsiasi genere di morte gli piacerà mandarvi, con tutte le sue angosce, pene e dolori.   (Tratto da: "Il giovane provveduto" - Don Bosco).

... Alla prossima canzone per dare e cantare Dio.

sabato 19 dicembre 2015

A Joy

La canzone "A Joy" è una bella canzone che tocca un tema particolare: la prostituzione. Si trova nel CD "In fondo all'anima" (luglio 2015).

Ascoltiamo la canzone...



La canzone nasce dall'esperienza condivisa con altri giovani della parrocchia, dove sono parroco. Ero appena arrivato nel 2000 e alcuni di loro mi invitarono ad andare a trovare sulla strada queste ragazze di colore. Portavamo loro biscotti, latte, thè ... Tra noi c'erano delle ragazze che volentieri venivano ed invitavano queste ragazze di colore a stare la domenica con noi. Sono venute anche a Messa una volta. Mi sembrava di cogliere un certo disagio. La prima volta che andai, mi fecero una grande impressione e le loro storie raccontatemi dagli altri, che già le conoscevano, mi prepararono a vivere un'esperienza di incontro con Gesù reso schiavo dall'ingordigia umana. I senza Dio sono demoni senza dignità. Quell'esperienza si stampò nel profondo e diventando canzone, voleva e vuole dare voce al grido di quelle povere ragazze.

Dal punto di vista musicale la bossanova, ritmo sudamericano, fa da sfondo al racconto doloroso nella canzone. Inoltre ho preferito tenermi su di una tonalità inusuale per me, Fa-, con cui l'estensione della mia voce non raggiunge picchi esagerati come solitamnte mi piace fare.


Prima strofa

Come la notte scura è nera la tua pelle
e mentre i tuoi capelli ridono con te
ripenso al tuo dolore che non ha più sapore.

Davvero dopo tante notti all'addiaccio, il dolore di queste persone diventa opaco, senza volto, o col volto dei tanti che non se ne fregano di usare un corpo per un piacere che non sarà mai amore. Anche il sapore del sesso lo sentono sempre più come schiavitù, slegato dai sentimenti, dalle emozioni. Subiscono "per forza" una condizione mai scelta e mai voluta. Sanno di non avere più dignità e fanno fatica a rientrare nella logica di una realtà più umana. Prima della strada, ci raccontavano, avevano subito ogni tipo di violenza, fisica, morale e spirituale. Basti pensare a come venivano ricattate: "Se non fai come ti diciamo noi, manderemo col woodo gli spiriti a sterminare la famiglia". Un dolore totale, che per viverlo ci vuole la forza del voler esistere a tutti i costi. Un dolore cupo, per poter vivere morte. La notte, dunque, è oscura come la loro pelle, se non di più...

