sabato 18 novembre 2017

Dio in me, Dio in te, Dio fra noi

Da "Fatti per essere", mio secondo lavoro, la canzone "Dio in me, Dio in te, Dio fra noi. Eravamo nel 1996 dopo due anni da "Innamorami di Te". L'arrangiamento ... non ne parliamo... Onestamente non mi ricordo quando l'ho scritta e in quale circostanza. Certamente è ispirata ad un caposaldo della Spiritualità dell'Unità del Movimento dei Focolari: Gesù in mezzo.
È veramente l'esperienza più bella che si può fare perché ti fa dire: Dio c'è, lo sento, lo percepisco, eccolo è fra noi. Esercitare tutte le forze dell'anima per poterne fare esperienza è ciò che fa diventare cristiani. Si fonda su Matteo 18, 20: "Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".
Ad intuirlo e a sperimentarlo fino a far diventare questa esperienza uno dei capisaldi della Spiritualità dell'Unità, fu Chiara Lubich. Dai suoi bellissimi scritti approfondiremo proprio la bellezza e la profondità di "Gesù in mezzo".
Ascoltiamo la canzone.

 
Il titolo della canzone: Dio in me, Dio in te, dio fra noi è la sintesi del concetto racchiuso nel testo della canzone, ma anche di tutta la teologia intuita e sperimentata da Chiara Lubich. L'alchimia divina che produce la Presenza di Gesù è tutta significata qui. Se Dio è in me, ed anche in te, per l'amore reciproco, Gesù si fa Presente. Non è un personaggio del passato, non un profeta del passato, né una immaginazione dei creduloni cristiani, né una proiezione dei propri bisogni. Se tu hai l'AMORE dentro di te e anche il fratello ne è saturo, allora l'AMORE (lo Spirito Santo) rende possibile la Presenza mistica e divina di "Gesù in mezzo". Questa Presenza, potrebbe portare a scoperte indicibili in tutti i campi, ma soprattutto ci umanizzerebbe al colmo, perché noi saremmo proprio come Dio ci vuole: abitati dall'Amore e guidati da esso.

La prima strofa

Abitandoci, trasfigurandoci

non siamo più.
Non sono solo io,
non sei più solo tu.
“Siamo noi”,
siamo quello che dobbiamo essere.

Così spiega Chiara Lubich: "Forse niente spiega meglio l’esperienza che le focolarine fecero fin dall’inizio – vivere cioè, come ben presto impararono a dire, «con Gesù in mezzo a loro» –, quanto le parole dei discepoli dopo l’incontro con il Signore risorto ad Emmaus:
«Non ardeva forse il nostro cuore, mentre egli conversava con noi lungo la via?» (Lc 24,32).
Gesù è sempre Gesù, e anche se è solo spiritualmente presente, quando lo è, spiega le Scritture, e arde nel petto la carità di Cristo: la vita. Fa dire con infinita nostalgia, quando lo si è conosciuto: «Resta con noi, Signore, perché si fa sera» (Lc 27,29).
L’esperienza dei discepoli di Emmaus è essenziale per tutti coloro che si riferiscono alla spiritualità dell’unità. Perché nulla ha valore nel movimento se non si cerca e si ricerca la presenza promessa da Gesù in mezzo ai suoi – «dove due o tre sono uniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20) –, una presenza che vivifica, che allarga gli orizzonti, che consola e che stimola alla carità e alla verità.
Scriveva Chiara: «Avendo messo in atto l’amore vicendevole, avvertimmo nella nostra vita una nuova sicurezza, una volontà più decisa, una pienezza di vita. Come mai? È stato subito evidente: per questo amore si realizzavano fra noi le parole di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (cioè nel mio amore) io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Gesù, silenziosamente, si era introdotto come fratello invisibile, nel nostro gruppo. Ed ora la fonte dell’amore e della luce era lì presente in mezzo a noi. Non lo si volle più perdere. E meglio si comprendeva che cosa poteva essere stata la sua presenza quando, per una nostra mancanza, essa veniva meno.
«Non è però che in quei momenti noi cercassimo tanto di ritornare nel mondo che avevamo lasciato: troppo forte era stata l’esperienza di “Gesù in mezzo a noi”, per poter essere attirate dalle vanità del mondo, che la sua divina presenza aveva messe nelle loro infime proporzioni. Piuttosto, come un naufrago si aggrappa a qualsiasi cosa per potersi salvare, così anche noi cercavamo un qualsiasi metodo, suggerito dal Vangelo, per poter ricomporre l’unità spezzata. E, come due legni incrociati alimentano un fuoco consumando sé stessi, così, se si voleva vivere con Gesù costantemente presente in mezzo a noi, era necessario vivere attimo per attimo tutte quelle virtù (pazienza, prudenza, mitezza, povertà, purezza…) che ci sono richieste perché l’unità soprannaturale coi fratelli non venga mai meno. Capivamo che Gesù in mezzo a noi non è uno stato acquisito una volta per sempre, perché Gesù è vita, è dinamismo (…).
«”Dove due o più”: queste parole divine e misteriose, spesse volte, nella loro attuazione, ci sono apparse meravigliose. Dove due o più… e Gesù non specifica chi. Egli lascia l’anonimato. Dove due o più… chiunque essi siano: due o più peccatori pentiti che si uniscono nel nome suo; due o più ragazze come eravamo noi; due, di cui uno è grande e l’altro piccolino… Dove due o più… e, nel viverle, abbiamo visto crollare barriere su tutti i fronti. Dove due o più… di patrie diverse: e crollavano i nazionalismi. Dove due o più… di razze diverse: e crollava il razzismo. Dove due o più… anche fra persone che di per sé sono sempre state pensate opposte per cultura, classi, età… Tutti potevano, anzi dovevano unirsi nel nome di Cristo (…).
«Gesù in mezzo a noi: fu un’esperienza formidabile. La sua presenza premiava in modo sovrabbondante ogni sacrificio fatto, giustificava ogni nostro passo condotto in questa via, verso di lui e per lui, dava il giusto senso alle cose, alle circostanze, confortava i dolori, temperava la troppa gioia. E chiunque fra noi, senza sottigliezze e ragionamenti, credeva alle sue parole con l’incanto di un bimbo e le metteva in pratica, godeva di questo paradiso anticipato, che è il regno di Dio in mezzo agli uomini uniti nel suo nome»."

Quanto Chiara descrive su Gesù in mezzo è sperimentabile, ma ci si arriva attraverso un allenamento costante della cosiddetta "tecnica dell'Unità" che Gesù ci ha mostrato con la Rivelazione dell'Amore di Dio e delle dinamiche trinitarie, tra le divine persone. Ma questo lo spieghiamo dopo.

Seconda strofa

Come abita in me, abita anche in te.
Tra noi c’è il cielo.
Se ti perdi dentro me
ed io mi perdo dentro te
tra noi c’è Dio
non ci confonde, ma ci fa una cosa sola.

Quali sono allora le dinamiche dell'Amore trinitario, ossia la "tecnica dell'Unità"?