Le notti spirituali sono ancora più dolorose come ci raccontano tanti mistici. E ce n'è una di tutta l'umanità che va superata con un radicamento a Gesù Crocifisso (cfr: http://www.indaco-torino.net/gens/34_07_03.htm articolo di Chiara Lubich). Così si legge nell'articolo di cui ho riportato il link:
"Notte collettiva e culturale
Se consideriamo come è oggi il mondo, vediamo che si presenta veramente come è stato descritto da Benedetto XVI, poco prima di essere eletto Papa.
Egli così si esprimeva: «Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». Fin qui il cardinale Ratzinger.
Giovanni Paolo II non aveva esitato a fare un parallelo tra la notte oscura di Giovanni della Croce e le tenebre del nostro tempo, che, come una sorta di notte collettiva, sono calate sempre più sull’umanità.
Dio, infatti, non è più, soprattutto nell’Occidente, l’interlocutore a cui ci rivolgiamo per risolvere i problemi e i quesiti che ci stanno a cuore. Non condivide più il nostro vivere quotidiano.
(...) 
Gesù Crocifisso e abbandonato
E, sempre nella Novo millennio ineunte, Giovanni Paolo II ha indicato la stella per questo cammino: Gesù crocifisso e abbandonato. «Non finiremo mai – dice – di indagare l’abisso di questo mistero (…): “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34)». E spiega: «“abbandonato” dal Padre, egli si “abbandona” nelle mani del Padre».
Ne ha parlato anche il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, nei testi per la Via crucis del 1994 al Colosseo: «Gesù, il Verbo incarnato, – scrive – ha percorso la distanza più grande che l’umanità perduta possa percorrere: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”».
Gesù abbandonato è stato, quindi, proposto da Giovanni Paolo II a tutta la Chiesa, ma non solo da lui.
Qualche santo antico e alcuni teologi moderni di varie Chiese l’hanno già offerto alla cristianità. E c’è il nostro Movimento, per il quale Gesù abbandonato è centrale.
Ed è proprio questo che oggi vorremmo proporre a tutti: Gesù che grida a gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15, 34).
È la sua passione interiore, è la sua notte più nera, è il culmine dei suoi dolori. È il dramma di un Dio che grida: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Infinito mistero, dolore abissale che Gesù ha provato come uomo e che dà la misura del suo amore per gli uomini, in quanto ha voluto prendere su di sé la separazione che li teneva lontani dal Padre e tra loro, colmandola. E così ci ha redenti.
Il Movimento dei focolari porta con sé una ricchissima esperienza, con la quale dimostra come i dolori degli uomini, specie quelli spirituali, siano riassunti in questo particolare dolore di Gesù.
Non è simile a lui forse l’angosciato, il solo, l’arido, il deluso, il fallito, il debole…? Non è immagine di lui ogni divisione dolorosa tra fratelli, fra Chiese, fra brani di umanità con ideologie contrastanti? Non è figura di Gesù che perde, per così dire, il senso di Dio, che s’è fatto “peccato” per noi – come dice Paolo (2Cor 5, 21) –, il mondo ateizzante, laicista, decaduto in ogni aberrazione?
Amando Gesù Abbandonato troviamo il motivo e la forza per non sfuggire questi mali, queste divisioni, ma per accettarli e consumarli e portarvi così il nostro personale rimedio.
Se riusciamo ad incontrare Lui in ogni dolore, se Lo amiamo, rivolgendoci al Padre come Gesù sulla croce: «Nelle tue mani, Signore, consegno il mio spirito» (Lc 23, 46), allora con Lui la notte sarà un passato, la luce ci illuminerà." 
La resurrezione passa dunque per la croce, amata, ben sofferta e ben offerta.

Seconda strofa

Da tanti giorni ormai dividi con le stelle
e uomini di stagno quell’angolo di strada,
ci siamo a volte noi a darti una speranza.

 Si, le stelle stanno lì e sembrano non ascoltare il dolore dell'umanità. Soprattutto non vedono quegli uomini di stagno o di pietra che consumano indifferenti il loro piacere di un attimo senza immaginare neanche un pò che stanno procurando un'altra ferita a queste donne disumanizzate da tanta violenza. Ma poi c'eravamo noi e forse non solo noi, chissà quanti altri a voler dare una speranza così difficile da far capire e accettare.
Una società che permette questo scempio agli angoli delle sue strade frequentatissime, è una non-società. Questo scempio grida al cospetto di Dio e accumula carboni ardenti sulla testa dell'intera Nazione, che non sa svincolarsi da mafie assassine e che sempre più la stanno ammazzando. Non lo sentite anche voi il grido dell'Italia intera, che delegando la democrazia a politici senza scrupoli e ricchi faccendieri, langue e arranca tra poveri pensionati che scavano tra i rifiuti, giovani disoccupati senza più speranza e futuro e, infine operai sempre più delegittimati, con sempre meno diritti: svenduti con la complicità di dirigenti sindacali senza scrupoli.
Dove vuole andare l'Italia?
Eppure c'è speranza perché c'è un popolo che vive, ma è ancra troppo piccolo. Ma come il seme muore e poi produce molto frutto, come il lievito che poi fermenta tutta la pasta, questi uomini nuovi attendono di portare il loro apporto, che finirà, con l'aiuto di Dio, a superare un'altra notte oscura dell'umanità...


Il ritornello

Vorremmo dire al mondo la tua infelicità,
il grido che ti è dentro e che nessuno sa.
Vorremmo dire a tanti che quella schiavitù
di sesso sulle strade non la fomenti tu...

Il grido di un Dio che sulla croce ha preso su di sé tutto il dolore umano per poterlo rendere "offerta" espiativa, è ora sulle labbra, ma ancor più nell'esistenza di ogni dolore umano e anche in quello di Joy e delle sue amiche. Quella schiavitù non l'ha voluta la povera Joy, certamente quelli del racket della prostituzione, ma dall'altra anche tutti quegli uomini di stagno, dal cuore di pietra, che consumano, sono anche loro i responsabili di questo scempio. Così ragionando più a largo, dovremmo dare la colpa anche a noi che non facciamo niente perché certe cose non accadano. Quando ci chiudiamo nel nostro piccolo abbiamo già peccato di omissione.


... ma ogni uomo a metà, uomo che non è,
disumano, animale, che consuma e non sa,
che fa planare un angelo.

Uomo a metà, ma io direi non-uomo, demonio, è ogni abietto consumatore.
Parlo a te proprio. Cosa ti muove a fare una scelleratezza del genere. Quale ideale pervade la tua esistenza che ti permette di non pensare, solo consumare. Tu sei già maledetto dal tuo stesso peccato che ti farà ereditare un inferno peggiore di quello che fai vivere a quelle ragazze. Puoi sempre pentirti e "...  non peccare più".
Quanti senza cervello stanno in giro in questa società senza più educatori. La televisione e la spazzatura televisiva hanno regnato e regnano da tanto tempo e il risultato è qui: una società di uomini senza cervello, manipolabili, confusi, senza mete... ignavi.
Ma tra questi c'è ancora il piccolo seme che dà speranza, ma che ci auguriamo presto diventi visibile...

  
Terza strofa

In questa notte scura vorremmo nascesse un’alba,
che illumini il tuo viso e tutta la tua vita,
e cancellasse il male, che ora è nei tuoi occhi.

 La speranza, un'alba nuova desiderata e desiderabile: da dove e a chi implorarla, se non al Dio che cambia e può cambiare le nostre storie se a Lui ci affidiamo. Quanti uomini-nuovi occorrono per cambiare il mondo? Forse ne basterebbe uno, ma bisognerebbe seguirlo fin sulla croce e con Lui dare la Vita e non prenderla come fa la maggior parte delle "persone dabbene"...


Il ritornello

Vorremmo dire al mondo la tua infelicità,
il grido che ti è dentro e che nessuno sa.
Vorremmo dire a tanti che quella schiavitù
di sesso sulle strade non la fomenti tu,

ma ogni uomo a metà, uomo che non è,
disumano, animale, che consuma e non sa,
che fa morire un angelo.                                        

 A questo punto della canzone c'è un pezzo musicale con un sassofono struggente che si alterna con la chitarra e con un clarinetto. Un'idea musicale di Niki Saggiomo originalissima. E poi di nuovo il ritornello a rimarcare il tutto...

Ritornello... ripetuto

Vorremmo dire al mondo la tua infelicità,
il grido che ti è dentro e che nessuno sa.
Vorremmo dire a tanti che quella schiavitù
di sesso sulle strade non la fomenti tu

ma ogni uomo a metà, uomo che non è,
disumano, animale, che consuma e non sa,
che fa planare un angelo.

Nel finale il colpo di grazia diretto ai non-uomini, che continuando a peccare e consumare, fanno morire la vita nelle loro "vittime". Dire loro "animali" è ancora troppo poco, perché gli animali non sanno essere così violenti. Questi senza Dio consumatori di sesso, stanno diventando demoni e non lo sanno...

Uomo a metà, uomo che non sei,
disumano, animale, tu consumi e non sai,
che fai morire un angelo.

venerdì 18 dicembre 2015

Vulesse (vorrei)

Dal CD "Vegliando le stelle" la canzone "Vulesse" (vorrei). 







... scritta in napoletano  in tempi non sospetti, quasi commissionata da un'amica, Rossella, che allora voleva dedicarsi alla politica. 
Un giorno mi disse: "Scrivi una canzone dedicandola al nostro mondo sangenarellese". Erano gli anni in cui, fine anni settanta inizio ottanta, speravamo nell'autonomia da Ottaviano NA. Ma le votazioni ci diedero buca, sfiduciati, bisognava ricominciare. Anche il parroco (oramai a miglior vita) era sceso in campo e ricordo ancora un incontro nella casa comunale, con un politico allora affermato, buon'anima, anch'egli passato a miglior vita, entrambi cercarono di calmare i bollori soprattutto dei giovani che speravano nel "rinnovamento".  Quest'ultimo annunciato da chiunque, di destra o di sinistra. In realtà entrati nella "casta" tutti si sono rivelati uguali: anti-popolo e pro-banche.