Da un discorso alle focolarine di Chiara Lubich:

Amare ed essere amati
(...) La volontà di Dio è Dio e Dio è Amore. La sua volontà, quindi, è amore. Ed è che anche noi amiamo: Lui con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e ogni prossimo come noi stessi (cf Mt 22, 37-39). Anche noi dovevamo nella vita essere amore: piccoli soli accanto al Sole. Se la parola «amore», in quell’epoca, indicava comunemente il sentimento naturale che lega tra loro un uomo e una donna, o l’erotismo; e non era usata in genere nel linguaggio religioso, dove si preferiva il termine carità, spesso però col significato più restrittivo di elemosina, la particolare manifestazione di Dio Amore che avevamo avuto, e il contatto diretto con la Parola di Dio, ci avevano rimesso in luce il suo significato cristiano. Anzi, abbiamo subito intuito che l’amore era il cuore del messaggio cristiano, ed era quindi dovere assoluto metterlo in pratica. Si è iniziato con l’amare i poveri, ma ben presto, per questa pratica – giacché l’amore porta luce –, si è capito che esso doveva essere rivolto a tutti. Ma come? Servendo, si diceva. «Servendo», che lo Spirito ci ha spiegato ben presto con due parole: «Farsi uno».
«Farsi uno – si legge in uno scritto – con ogni persona che incontriamo: condividere i suoi sentimenti; portare i suoi pesi; sentire in noi i suoi problemi e risolverli come cosa nostra, fatta nostra dall’amore. Farsi uno con gli altri in tutto, fuorché nel peccato. È il “farsi tutto a tutti” di san Paolo (cf. 1 Cor 9, 22). Questo “farsi uno” esige la continua morte di noi stessi. Ma è proprio per questo che il prossimo, amato così, prima o poi viene conquistato da Cristo che vive in noi sulla morte del nostro io». Ma quand’è così, il fratello risponde al nostro amore con il suo amore. Ed ecco l’amore al prossimo che sfocia nella reciprocità. «Quanti prossimi incontri nella giornata tua, dall’alba alla sera – troviamo scritto –, in altrettanti vedi Gesù. Se il tuo occhio è semplice, chi guarda in esso è Dio. E Dio è Amore e l’amore vuole unire, conquistando. (...) Guarda fuori di te: non in te, non nelle cose, non nelle creature: guarda al Dio fuori di te per unirti con lui.
Egli è in fondo ad ogni anima che vive e, se morta, è il tabernacolo di Dio che essa attende a gioia ed espressione della propria esistenza. Guarda dunque ogni fratello amando e l’amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato. Così l’amore è amare ed essere amato: come nella Trinità. E Dio in te rapirà i cuori, accendendovi la Trinità che in essi riposa magari per la grazia, ma vi
è spenta. (...) Guarda dunque ad ogni fratello, donandoti a lui per donarti a Gesù e Gesù si donerà a te. È legge d’amore: “Date e vi sarà dato” (Lc 6, 38). Lasciati possedere da lui (dal fratello) – per amore di Gesù –; lasciati “mangiare” da lui, come altra Eucaristia; mettiti tutto al servizio di lui, che è servizio di Dio, ed il fratello verrà a te e t’amerà. (...) L’amore è un fuoco che compenetra i cuori in fusione perfetta. Allora ritroverai in te non più te, non più il fratello; ritroverai l’Amore che è Dio vivente in te. E l’Amore uscirà ad amare altri fratelli perché, semplificato l’occhio, ritroverà Sé in essi e tutti saranno uno (...)». E «tutti saranno uno». Non quindi un amore qualunque, ma l’amore che porta l’unità.
 ( Fonte: Da Chiara Lubich, Una via nuova. La spiritualità dell'unità, Città Nuova, Roma 2002, 2003 www.centrochiaralubich.org/it/pdf/italiano/1720-chi-19951209-it-1/file.html)

Ritornello

Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            insieme sul crinale
            a guardar la realtà
            con occhi nuovi.
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            si entra nel Mistero
            nella Vita, quella Vera
            all’improvviso.
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            non ci sono più montagne,
            ma si va subito dentro
            al Cielo, al Cielo, al Cielo.

 La Trinità dunque, la si può imparare a vivere, ed è forse il modo migliore di amarla. Papa Giovanni Paolo II nella "Novo millennium ineunte" ne parla tantissimo fino a dire che la Chiesa deve diventare "casa e scuola di comunione" dove la comunione è appunto la vita trinitaria, ossia la Trinità vissuta tra due o più...Certo la Trinità in sè è ineffabile, ma l'Amore di Dio vissuto tra due o più, attira Dio stesso e dunque in qualche modo la Trinità fa capolino in mezzo a coloro che si ammano con la tecnica dell'Unità. Provare per credere e...credere per provare.
Aggiungo il frutto di un lavoro svolto per la mia diocesi confluito in una "Regola per i presbiteri" (https://www.diocesinola.it/downloads/category_28/Regola-per-i-presbiteri.pdf), lavoro a quattro mani, poi assemplato dal vicario generale.

"... ora vogliamo dare elementi concreti alla realizzazione di una “spiritualità di comunione” (per usare ancora un’espressione della NMI 43), credendo che la Trinità può essere rivissuta e può indicarci il “come”, la possibilità dell’esperienza trinitaria, che tante volte si pensa sia troppo lontana. L’Uni-Trinità ci dice l’essenza di Dio ma racchiude anche la qualità delle relazioni che occorrono per realizzare la parola e il testamento di Gesù: “Siate uno affinché il mondo creda” (Gv 17, 21). La chiave di volta per poter realizzare una tale comunione è nel Crocefisso, in Lui ci viene rivelato l’intimo di Dio, le relazioni per le quali la comunione può diventare piena, efficace, creativa... Inoltre, relazione è sinonimo di comunicazione. “Gesù è il perfetto comunicatore” del Padre e dello Spirito (Comunicazione e missione, 33). Da Lui impariamo l’arte del comunicare, del relazionarci, dell’amarci:

Con i suoi gesti e le sue parole, soprattutto nell’evento della Pasqua, Cristo rivela in maniera definitiva ed inequivocabile il volto del Dio uno e trino, nel quale l’unità non significa solitudine e la molteplicità non si risolve in dispersione. Lo Spirito, vincolo e legame d’amore tra il Padre e il Figlio, rende la comunione trinitaria possibile, costituendola come luogo della comunicazione e della donazione reciproca fra le tre persone divine. [...] Siamo qui alla radice dell’origine e del senso della comunicazione: “La fede cristiana ci ricorda che l’unione fraterna fra gli uomini (fine primario di ogni comunicazione) trova la sua fonte e quasi un modello nell’altissimo mistero dell’eterna comunione trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, uniti in un’unica vita
divina”. (Comunicaizone e missione, 33)

Pericoresi, Kenosi, Agape,  per relazioni “nuove”
 

La pericoresi riferita alla Trinità significa il mutuo contenersi, il reciproco inerire dell’uno
nell'altro, la compenetrazione che avviene tra le tre Persone divine, in maniera tale che pur unite non si confondono tra loro. La kènosis significa l’annullarsi per amore, davanti all’altro. L’agàpe non è altro che l’amore di Dio “riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5,5). Nella riflessione successiva la tradizione della Chiesa interpreta l’agàpe come un amore che non «si aggiunge agli amori umani, come imposto dal di fuori. È l’amore che sottostà a tutte le possibilità umane d’amare». Questo significa che «Ogni tipo d’amore umano è più pienamente tale, nella misura in cui si modella sull’amore che viene da Dio». Cosa avviene tra “due o più” che intendano realizzare L’agape, la kenosi e la pericoresi secondo il modello della Trinità? Ci sembra di individuare almeno cinque conseguenze... 

Ma le vediamo dopo... 



Terza strofa

Rispecchiandoci, consumandoci
nell’uno che è l’Amore,
mi darò fino alla fine,
ti darai anche tu così.
Questo è l’Amore,
l’Amore che ci fonde in unità.

Ritorniamo alle conseguenze che si hanno se ci si ama trinitariamente. Ripeto, quanto dico è il frutto di un mio studio, come contributo ad una "Regola per i presbiteri" della mia diocesi (sopra c'è il link).

a) La relazione trinitaria ci fonda come persone: diventiamo quello che dobbiamo essere.
 
Le parole di Gesù riportate da Giovanni: “Io e il Padre ...” (Gv 10, 30), rivelano un primo aspetto delle relazioni intratrinitarie ma che costituiscono anche il senso di ogni altra relazione su questa terra. Io sarò veramente me stesso nella misura in cui faccio essere l’altro, e di rimando l’altro non può fare a meno di me per essere. Che bello se ci convincessimo di questa grande verità e che davvero il “Corpo Mistico” non è un difficile assioma teologico, ma una verità concreta e visibile nella misura in cui si vive già a questo primo livello di relazione: tu per me sei importante, io non posso fare a meno di te, perché con te e in te, io sono me stesso, e tu trovi e ritrovi te stesso in me e con te.
 

b) Siamo chiamati a essere distinti nell’unità sul modello trinitario.

L’espressione di Gesù: "Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv 14, 11; 14, 20; 10,38) considerata nella totalità dei gesti, delle parole e delle opere compiute dal Gesù storico, è chiarificatrice del rapporto Figlio-Padre nella Trinità economica e di qui si apre per noi uno spiraglio di comprensione per quella immanente: due alterità in dialogo, e con lo Spirito Santo tre, accomunate dalla medesima divinità. Anche sul piano dell’esperienza di fede, l’agape, la kenosi e la conseguente pericoresi se ben vissute non annullano le nostre caratteristiche individuali, ma le portano a pienezza, sicché io sarò più io e tu sarai più tu. La necessità di essere in comunione e dunque in unità, fa sì che per amore dobbiamo anche essere distinti e dunque non desidererò di essere te (invidiandoti), ma farò di tutto perché tu possa essere il più felicemente e pienamente per quanto è possibile te stesso.
 

c) La relazione trinitaria fonte di una testimonianza efficace.
Nella dinamica dei rapporti trinitari nella singola persona si coglie il tutto: "Chi vede me, vede il Padre" (Gv 14, 9).10 Se io sono in Dio e Dio è in me, tutto quello che faccio e sono, sono io totalmente a esserlo e a farlo, ma anche è Dio totalmente in me che è e che fa: “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28). Come insegnano i santi, dobbiamo vivere come se tutto dipendesse da noi ma sapendo che tutto dipende da Dio; si tratta ovviamente di due “totalità” vere ma diverse: quella di Dio fondante, causale, mentre la nostra è partecipativa, di risposta. È questa mutua interazione fra Dio e l’uomo, che rende possibile la Presenza di Dio (cfr. Gv 14, 23, Mt 18, 20). Vivere in modo trinitario con Dio e tra noi ci fa essere Chiesa, Presenza di Dio-Amore nel mondo.
d) L’altruismo-reciprocità ci apre a nuove aperture culturali e sociali.
“Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie" (Gv 17, 10; cf. 16, 15). La concretezza della vita di comunione ha un risvolto praticissimo ad esempio nella comunione dei beni, che possono essere spirituali, materiali, intellettuali, ecc.:
 

La comunione dei beni come esigenza della partecipazione allo stesso amore di Gesù, non è soltanto una prospettiva economica, ma teologica, ecclesiologica: ha dietro una visione di Dio, della Chiesa, dell’umanità. (...) Le persone (e analogamente le comunità, le istituzioni, le nazioni, ecc.) agiscono in senso trinitario allorché vivono con le altre, per le altre, nelle altre e grazie alle altre. Non è sufficiente stare "con" per vivere secondo uno stile trinitario, perché potrebbe significare semplicemente uno stare "insieme" statico, una giustapposizione sterile e asettica degli uni accanto degli altri. Non basta neanche che uno viva "per" gli altri, in quanto questo costituirebbe soltanto il primo passo verso la trinitarietà, che esige anche la reciprocità. È solo la congiunzione di questi quattro atteggiamenti indicati che produce un'autentica pericoresi,

con tutte le sue conseguenze comunionali e i suoi risvolti non solo ecclesiali ma anche antropologici, culturali e sociali.

e) Lo svuotamento-pienezza dinamica dell’Amore trinitario
"Che siano come noi una cosa sola" (Gv 17, 22). Di nuovo ritorna la Croce a dirci l’amore per eccellenza:
Il volto del Dio cristiano che sinteticamente è espresso da san Giovanni nella frase “Dio è Amore”, si rivela storicamente nell'abbandono di Cristo in croce come amore trinitario. Il Padre per amore dona il Figlio, il Figlio per amore dona se stesso, vivendo dall'interno la situazione di lontananza da Dio in cui versa l'umanità peccatrice, e vince questa situazione nella ”ritrovata” unità col Padre nello Spirito Santo. L'abbandono è dunque il momento-culmine della rivelazione storica del Dio trinitario.
Prendendo a prestito le parole di E. Cambón, diciamo a proposito della necessità d’essere nulla per amore che: «Non può esistere unità trinitaria senza una kènosis reciproca, ossia senza un evangelico "svuotarsi" o spogliamento di sé, senza quel perdersi l'uno nell'altro per amore che permette ad ognuno di essere se stesso in pienezza». Due cose – tra tante altre - ci insegna la kènosi: il silenzio e l’ascolto. Senza il primo non c’è il secondo. La fecondità dell’essere in Dio si gioca tutta qui:
 

La kènosis per amore siamo chiamati a viverla tutti, oltre che nei confronti di Dio in sé, anche nei riguardi di Dio nel fratello. In tal modo è possibile sperimentare la presenza della Trinità "non solo in sé, ma anche negli altri e nella comunione reciproca... non solo nel fratello ma anche nel rapporto tra fratelli". Questo non toglie l'oscurità, però la illumina, offre un'esperienza che ci apre alla fede, la fa possibile, la rinforza. Cogliere in questa maniera "trinitaria" il rapporto tra Dio e l'umanità sarà sicuramente decisivo per il futuro della fede. E' molto citata la frase di K. Rahner: "il cristiano del futuro o sarà un mistico, cioè una persona che ha sperimentato qualcosa, o non riuscirà ad essere cristiano".

È una vera e propria sfida a credere nell'Amore e a viverlo.

Quarta strofa

Aprendoci, dischiudendoci
fuori di noi,
abbracciando l’abbandono
della gente intorno a noi,
dilagherà la Vita,
raccoglieremo tutti sotto al Cielo.

Così continuo nel lavoro fatto per i sacerdoti della mia diocesi: 

Applicazione della ”uni-trinitarietà”
Tra vescovo e presbiteri, tra questi e le comunità parrocchiali e coi vari movimenti o associazioni, occorre che l’agape, la kenosi e la pericoresi siano sincere e fattive per far si che la testimonianza di fede diventi palpabile e attraente: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Ora se “in principio vi è la relazione” (M. Boober), che fa essere l’Amore, così dev’essere tra noi. La qualità delle nostre relazioni porterà il cambiamento desiderato perché l’unica novità è sempre Dio, che tutto rinnova e tutto muove ed Egli sarà in mezzo a noi, perché l’ha promesso, perché vuole ”divinizzare” le nostre vite:
 

La comunione è il frutto e la manifestazione di quell'amore che, sgorgando dal cuore dell'eterno Padre, si riversa in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci dona (cfr Rm 5, 5), per fare di tutti noi ”un cuore solo e un'anima sola” (At 4, 32). È realizzando questa comunione di amore che la Chiesa si manifesta come ”sacramento”, ossia ”segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano”. Le parole del Signore, a questo proposito, sono troppo precise per poterne ridurre la portata. (NMI 42)
 

Certo occorrerebbe organizzare (come augurava lo stesso Giovanni Paolo II alla chiusura del Sinodo della Chiesa di Roma) ”scuole di ecclesiologia di comunione”, dove s’impari la comunione trinitaria non solo concettualmente ma soprattutto nella pratica. Sempre papa Wojtyla esortava: 

«Occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell'altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità» (NMI 43). 