Col senno di poi mi sono reso conto che destra e sinistra ci hanno taciuto troppi misfatti. E anche molti prelati in Italia, si sono accodati alla mala politica, da tempo memorabile ottenendo privilegi che mettono a tacere le coscienze. Costoro hanno dimenticato la Parola di Dio che nel Salmo 15, ci fa sapere: 

Signore, chi abiterà nella tua tenda?
Chi dimorerà sul tuo santo monte?

Colui che cammina senza colpa,
agisce con giustizia
e parla lealmente,

chi non dice calunnia con la sua lingua,
non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulto al suo vicino.

Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
Anche se giura a suo danno,
non cambia;

chi presta denaro senza fare usura,
e non accetta doni contro l'innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.

Papa Francesco cerca di scuoterci e quasi ogni giorno si viene a conoscenza di qualche monsignore arricchitosi oltre misura e che deve fare i conti con la giustizia, ma è scritto: "Non c'è niente di nascosto che non debba essere messo alla luce" (cfr Lc 12, 2). Sono parole di Gesù, ma qualcuno abbagliato dal luccichio falso del demone del possesso, dimentica... ma "Dio è lungariell e nun è scurdariell" dice un veccio detto... oppure: "Tutti i nodi vengono al pettine"... poverini quelli che dovranno vedersela col barbiere per eccellenza che sa fare barbe e capelli in modo impeccabile...

"Vulesse" allora diventa attuale, come non mai. 

La prima parte della canzone è rivolta al "mondo" politico, ma la seconda al "mondo" ecclesiale. 
Le speranza di rinnovamento mai assopito sembra faccia capolino ogni tanto nel primo "mondo", e oggi, forse, coi grillini? Per il secondo sarà Papa Francesco?

Analisi del testo della canzone o tentativo di spiegarne qualcosa...

Schema abbondante di strofe con ritornello che si ripete musicalmente ma che ha delle varianti nel testo. Dal punto di vista dell'arrangiamento, fatto solo con chitarre, c'è da dire che la semplicità fa risaltare il testo che è molto denso, direi duro. Non ci sono variazioni di tonalità. Il mio chitarrista non le ama, altrimenti sarebbe costretto a prendere accordi con posizioni scomode... Qualcuno ascoltandola ha sentito lontanamente qualche accenno a Pino Daniele. Niki Saggiomo è un patito di Pino.

Prima strofa

Vulesse truvà a uno me capesse e me ricesse 
(vorrei trovar qualcuno che mi capisse e mi dicesse)
sò pur’ì chine e speranze nata via c’ha ddà stà 
(sono anch'io pieno di speranze, un'altra strada ci dovrá essere)
miezo a gente perze rinda a sta realtà
(Tra la gente, perso dentro a questa realtà)

La speranza di trovare qualcuno capace di farsi carico delle attese della gente e non dei soliti soloni del potere, non muore. Finché c'è il Cristo che dalla croce da l'ultimo colpo alla morte e all'egoismo con la Risurrezione, possiamo sempre sperare... La speranza è data da Dio ma con la nostra collaborazione. Senza di noi non può nulla. Il cambiamento è frutto di un impegno finalizzato a svegliare le coscienze. Il comunismo ha fallito, il nazionalismo pure, e la Chiesa, fatta di popolo, che rimane nei millenni a testimoniare un Oltre che la permea negli uomini migliori, si ritrova con tanti altri che la infangano, ma non potranno affossarla perché a quelle forze avverse il Signore ha messo un limite: non potranno prevalere... Ma i reprobi non sono la Chiesa di Dio, il popolo lo è. In mezzo ad esso, se si prega, Dio suscita profeti, santi, sacerdoti santi...

 Seconda strofa
Vulesse truvà a n’ommo miezo a sta città
(Vorrei trovare un uomo tutto d'un pezzo in mezzo a questa città)
ca nun se venne pe nu voto e crere a verità

(Che non si vende per un voto elettorale e crede alla verità e all'onestà)
crede a libertà all’umanità.