Tutto questo si auspica da sempre, ma è come se mancassero dei consigli pratici e un “allenamento” per la sua attualizzazione. Non si tratta tanto di creare nuove strutture, ma di cambiarle dal di dentro: «Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita» (Ibid.).15
I frutti che porta nella vita del presbitero, una spiritualità fondata sull’uni-trinità sono davvero notevoli.  Anzi è proprio dal vivere che si giunge a parlare di vita uni-trinitaria: prima la vita e poi la teoria. Tutti i grandi carismi sono nati prima dalla vita e poi vivono la fase di istituzionalizzazione. Essi vengono da Dio e nel tempo Dio li rivela attraverso i vari fondatori, facendocene comprendere la portata, il valore, il servizio, che devono realizzare nella Chiesa, Corpo Mistico di Cristo. Ogni Carisma dunque aiuta tutte le membra della Chiesa locale o universale, per la comunione trinitaria descritta sopra e non se ne può fare a meno, si rischia di vanificare i doni di Dio. Né si può dire che ce ne siano di più belli o meno belli, di migliori o di peggiori. Tutti i Carismi sono doni di Dio e per questo col debito discernimento ecclesiale vanno riconosciuti e aiutati allo stesso modo. Se Dio parla ancora inviando dei nuovi Carismi non è che vuole cancellare quelli già esistenti, semmai desidera che questi si ravvivino. Così i princìpi descritti sopra dell’Uni-Trinità dei rapporti sono fondamentali a qualsiasi membro dell’Ecclesia, ne costituiscono l’anima, il cuore. Se non c’è prima l’AMORE del Dio Trino e Uno, rivissuto coi rapporti agapici, pericoretici e kenotici non ci può essere nient’altro. 


Ritornello

Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            insieme sul crinale
            a guardar la realtà
            con occhi nuovi.
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            si entra nel Mistero
            nella Vita, quella Vera
            all’improvviso.
Per...Dio in me, Dio in te, Dio fra noi
            non ci sono più montagne,
            ma si va subito dentro
            al Cielo, al Cielo, al Cielo.

Davvero la Chiesa sarebbe bellissima se rispecchiasse l'Amore uni-trino, trinitario. Purtroppo dobbiamo fare i conti con l'umano e col demonio, che ci mette i bastoni fra le ruote, ma la guerra sarebbe impari, se non avessimo la GRAZIA di Dio. E proprio perché dalla notra è Dio, dobbiamo crederci con tutte le nostre forze ed essere perseveranti...perché con "la vostra perseveranza salverete le vostre anime".
 

domenica 12 novembre 2017

Ci sto

Anche questa canzone "Ci Sto" è presente nel CD "Buonenuove" ed. Paoline 1999. Mi ricordo che la scrissi per poterla dare a Roberto Bignoli, ma poi quando si presentò l'occasione di fare il primo mio CD "Buonenuove", Bungaro che selezionò le canzoni, la scelse e a Roberto non la mandai più. L'anima rockettara di questa canzone mi era venuta proprio pensando a Roberto, ma esprime anche la mia anima di quel periodo che mi avevano mandato a fare il parroco in una piccolissima parrocchia lontano dalla mia comunità sacerdotale per cui i sacrifici per rimanerci aumentarono. In seguito seppi che ero stato mandato così lontano proprio per poter smembrare la comunità, ma non mollai neanche un pò. Facevo 30 Km all'andare e 30 Km al ritorno a volte in autostrada e a volte per i paesi. In certi giorni che in parrocchia andavo due volte facevo 120 Km. Una volta stanco di tutto il viaggiare mi lamentai col Signore. Mi arrivò una lettera di un amico mio del Perù col quale avevo frequentato la Scuola per seminaristi e sacerdoti, del Movimento dei Focolari a Loppiano. Mi aveva mandato due foto dove per arrivare alla sua parrocchia ci impiegava tre giorni con l'asino, passando tre notti sotto le stelle. Dopo quella lettera non mi sono più lamentato.

Ed ora ascoltiamo la canzone e poi la commentiamo...



Il titolo: Ci sto! Racchiude un "Sì" detto semplicemente in un altro modo. Un "Sì" ad una chiamata, una vocazione a seguire Qualcuno.

Così si legge a proposito di "vocazione" nel Catechismo Degli Adulti (CdA):

"Molti ritengono che la vita sia un’avventura solitaria, un farsi da sé, contando unicamente sulle proprie risorse. Secondo la fede cristiana, la vita è dialogo, risposta a una vocazione, dono che diventa compito. Il concetto di vocazione è tipico della rivelazione biblica. Dio, soggetto trascendente e personale, entra liberamente, come una novità inaspettata, nell’esistenza delle persone. Ad alcuni, come Abramo, Mosè, Amos, Isaia, Geremia, Ezechiele, rivolge direttamente la sua parola. Ad altri, come Aronne e David, fa pervenire la sua chiamata attraverso mediazioni umane.
Nell’Antico Testamento, dirette o mediate, le vocazioni particolari si collocano nell’ambito della comune vocazione degli israeliti ad essere il popolo dell’alleanza. La vocazione comporta sempre un disegno di amore da parte di Dio, una missione da compiere e una forma di vita corrispondente. Attende una risposta libera e fiduciosa di obbedienza da parte dell’uomo.
Ancora maggiore è il rilievo che la vocazione ha nel Nuovo Testamento. Sono chiamati i Dodici, Paolo, i cristiani tutti; alcuni purtroppo rimangono sordi.
Le vocazioni a particolari servizi e forme di vita stanno dentro la comune chiamata alla fede, alla santità, alla missione, alla gloria celeste.
Alla luce della chiamata rivolta al popolo di Dio e ai suoi singoli membri, l’esistenza umana come tale viene interpretata come vocazione. Creato a immagine di Dio, l’uomo è chiamato a dialogare con lui, a conoscerlo, amarlo, incontrarlo, per condividere infine la sua vita nell’eternità.
«La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 19)." (Fonte: http://www.educat.it/catechismo_degli_adulti/&iduib=3_1_21_1)

Nel "Ci sto", titolo della canzone c'è tutta la risposta alla chiamata di Dio.
  
Prima strofa

Ci sto a rompere schemi d’altri tempi, a superare questo tempo.
Ci sto a non seguire la corrente, quel fiume pieno di violenti.
Ci sto a guardare in faccia questo mondo, 

che si perde tra gli spot della nullità.
Ci sto a cambiare casa, a cambiare dove...andrò.

Ci sto a cambiare volto, a cambiare dove sto.

Continuiamo a parlare della vocazione: "La chiamata di Dio si inscrive nelle fibre del nostro essere. Anzitutto ci mette in grado di dargli una vera risposta: un sì o un no. Ci dona la libertà, che è padronanza interiore dei propri atti, autodeterminazione, capacità di scelte consapevoli, non soggette agli istinti spontanei o alle pressioni esteriori. Ci affida a noi stessi: «Se vuoi, osserverai i comandamenti; l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere» (Sir 15,15). (...) Contrariamente a quanto viene suggerito dalla mentalità edonistica, individualistica e nichilistica, siamo liberi per aderire alla verità e per attuare il bene: «La vera libertà è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l’uomo in mano al suo proprio consiglio, così che egli cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con l’adesione a lui, alla piena e beata perfezione» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 17)."
(Fonte: http://www.educat.it/catechismo_degli_adulti/&iduib=3_1_21_1)

"Superare questo tempo" ho scritto nella canzone, per me significa scegliere il tempo di Dio e abbandonare il modo di essere nel tempo degli uomini, sempre a perdere tempo appresso alle mode ad esempio, abbandonare il modo consueto di pensare la realtà, superando quanto a volte si dice spontaneamente: funziona così... Ma se ti metti nelle mani di Dio, non puoi sapere come funziona, devi stare continuamente all'ascolto per riuscire a capire il da farsi, quale strada, quale percorso intraprendere e poi farsi sorprendere dalle novità di cui è ricca la vita di un chiamato.
"Non seguire la corrente" dico nella canzone. Significa appunto che c'è un mondo che va alla perdizione ed io con l'aiuto di Dio cerco di remare contro, di andare contro corrente. Anche se è una fiumana perché quasi tutti vanno per quella strada semplice e piena di ogni piacere mondano. Infatti, "molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti" (Mt 22, 14).
 "Guardare in faccia questo mondo" capire come è realmente e rifiutare ogni compromesso con esso, sempre con l'aiuto di Dio, è un lavoro giornaliero. A volte bisogna saper stanare gli agguati del mondo che all'improvviso ti piomba addosso e può sporcarti in un attimo di disattenzione, in un momento in cui la guardia l'hai abbassata un pochino. Che fatica girare canale quando ci sono spot indecenti.
"Cambiare casa, cambiare dove sto..." Ecco il "Sì" ad essere disponibili per un esodo, dall'io al tu-Tu. È una continua "estasi", una continua uscita da sè. Anche qui quanto lavoro per non rinchiudersi in sé stesso...Anche qui ci vuole l'aiuto di Dio.

Insomma ogni frase è una risposta alla chiamata di Dio e un confermare a voler percorrere le strade di Dio e non quelle del mondo.

Seconda strofa

Ci sto a spogliarmi di quei panni sporchi, a soffrire per la morte.
Ci sto ad accontentarmi anche del poco, a non cantar sempre vittoria.
Ci sto a fare in pieno la mia parte anche se mi costerà, mi costerà.

Ci sto a cambiare casa, a cambiare dove... andrò.
Ci sto a cambiare volto, a cambiare dove... sto.


Si legge sempre nel CdA:  "Con la sua chiamata interiore Dio suscita la nostra libertà e si offre come meta alla nostra ricerca. Intanto ci viene incontro pubblicamente nella storia, inviando il suo Figlio Gesù Cristo a invitare tutti gli uomini alla festa della vita eterna. «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22.) L’iniziativa del suo amore ci interpella. Accettare il suo dono con «la fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6) significa realizzare se stessi; rifiutare il suo dono con il peccato significa perdere se stessi. «Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita» (1Gv 5,11-12). La risposta che daremo risulterà decisiva per la nostra riuscita o per il nostro fallimento. A ognuno di noi il Signore Gesù ripete l’appello rivolto al giovane ricco: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti... Se vuoi essere perfetto,... vieni e seguimi» (Mt 19,1721). Se vuoi vivere, devi fare il bene. L’urgenza della salvezza fonda l’obbligazione morale."
(Fonte: http://www.educat.it/catechismo_degli_adulti/&iduib=3_1_21_1)

"I panni sporchi" sono quelli della condizione di peccato. Quando si incontra Gesù ci facciamo subito doccia e shampo, e ci dona "il vestito nuovo" della festa.
"Soffrire per la morte" Oggi si tende a esorcizzare il dolore credendolo qualcosa di negativo e superfluo, ma Gesù con l'Incarnazione, ha preso in sé, nella natura divina, tutti i dolori umani e li ha riempiti della sua presenza tanto che San Paolo può dire: "Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2, 20). Essere disponibili "a bere al calice di Gesù" la propria goccia di sofferenza per la salvezza del mondo, ci fa co-redentori con Cristo. Il dolore dunque ha un valore enorme nell'economia della salvezza personale e dell'umanità intera. Certo costa lacrime e sangue, non è una passeggiata. Lo leggiamo nella vita di tutti i mistici. Dio chede la loro partecipazione alla sua passione ed è il più grande dono che Dio può farci, ma la mentalità della cultura nichilista ed edonista, ha svilito e smarrito il senso cristiano della sofferenza, giungendo a chiedere di morire prima, con la "morte assistita" che dicono: in un paese civile dovrebbe essere normale poterla ricevere. Ma se da una parte la stessa civiltà per avere figli sono disposti a surrogare donne infelici, dall'altra la vita la vogliono terminare come vogliono loro e quando vogliono loro e non parliamo poi di quanti omicidi-aborti si compiono in nome della libertà di mettere al mondo figli quando e come si vuole. Una società che esalta la cultura della morte quale futuro potrà avere?
Così Papa Francesco ai rappresentanti dell’associazione Scienza & Vita nel decennale della sua creazione (30 maggio 2015):
"Il grado di progresso di una civiltà si misura proprio dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili, più che dalla diffusione di strumenti tecnologici. Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente." (Fonte: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/may/documents/papa-francesco_20150530_associazione-scienza-vita.html)

Insomma seguire la "chiamata di Dio" non è semplice e "cambiare casa" come dico nella canzone non è una passeggiata e neanche "cambiare volto", ossia farsi permeare così fortemente da Gesù da non avere più semplicemente il proprio volto, ma quello di Gesù. Daltronde Lui ci ha detto: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13, 35). L'amore dunque ci da un altro volto, quello di nostro Signore.


 Primo ritornello

E non vivrò per possedere, né per ingannare il tempo,
per accumulare sogni, né per altre infermità...
ma sarò per te; si sarò per te: uomo nuovo, uomo libero, uomo Dio per Dio.


 Quando si incontra Dio, in Gesù e si fa esperienza del suo amore, non si ha bisogno di altro. Non hai bisogno di possedere denaro, cose, sedie di potere... né hai bisogno di divertirti sballandoti, perché con lo sballo perdi la lucidità di amare, permettendo al "subdolo" di farti del male e farne... Quanti ragazzi dopo le sbornie perdono la vita in incidenti mortali, quanti muoiono per le droghe di ogni tipo... Con Gesù non hai bisogno di drogarti perché LUI È TUTTO. Non hai bisogno di sognare altro che la caparra di Paradiso qui e, il godimento completo di là. E tutto si risolve nell'amare Dio e il Prossimo. E qui vi invito a sentire e vedere l'intervista fatta da Monica Mondo a Giovanni Ramonda Presidente dell'Associazione Giovanni XXIII fondata da don Benzi:



"Aveva 18 anni Giovanni Ramonda quando arrivò per la prima volta nella comunità di don Oreste Benzi come obiettore di coscienza, perché pensava che servire la patria attraverso il servizio civile fosse più affine al Vangelo. La comunità poi non l’ha più lasciata, colpito com’era da quella dimensione di casa famiglia che portava amore e conforto agli ultimi: ragazze sfruttate nella prostituzione, disabili gravi, stranieri, carcerati…come insegnano le opere di misericordia. Decide così quale sarebbe stato il suo destino: apre la prima Casa Famiglia della Comunità di Don Oreste in Piemonte insieme a Tiziana, che poi diventerà sua moglie, e continua gli studi in pedagogia, per essere padre davvero, di figli suoi e accolti nell’amore. Oggi Giovanni Ramonda ricopre il ruolo di Responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, ed è il primo successore di don Oreste Benzi. A dieci dalla morte di don Oreste, il santo riminese con la tonaca sdrucita che per 50 anni ha testimoniato l’amore scandaloso di Gesù ai diseredati, Giovanni Ramonda a Soul lo racconta, lo fa rivivere nella sua disarmante e profonda semplicità. Parla di famiglia senza il peso delle ideologie, parla delle splendide e necessarie differenze tra padre e madre, parla dell’accoglienza, della Chiesa, di un movimento che oggi vive in tanti paesi del mondo." (fonte: https://www.youtube.com/watch?v=9ngD06m87NA&list=PL6AqvbxnE8H7PE-ApWXO_1LhfkTI0CuZt)

 Abbiamo degli esempi di veri uomini realizzati eppure i giovani vanno in cerca di morti nell'anima che con qualche canzone e un pò di successo attirano, deviano, portano tante volte alla morte invece che verso la vita. La vera trasgressione non è andare contro Dio, ma come dice Giovanni nell'intervista, è amare senza misura chi ti passa accanto ed ha bisogno di te.

Terza strofa

Ci sto ad ascoltare la Parola da dove nascono le idee.
Ci sto a confrontarmi con gli onesti coi disonesti non ci sto.
Ci sto  a rispettare questo Cielo e la stagione che verrà, che verrà.

Ci sto a seminar prato e a creder che si può...
far nascere dei fiori in questa aridità.