(Crede alla libertà e all'umanità)

Vero, questi uomini tutti di un pezzo, non esisterebbero se non li suscitasse la Provvidenza, che per dirigere l'umanità, che in fretta si svia appresso al "dittatore" di turno,  ne suscita qualcuno di tanto in tanto per orientare, dare nuove possibilità, rinnovare l'esistente. Dopo la seconda guerra mondiale sembra che di uomini-mondo, sia di sesso maschile che di sesso femminile, ne abbia suscitati parecchi anche nella Chiesa Cattolica. Tanti Santi, che con la loro vita, hanno testimoniato l'amore per la Vita, l'umanità, soprattutto per quella sofferente. E anche nel mondo politico li ha suscitati, ma sono stati, mi sembra, come aghi in un pagliaio. Fari certamente, a tracciare dei cammini, ma aimè subito spenti dai mediocri, da quelli che tramano dietro le quinte... E il popolo invece di inferocirsi contro la mediocrità di certuni, spesso osanna proprio questi, usandoli per averne qualche beneficio, il più delle volte solo promesso. Basti pensare a quanti poveri cristi per pochi euro vendono il loro voto alla mafia, senza pensare che quel beneficio a breve termine porterà aun maleficio a lungo termine. A chi gridarlo tanto orrore ed errore?

Ritornello
Suonne, suonne, a suonne chine ruorme,
(Sogna, sogna a sonno pieno, dormi)
facimme e rrubbà Nun te scetete

(facciamoli rubare, non ti svegliare)
o vì comme è bello. Nun chiagnere tira a campà

vedi come è bello. Non piangere. Tira a campare
na preta pane nun pò addiventà. 

Una pietra non può diventare pane.

Suonne, suonne, a suonne chine, scetete,
Sogna, sogna, a sonno pieno, svegliati,
facimme e fuì. Mo te a scetà

facciamoli scappare. Adesso devi svegliarti,
o vì comme è forte nun chiagnere vire che a fà.

Vedi come è forte: non piangere, vedi cosa devi fare
Na preta terra e sole…rivoluzione po addiventà.

Una pietra terra e sole... rivoluzione, può diventare.

 Il ritornello si commenta da solo, ma comunque provo a dire cosa vorrei gridare al mondo intero, quando lo canto. 
Il sentore è proprio questo, che la gente sonnechia e lascia ai politici e ai ricchi, tutto il potere possibile. Si può dire che la maggior parte della gente se ha un tozzo di pane e un tetto, si accontenta. Eppure se si apre la mente, il cuore, c'è un'orizzonte possibile più ampio. Sembra, che quelli che stanno in alto vogliano di proposito far stare nell'ignoranza, perché con essa si manovrano le masse. Chi ha le televisioni può difatti manovrare il popolino. Chi sveglierà questo popolo italiano dal torpore in cui è caduto...? Sveglia è l'ora di capire, partecipare... e chi mi ascolta?
Col primo ritornello finisce la prima parte della canzone dedicata al "mondo" politico. 
Con la terza strofa comincia la parte della canzone dedicata al "mondo" ecclesiale.

 Terza strofa
Vulesse truvà frate ca nun se guardene e late
(Vorrei incontrare fratelli che ni si vogliano male)
ca se fanne e scarpe l’uno co l’ate

pronti a "farsi le scarpe" l'uno contro l'altro
e si putessero s’acciresseno.

e se potessero si ucciderebbero.
Con Caino e Abele, la storia del peccato si è radicata. Il cattivo fa soccombere il buono, ma nonostante tutto dai Caino nascono ancora tanti Abele, altrimenti Dio avrebbe già distrutto l'umanità con un solo "pensiero pensato". C'è qualcosa di buono in ognuno. Il bene, il male stanno lì, sono le nostre storie intrise di incontri, che fanno allargare l'uno o l'altro. Che fortuna hanno coloro che hanno incontrato o incontrano uomini tutti d'un pezzo da cui imparare l'arte del vivere bene, dell'amare gratuitamente e senza ricompense. Qui ci si gioca tutto l'esistere: trovare l'IDEALE, che ti realizza come persona. Nella mia vita ci sono stati tanti uomini tutti di un pezzo.