Dopo aver rifiutato di ascoltare il mondo, l'unica cosa che si vorrà ascoltare è la PAROLA di DIO, ossia il Verbo incarnato che se ha lasciato le luci nella Sacra Scrittura, non lascia meno luci attraverso la vita di tanti santi. Ecco allora la passione per i mistici, i santi del quotidiano, piccoli e grandi, andarli a scovare, per bere le loro esperienze divine per poter continuare a credere e ad amare.
Quando ti apri a Dio, ti apri alla natura, non solo ne apprezzi la bellezza, ma dietro ne scorgi tutta l'Opera del Creatore e allora ti viene spontaneo partire per andare a seminare la Parola e convincere quante più persone che c'è un Dio per il quale vale la pena spendere la propria vita. E crederci che anche nel deserto di questa realtà, può fiorire un'anima a Dio.

Secondo ritornello

Ma vivrò per starti accanto, per non farti mancar nulla,
perché Dio fosse per te e per tutti quelli che, 

vogliono vivere, esistere, non per sé, coi perché, con Dio, e per Dio.

"L’appello di Dio risuona anche nel cuore dei non credenti. Anche loro infatti avvertono l’imperativo morale fondamentale: fà il bene, evita il male. Lo avvertono come obbligatorio e non solo come ragionevole. Anche quando non c’è un vantaggio personale verificabile, anche quando si tratta con uomini tutt’altro che amabili, si deve fare il bene e non il male. Implicitamente tutti intuiscono che i valori morali sono oggettivi e sono situati nella prospettiva del Bene assoluto che esige obbedienza. Se obbediscono, seguono la chiamata di Dio e accolgono la grazia di Cristo, anche senza saperlo, perché «la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina».
Il cristiano nutre sincera stima per tutti gli uomini di buona volontà; vede in loro dei compagni di viaggio verso la stessa mèta; è disposto a costruire con loro una convivenza giusta e fraterna. Egli rimane però sempre fedele alla propria identità; anzi sollecita con rispetto l’onestà morale a svilupparsi nella direzione della fede esplicita e consapevole.

Insieme a tutti gli uomini siamo chiamati alla vita eterna. Come cristiani siamo chiamati a camminare insieme verso di essa nella Chiesa e a pregustarne un anticipo. La risposta che daremo a Cristo è decisiva per la nostra salvezza." (Fonte: http://www.educat.it/catechismo_degli_adulti/&iduib=3_1_21_1)

Sentire dentro di sè quest'amore all'umanità, per la quale un Dio si è svenato per salvarla, è una conseguenza dell'aver incontrato Dio, che si fa presente a chi lo ama:

"Dice Charles de Foucauld: "Quando si ama qualcuno, si è molto realmente in lui, si è in lui con l'amore, si vive in lui con l'amore, non si vive più in sé, si è 'distaccati' da sé, 'fuori' di sé" .
Ed è per questo amore che si fa strada in noi la sua luce, la luce di Gesù, secondo la sua promessa: "A chi mi ama … mi manifesterò a lui" . L'amore è fonte di luce: amando si comprende di più Dio che è amore. E questo fa sì che si ami ancora di più e si approfondisca il rapporto con i prossimi.
 (..) Quando si va in bicicletta di notte, se ci si ferma si piomba nel buio, ma se ci si rimette a pedalare la dinamo darà la corrente necessaria per vedere la strada.
Così è nella vita: basta rimettere in moto l'amore, quello vero, quello che dà senza aspettarsi nulla, per riaccendere in noi la fede e la speranza."

(fonte: http://www.focolare.org/news/2010/05/01/parola-di-vita-di-maggio-2010/)



lunedì 6 novembre 2017

In Sintonia

Una canzone da questo CD che mi ha dato tante soddisfazioni è "In Sintonia". Il primo titolo che ebbe fu "Sintonizzati" e ha un arrangiamento datato e meno rockettaro e sta nel mio secondo lavoro "Fatti per essere" 1996. Tre anni dopo arrangiata nientepocodimeno che da Bungaro e Claudio Passavanti, diventa "In Sintonia". Ma il lavoro finale con le chitarre fu di Niki Saggiomo. Dovremmo così ascoltare la vecchia versione e poi quella nuova per farci un'idea più chiara. Intanto nacque perché cominciava a portarsi il rap (che ora impera), ed io concepii un ibrido tra melodia e rap. In realtà di rap c'è molto poco. E' un genere che a me non è sceso mai giù. Non me ne vogliano gli estimatori del genere. Ognuno la pensi come vuole. Per me una canzone è tale se ha una melodia, una poesia e non solo rime baciate e parlate ritmicamente con rif che si ripetono fino a romperti il cervello. Ritorniamo a "Sintonizzati". Nel CD Buonenuove era quella più brillante, ma dal messaggio non meno forte.

Ascoltiamola



 Il titolo: IN SINTONIA ne ho già parlato prima. Do qualche altra dritta. Per poter ascoltare una radio hai bisogno di sntonizzarti sulla sua frequenza, allora devi cercarla fra tante la tua radio preferita, o il tuo canale preferito in televisione. Il succo della canzone è questo: mettiti in cerca del canale giusto, quello che ti da vita e non morte.

Prima strofa

123456...
Bisogna far tacere tutte le altre voci
per poter sentire solo quella del cuore.
(Ma come fare in mezzo ad una giungla di rumori
ad ascoltare quella voce.) x 2

Le frequenze sono numeri e dunque bisogna cercare tra tante e tanti numeri fino a che non trovi e ascolti il mesaggio che ti aggrada. Ma c'è una frequenza, quella del cuore, che viene intercettata solo da Dio e allora lì devi saperti sintonizzare. Bisogna far tacere tutto quanto è rumore, distrazione, solo allora potrai "sentire" ed ascoltare, la "voce" di Dio in te.
"Il cardinale Robert Sarah ha dedicato il suo ultimo libro, pubblicato in Francia ed edito da Fayard, La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore, una conversazione con Nicolas Diat, con il quale aveva già firmato Dio o niente (2015). Il Dio silenzioso, che non parla né interviene nelle cose di questo mondo in modo palese è anche la più ovvia delle giustificazioni per quanti ne negano l’esistenza, professandosi banalmente agnostici o rifacendosi a dotte elucubrazioni kantiane.

Così si legge in un articolo di Matteo Matzuzzi sul Foglio on line (http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/10/09/news/il-silenzio-di-dio-105069/). E continua...

"Il silenzio è un tema complesso che ha scandagliato l’anima dei padri della chiesa fin dai primi tempi, che ha angustiato filosofi credenti e atei, posto interrogativi e indotto a pensare. Soren Kierkegaard – citato ampiamente nel volume – vi dedicò pagine stupende, basti pensare all’indagine sul silenzio di Abramo, angosciante e sofferente. “Devo umilmente riconoscere che ho balbettato di fronte a un così grande mistero”, scrive Sarah. “Chi potrebbe parlare del silenzio, e soprattutto di Dio, in una forma adeguata? Possiamo tentare di parlare di Dio solo a partire dalla nostra propria esperienza di silenzio. Perché Dio è avvolto nel silenzio e si rivela nel silenzio interiore del nostro cuore”. Nel cuore dell’uomo c’è “un silenzio innato, perché Dio abita nel profondo di ogni persona. Dio è silenzio, e questo silenzio divino abita l’uomo. In Dio, noi siamo inseparabilmente legati al silenzio. La chiesa può affermare che l’umanità è figlia di un Dio silenzioso”. Un silenzio che, scriveva Thomas Merton, può essere insopportabile ed è proprio qui che sta la più grande difficoltà dell’uomo: cercare Dio nel (e con il) silenzio. E’ qui che gioca un ruolo determinante la fede, perché “il silenzio divino è una rivelazione misteriosa”. Si torna al punto di partenza, al tentativo di comprendere quel silenzio nel dramma dell’umanità. Elie Wiesel scrisse che per lui Auschwitz non fu solo uno scandalo umano ma anche teologico: come è stato possibile, dov’era Dio mentre i treni piombati entravano nel campo polacco? Il filosofo tedesco di religione ebraica Hans Jonas ha tentato di rispondere con argomentazioni alte e sopraffini, concludendo che Dio non può essere onnipotente, avendo la libertà umana in fondo la possibilità di fermare la mano divina.

“Ma se Dio rinuncia alla potenza, allora non è Dio”, scrive Sarah. “L’infinito di Dio non è un infinito nello spazio, un oceano senza fondo e senza sponde”. Dio – osserva il cardinale – “non è indifferente al male. In primo luogo, possiamo credere che Dio permetta il male per distruggere gli uomini. Ma se Dio tace, soffre con noi per il male che ha lacerato e sfigurato la terra. Se cerchiamo di essere con Dio nel silenzio, si capisce la sua presenza e l’amore”. L’uomo è ansioso di dare una risposta alle difficoltà, alle sofferenze, ai disastri che si abbattono sull’umanità. Da sempre è così, fino dai tempi di Giobbe. “Ma ci dimentichiamo che l’origine dei nostri mali nasce dall’illusione che siamo qualcosa di diverso dalla polvere. L’uomo che si fa divinità non vuole riconoscere che è un mortale”. Giovanni Paolo II disse che “il silenzio divino è spesso motivo di perplessità e persino di scandalo, tuttavia non si tratta di un silenzio che indica un’assenza, quasi che la storia sia lasciata in mano ai perversi e il Signore rimanga indifferente e impassibile”. In realtà, chiosava Karol Wojtyla, “quel tacere sfocia in una reazione simile al travaglio di una partoriente che s’affanna, sbuffa e urla. E’ il giudizio divino sul male, raffigurato con immagini di aridità, distruzione, deserto, che ha come meta un risultato vivo e fecondo”.

Il fatto è che “molti dei nostri contemporanei non possono accettare il silenzio di Dio. Non ammettono che sia possibile entrare in comunicazione in modo diverso che non siano le parole, i gesti o le azioni concrete e visibili”. Ma “Dio parla attraverso il silenzio”. Il suo silenzio è una parola. Per comprenderlo, oggi, si deve salire su qualche eremo isolato o calpestare le pietre fredde di vecchi monasteri – sempre più rari – rimasti quasi uguali nei secoli. O ancora, scalare le vette montane, come suggeriva Giovanni Paolo II, per accorgersi che Dio effettivamente esiste, ché quella beltà non può che derivare dal disegno misterioso e affascinante del Creatore."... (conviene leggere tutto l'articolo)

Seconda strofa

Come alla radio cerchi la frequenza giusta,
così il tuo battito ha il suo ritmo, il suo numeretto.
Ritmare tu lo sai da Dio, t’ ha musicato
ascolta pure senza più paura.
Ebbene sì Dio ci ha creati a sua immagine e ha lasciato dentro di noi gli aneliti al sovrannaturale. In qualche modo Egli ci ha creati per poterlo incontrare. Ma qualcosa va storto quando l'anima creata dell'Eterno Padre si unisce alla carne. Un "rumore" determina una dimenticanza di Dio e quelle poche luci che rimangono, possono essere soffocate dalle tante ideologie che l'umanità si crea di tanto in tanto. Ma se avessimo la lucidità di cercare  "in fondo all'anima" troveremmo il senso dell'esserci, dell'essere e del vivere, ossia Dio.

Così Gesù spiega nell'Evangelo come mi è stato rivelato come l'anima veniente da Dio si sporca con l'innestarsi nella carne, ma come a Maria Santissima, anche tanti Santi, rimane il ricordo di Dio creatore...

Questa mirabile cosa che è l’anima, cosa da Dio creata per dare all’uomo la sua immagine e somiglianza come segno indiscutibile della sua Paternità Santissima, risente delle doti proprie di Colui che la crea. E’ dunque intelligente, spirituale, libera, immortale come il Padre  che l’ha creata.
Essa esce perfetta dal pensiero divino e nell’attimo della sua creazione essa è uguale, per un millesimo di attimo, a quella del primo uomo: una perfezione che comprende la Verità per dono gratis dato. Un millesimo di attimo. Poi, formata che sia, è lesionata dalla colpa di origine.
(cap. 129.9  “Evangelo come mi è stato Rivelato”)

Dice Gesù:
«Maria si ricordava di Dio. Sognava Dio. Credeva sognare. Non faceva che rivedere quanto il suo spirito aveva visto nel fulgore del Cielo di Dio, nell'attimo in cui era stata creata per essere unita alla carne concepita sulla terra. Condivideva con Dio, seppure in maniera molto minore, come giustizia voleva, una delle proprietà di Dio. Quella di ricordare, vedere e prevedere per l'attributo della intelligenza potente e perfetta, perché non lesa dalla Colpa.
L'uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. Una delle somiglianze è nella possibilità, per lo spirito, di ricordare, vedere e prevedere. Questo spiega la facoltà di leggere nel futuro. Facoltà che viene, per volere di Dio, molte volte e direttamente, altre per ricordo che si alza come sole su un mattino, illuminando un dato punto dell'orizzonte dei secoli già visto dal seno di Dio. Sono misteri che sono troppo alti perché li possiate comprendere in pieno.
 
Ma riflettete. Quell'Intelligenza suprema, quel Pensiero che tutto sa, quella Vista che tutto vede, che vi crea con un moto del suo volere e con un alito del suo amore infinito, facendovi suoi figli per l'origine e suoi figli per la mèta vostra, può forse darvi cosa che sia diversa da Lui? Ve la dà in parte infinitesimale, perché non potrebbe la creatura contenere il Creatore. Ma quella parte è perfetta e completa nella sua infinitesimalità.
 
Quale tesoro di intelligenza non ha dato Dio all'uomo, ad Adamo! La colpa l'ha menomato, ma il mio Sacrificio lo reintegra e vi apre i fulgori della Intelligenza, i suoi fiumi, la sua scienza. Oh! sublimità della mente umana, unita per la Grazia a Dio, compartecipe della capacità di Dio di conoscere!... Della mente umana unita per la Grazia a Dio.
Non c'è altro modo. Lo ricordino i curiosi di segreti ultra umani. Ogni cognizione che non venga da anima in grazia - e non è in grazia chi è contrario alla Legge di Dio, che è ben chiara nei suoi ordini - non può che venire da Satana, e difficilmente corrisponde a verità, per quanto si riferisce ad argomenti umani, mai risponde a verità per quanto si riferisce al sopraumano, perché il Demonio è padre di menzogna e seco trascina su sentiero di menzogna.
 
Non c’è nessun altro metodo, per conoscere il vero, che quello che viene da Dio, il quale parla e dice o richiama a memoria, così come un padre richiama a memoria un figlio sulla casa paterna, e dice: "Ricordi quando con Me facevi questo, vedevi quello, udivi quest'altro? Ricordi quando ricevevi il mio bacio di commiato? Ricordi quando mi vedesti per la prima volta, il folgorante sole del mio volto sulla tua vergine anima testé creata e ancora monda, perché appena da Me uscita, dalla tabe che ti ha poi menomata? Ricordi quando comprendesti in un palpito d'amore cosa è l'Amore? Quale è il mistero del nostro Essere e Procedere?". E, dove la capacità limitata dell'uomo in grazia non giunge, ecco lo Spirito di scienza che parla e ammaestra.
 
Ma, per possedere lo Spirito, occorre la Grazia. Ma, per possedere la Verità e Scienza, occorre la Grazia. Ma, per avere seco il Padre, occorre la Grazia. Tenda in cui le Tre Persone fanno dimora, Propiziatorio su cui posa l'Eterno e parla, non da dentro alla nube, ma svelando la sua Faccia al figlio fedele.
 
I santi si ricordano di Dio. Delle parole udite nella Mente creatrice e che la Bontà risuscita nel loro cuore per innalzarli come aquile nella contemplazione del Vero, nella conoscenza del Tempo.
Maria era la Piena di Grazia. Tutta la Grazia una e trina era in Lei. Tutta la Grazia una e trina la preparava come sposa alle nozze, come talamo alla prole, come Divina alla sua maternità e alla sua missione. Essa è Colei che conclude il ciclo delle profetesse dell'Antico Testamento e apre quello dei “portavoce di Dio” nel Nuovo Testamento.