Uno di questi è una donna, Chiara Lubich (è nella nuova Vita), fondatrice del Movimento dei Focolari. Da Lei ho imparato e sto imparando (da quello che ci ha lasciato), l'arte di amare cristiano. Un suo modo di incarnare il Cristo. Sì, perchè ogni Santo ne ha incarnato uno. Francesco dalla povertà ha imparato a diventare Gesù; Sant'Ignazio fondatore dei Gesuiti, dall'obbedianza; Chiara dall'Unità: "Siate Uno come Io e il Padre...", "Siate Uno affinchè il mondo creda" aveva detto Gesù. Uno è ciò che diventano i TRE: Padre, Figlio e Spirito Santo. Per diventare Uno, sono Amore. L'amore che dona tutto di sè fa diventare Uno. Dunque, la Comunione più alta è l'Unità. Chiara, con la sua vita ha tracciato una strada possibile per raggiungere l'Uno anche quaggiù.

Quarta strofa
Vulesse rinda Chiesa chiù vita e chiù calore
(Vorrei nella Chiesa, più vita e più calore)
ma è vierne e fa fridde e ognuno appicce o fuoco

(ma sembra inverno, fa freddo e ognuno accende zizzanie)
invece e rà na mana a libertà

(invece di dare una mano alla libertà) 

La Chiesa è bella, quella che è già di là è già nella pienezza, ma noi, ancora in cammino facciamo i conti coi limiti, col peccato e col Nemico. Eppure i doni che il Signore Dio ci dona e ci ha donato, sono immensi, infiniti. Questa forza che ha il peccato in noi, ci deve far riflettere il danno che ha fatto e fa il Nemico, il Satan, alle nostre esistenze, alle nostre anime. Davvero solo l'AMORE può debellarlo. L'Amore ha milioni di sfumature. Chiediamo allo Spirito Santo che è l'AMORE, di aiutarci a comporre il puzzle della nostra esistenza, a colorare il dipinto della nostra vita, coi suoi colori e non coi nostri, che sono sbiaditi. Chiediamo la luce per illuminare il cammino e percorrere la VIA, che è Gesù. Chiediamo il risveglio delle nostre coscienze per non delegare più nessuno e impegnarci in primis alla costruzione della "casa comune" che è la Terra.

Ritornello
Suonne, suonne, a suonne chine ruorme,
facimme e rrubbà Nun te scetete
o vì comme è bello. Nun chiagnere tira a campà
na preta pane nun pò addiventà.
Suonne, suonne, a suonne chine, scetete,
facimme e fuì. Mo te a scetà
o vì comme è forte nun chiagnere vire che a fà.
Na preta terra e sole…rivoluzione po addiventà.


Finale musicale... 

 Da un articolo uscito su "Venerdì di Repubblica" il 18 Dicembre 2015...
Sarà Di Maio l'uomo tutto d'un pezzo della mia canzone?





lunedì 14 dicembre 2015

Non mi arrenderò

06 Radio fra le Note - Non mi arrenderò (puoi ascoltare la trasmissione sulla mia webTv)

"Non mi arrenderò", presente nel CD "Attimi di cielo" 
è una di quelle canzoni che sono sempre attuali che richiamano le storie di tanti popoli alla ricerca di una pace che non arriva mai. L'ho dedicata ai tanti emigranti che nel 2004 erano soprattutto albanesi e oggi sono tutti i popoli mediorientali.




Passiamo subito all'analisi del testo.
La struttura sembra abbia strofa e ritornello, ma poi presenta alla fine due parti uguali che sono il reale ritornello o potremmo chiamarle ritornello speciale. Non è che mi sia imposto io che la canzone venisse fuori così.... è semplicemente uscita così. Diverse volte sforo le strutture "normali" di strofa-ritornello.

Prima strofa

Non ci sono anche per me.
Mi nascondo dentro te,
che mi stai scrutando ormai
da dietro quegli occhiali scuri.

La sensazione che cercavo di cogliere in me era l'enorme disagio nel vedere così tanta gente fuggire da qualcosa che doveva essere mostruoso, in cerca di una terra promessa che poi si rivelava il più delle volte poco accogliente e quel Paradiso agognato diventava Purgatorio se non addirittura inferno (penso alle ragazze che arrivate in Italia venivano e ancora vengono avviate poi alla prostituzione). Gli occhiali scuri sembrano essere indossati dalla nostra malapolitica, che ha fatto diventare il disagio dei migranti un affare d'oro aiutati dalle mafie di ogni tipo.
La voglia di nascondersi dietro o dentro qualcun altro dice il desiderio di trovare soluzioni ai problemi di tanto disagio, facendo leva sulla condivisione con tanti che la potrebbero pensano come te. L'unione fa la forza, dice un vecchio proverbio, e i grandi problemi trovano soluzione solo dalla condivisione e dalla volontà di risolverli. Un esempio concreto l'ho trovato nella Comunità "Giovanni XXIII" di don Benzi. Infatti, una volta, sono stato in Albania a fare dei concerti sempre per l'evangelizzazione, sono stato ospite di una delle comunità del santo sacerdote.

Un'esperienza davvero unica. Una famiglia faceva da perno a tante altre situazioni, la chiamerò famiglia-capo. Questa era il fondamento della comunità e attorno ad essa giravano altre famiglie, con disagi di ogni tipo: una ragazza madre, una famiglia poverissima che non aveva più risorse, bambini affidati perché o orfani o semplicemente affidati, provenienti da svariate situazioni di disagio. Un episodio mi fece capire lo spessore della spiritualità che le animava.

Un bambino ospite voleva un biscotto e così anche il figlio della famiglia-capo. La madre-capo (per capirci), non fece preferenze ma in modo giusto accontentò prima il bambino ospite e poi il proprio, senza far mancare amore all'uno e all'altro e senza discriminare nessuno. Per me fu un insegnamento esemplare. E faceva così anche il Padre-capo, che non faceva il padrone, ma con gli altri papà era pari, ma nello stesso tempo esercitava la sua autorevolezza con amore. Col senno di poi mi viene da ringraziare la Provvidenza per aver inventato don Benzi e dato vocazioni così speciali a tanti uomini e donne che costituiscono l'ossatura di queste splendidi comunità.

Don Benzi, come sappiamo, cercava di risolvere anche altri problemi, come quello di tante ragazze ingannate nei paesi di origine e che arrivate in Italia venivano e vengono gettate sulle strade a prostituirsi. Altre due canzoni parlano di questo problema come "Sognando l'Italia" (presente nel CD "Attimi di Cielo") e "A Joy" (presente nel Cd "In fondo all'anima").

Seconda strofa

Azzurro di mattina presto,
polmoni pieni di tristezza
per tanto mondo che si svende,
cercando un posto tra le sponde…

A volte svegliarsi e trovarsi ancora in questa realtà che non riuscirà mai a centrarsi su ciò che vale veramente, ti fa sentire estraneo e cominciare la giornata, con le no tizie dei telegiornali, non sempre è buono. Allora anche se il mattino è azzurro, nei polmoni ti ritrovi la tristezza di chi ancora arranca a trovare la sua collocazione nella civiltà delle telecomunicazioni intrise di pubblicità, dove tutto diventa prodotto da vendere o comprare. Ti senti manipolato, guidato, come un fiume tra le sue sponde, verso qualcosa che non sai neanche tu. Credo, sia verso la confusione più totale. Che cultura strana, dove si sanno tante cose, ma molte, se rifletti, non servono a niente. Certamente non ti aiutano a vivere centrato sull'essenziale, ma sempre più sul superfluo.
Allora bisogna svegliarsi dal torpore che l'ideologia nichilista ha iniettato in ogni settore dell'esistenza, e con fatica ritagliarsi spazi per riflettere, organizzarsi e insieme ad altri creare spazi alternativi dove far venir fuori una nuova cultura che disobbedisca al consumismo, che disobbedisca alla cultura dello scarto, che disobbedisca alla cultura del tutto e subito, che disobbedisca alla logica del successo a tutti i costi, che disobbedisca ad una logica che per ottenere cose, basta prostituirsi al politico di turno, al potente di turno, che sia pure camorrista, che disobbedisca a tutto ciò che è disumano. Occorre una nuova umanità che non è venuta fuori dalle ideologie, che non è venuta fuori da secoli di presunta rivoluzione sociale, ma potrà venire solo da Gesù che ha ristabilito l'uomo nelle sue due dimensioni: umana e spirituale. L'uomo nella storia, se la si studia bene, ogni volta che ha indugiato su di una o su di un'altra si è ritrovato fuori dalla volontà di Dio con conseguenze disastrose.
Le sponde giuste in cui incanalarsi non sono quelle ideologiche, ma quelle per cui l'umano viene innalzato dalla sua sola natura umana verso quella divina. Elevarsi dunque, e ciò può accadere se si ascolta la Parola, il Verbo di Dio. Chi più di Lui, avendoci creati, può dirci fin dove possiamo innalzarci?

Primo lancio del ritornello

(tra le sponde) di questo grande mare,
di questo grande cielo
navigato, levigato dal rasoio dei potenti
e da tutta quella gente
che non ce la fa più.

I potenti raschiano ogni cosa anche a discapito dei poveri e dei deboli che vengono sfruttati loro malgrado. Nel Siracide (libro biblico tra i sapienziali) al cap. 12, 1-3 si legge:

Se fai il bene, sappi a chi lo fai; così avrai una ricompensa per i tuoi benefici.
Fà il bene al pio e ne avrai il contraccambio, se non da lui, certo dall'Altissimo.
Nessun beneficio a chi si ostina nel male né a chi rifiuta di fare l'elemosina.

Invece viviamo in una società dove si cerca di fare qualcosa al potente di turno per averne contraccambio, ma come vediamo la società s'è bloccata, non va avanti, perché come dice il libro biblico a fare il bene al "ricco", si perde il tempo e le sostanze. Continuando a leggere il Siracide fino al capitolo 13, ci sono insegnamenti molto particolari che vanno però filtrati con la Rivelazione somma di nostro Signore Gesù Cristo. Insomma per i potenti bisogna pure pregare affinché si convertano e vivano anche se a pelle ci fanno rabbrividire per il male che riescono a concepire...

  
Terza strofa

Non ci sono anche per te.
Mi nascondo dentro me.
E mi sto facendo male
perché è dura da morire…

A volte succede, quando la realtà è troppo pesante da digerire, si tende a chiudersi a riccio, sentendone tutto il peso... "è dura da morire"...In realtà bisogna aprirsi e riuscire a dare l'SOS. Cercare, cercare sempre, perché qualcuno ascolterà il grido degli umili.

Salmo 5, 1-3  

Porgi l'orecchio, Signore, alle mie parole:
intendi il mio lamento.
Ascolta la voce del mio grido,
o mio re e mio Dio,
perché ti prego, Signore.



Secondo lancio al ritornello

(è dura da morire) in questo grande mare,
in questo grande cielo
navigato, levigato dall’amaro che mi prende
e per tutta quella gente,
che non ce la fa più.

 Da parroco, mi rendo conto di quanta gente ha bisogno addirittura del necessario. In parrocchia ci facciamo in quattro per racimolare quanto è necessario, ma non è mai abbastanza. Quello che facciamo è solo una goccia nel grande mare e nel grande cielo dell'amara realtà. Come diceva Madre Teresa di Calcutta: "Quello che facciamo è soltanto una goccia nell'oceano. Ma se non ci fosse quella goccia all'oceano mancherebbe."

Ritornello

Crederci è difficile e solo Tu puoi dirmelo.
Non cerco soluzioni, né facili illusioni,
ma sento che mi sfuggi ed io mi arrenderò.

Ebbene sì davanti a tanta sofferenza la fede può barcollare, franare. "L'umanità ha imparato a dividere l'atomo (ha scritto qualcuno su facebook) ma non ha imparato a dividere il pane." L'immenso dolore è frutto anche dell'incapacità di condivisione, che a causa del peccato, alberga nell'umano dalla notte dei tempi. Se dapprima  c'è da arrendersi... alla fine c'è da rimboccarsi le maniche...

ripetizione del ritornello con variazione

Crederci è difficile e solo Tu puoi dirmelo.
Non cerco soluzioni, né facili illusioni,
E sento che mi sfuggi, ma non mi arrenderò.

La ripetizione è sottolineatura, rinforzo, ma anche volontà ad aprirsi quando c'è troppo dolore. Non bisogna mai arrendersi perché Qualcuno è morto, ma è soprattutto risorto e dunque non c'è situazione umana che non possa risorgere. Finché siamo di qua la Provvidenza ha disposto la Misericordia, dopo la giustizia farà il suo corso. Puntiamo dunque al perdono, perché se lo diamo a piene mani, a piene mani lo riceveremo.
Non arrendersi mai nel fare il bene, senza mai stancarsi, soprattutto quando non c'è contraccambio.

Alla prossima Canzone per dare e cantare Dio...