 
Arca vera della Parola di Dio, guardando nel suo seno in eterno inviolate, scopriva, tracciate dal dito di Dio sul suo cuore immacolato, le parole di scienza eterna, e ricordava, come tutti i santi, di averle già udite nell'esser generata col suo spirito immortale da Dio Padre creatore di tutto quanto ha vita. E, se non tutto ricordava della sua futura missione, ciò era perché in ogni perfezione umana Dio lascia delle lacune, per legge di una divina prudenza, che è bontà e che è merito per e verso la creatura. 

Eva seconda, Maria ha dovuto conquistarsi la sua parte di merito nell'esser la Madre del Cristo con una fedele, buona volontà, che Dio ha voluto anche nel suo Cristo per farlo Redentore.
 
Lo spirito di Maria era nel Cielo. Il suo morale e la sua carne sulla Terra, e dovevano calpestare terra e carne per raggiungere lo spirito e congiungerlo allo Spirito nell'abbraccio fecondo». 
(I volume  cap. 10 “Evangelo come mi è stato Rivelato”)

Ritornello

Se ti sei sintonizzato proprio adesso
batti le mani, batti il cuore, batti te stesso.
Abbatti indifferenza e qualunquismo,
barriere secolari, muri d’ogni età...
Stiamo per diventare un’altra realtà:
uno...  123456
Quale gioia sapersi in Dio! E lo siamo realmente se siamo in Grazia.

Chiara Amirante e la gioia dell'incontro con Gesù.

Terza strofa

Quando son smorte, spente tutte le altre voci
puoi ascoltare bene solo quella del cuore,
che ti ricrea, ti solleva, ti sostiene, t’avvicina
a tutte le altre persone.
Quanta fatica liberarsi della zavorra umana. Quanti pesi inutili e a volte creduti indispensabili. Quanti libri inutili, quanta confusione, creata in nome di grandi valori, come la libertà, la giustizia, l'uguaglianza... abbiamo visto e constatato dove arriva l'uomo da solo col suo solo pensiero umano. Arriva ad Auschwitz, ai Gulag e agli sterminii di interi popoli ancora sotto ai nostri occhi e in nome di che? Come le vogliamo chiamare ideologie? Esse sono sataniche inutile girarci intorno, come prima detto, ogni pensiero che non nasce da Dio Amore, è non amore e conduce inevitabilmente alla morte. Il crudele nemico si fa amico degli uomini per renderli crudeli e poi goderseli nell'inferno, con tutto l'odio da lui creato. O umanità alla deriva, quando ti sveglierai dal torpore delle droghe, che salgono dall'inferno per strapparti all'Eterno Creatore? Quando rinsavirari e capirai che ogni corruzione viene dal demonio e che ci stai dentro quasi totalmente ormai, diventando nemica di te stessa e di tutti coloro che vogliono amare l'Amore? 

Oh Signore, liberaci dalle strette del nemico
rinvigorisci in noi fede, speranza e carità
Vieni in aiuto della nostra debolezza,
rendici forti nella testimonianza
fino a poterti rendere la stessa vita che tu cihai donato.

Quarta strofa

Quando hai deciso di camminare in quella direzione
con l’anima aperta come fosse un portone,
ti senti luccicare, illuminare, sollevare
verso quell’unico sole.


Bisogna decidersi per Dio
, con forza, senza tentennamenti, e fare in modo che la voce di Dio aplificata in noi, possa resistere agli assalti delle forze infernali. Per fare questo bisogna alimentarsi ogni giorno, ogni attimo alla GRAZIA. La preghiera deve diventare un "habitus", ossia qualcosa di cui non poterne fare a meno. Sia quella vocale, ma soprattutto quella mentale e poi fare tutto per Gesù e offrire infine i dolori, le incomprensioni, le sofferenze... E poi la meditazione della Parola, e soprattutto metterla in pratica. E poi i Sacramenti, che sono fonti vivaci della Grazia di Dio a cui bisogna accostarsi con amore, animo lieto, gioioso, trepidante, perché attraverso essi Dio viene in noi. Far funzionare molto la Confessione e la direzione spirituale. Insomma sempre vigilanti per non soccombere in un mondo tormentato dagli inferi:

"Le guerre vengono" da Satana che sa che i tempi stringono e che questa. [II guerra mondiale] è una delle lotte decisive che anticipano la mia venuta. Sì. Dietro il paravento delle razze, delle egemonie, dei diritti, dietro il movente delle necessità politiche, si celano, in realtà, Cielo e Inferno che combattono fra loro. E basterebbe che metà dei credenti nel Dio vero, ma che dico? meno di questo, meno di un quarto dei credenti,  fosse realmente credente nel mio Nome perché le armi di Satana venissero domate. Ma dove è la Fede?"
"I Quaderni del 1943", pagg. 24 - 25

Se ci decidiamo per Dio veniamo sollevati dal fango di questa valle di lacrime che è la terra. Potremo sperimentare la gioia dell'incontro come raccontano tanti santi e tanti convertiti.

Di nuovo il ritonello

Se ti sei sintonizzato proprio adesso
batti le mani, batti il cuore, batti te stesso.
Abbatti indifferenza e qualunquismo,
barriere secolari, muri d’ogni età...
Stiamo per diventare un’altra realtà:
uno...  123456

 
 Finalmente sintonizzati sull'unico canale possibile per il quale c'è salvezza potremo sperimentare la gioia di essere in Dio. Anche un famoso artista come Bocelli, testimonia la bellezza di essere credenti: 

"Il famoso tenore ha postato sul suo profilo Instagram una foto che lo ritrae sorridente, in maglia nera a maniche corte con il rosario al collo. Parole di gratitudine, impegno e fiducia accompagnano la bella immagine. Sì, Andrea Bocelli crede in Dio, ringrazia il Cielo per questo dono ed è felice di testimoniarlo.
Non è la prima volta che l’artista condivide pubblicamente la sua fede. Recentemente, a fine settembre, nella versione online de Il Mattino sono comparse le sue dichiarazioni alla prima del film «La musica del silenzio» – andato in onda da poco in televisione – liberamente tratto dall’omonimo romanzo scritto dallo stesso Bocelli e dove il tenore compare in un cameo.
In quell’occasione ha affermato:
«Il caso non fa parte della vita, questa è una illusione. Il mio è anche un messaggio di fede, anche dietro alla mia vita, come dietro alla vita di ciascuno, io penso che ci sia una regia precisa. Anche il talento non è un merito personale ma un dono. Ogni vita è una storia a sé che risponde ad una regia precisa». (Ilmattino.it)
E poi: «(…) la mia vita è servita se non altro a spiegare a me stesso che non c’è niente per caso nella vita. Il caso non esiste, è un’illusione di uomini superbi e senza legge che hanno sacrificato alla ragione le verità su cui tutto si regge». (Ilmattino.it)
“Senza la fede è difficile dare un senso alla vita”
Nel dicembre 2016 ha dichiarato su Credere che:
“Alcuni interrogativi esistenziali, con l’età adulta, sono tornati, impellenti… Anche perché obiettivamente senza la fede è diffi­cile dare un senso alla vita. Senza la fede il nostro transito terreno è una tragedia annunciata che, nel migliore dei casi, termina con la vecchiaia, la malattia e la morte. Ho iniziato allora una ricerca perfino spasmodica, che alla fine, grazie a Dio, ha dato buoni frutti” (Adnkronos.com)" 

Special e finale

Feel your beat (segui il tuo ritmo)
Jesus is your beat
(Gesù è il tuo battere)
God is our cuntry (Dio è la nostra Patria)
God almighty, Lord, (Dio onnipotente, Signore)
my joy, my life, my all…
(sei la mia gioia, la mia Vita, tutto sei)

Il finale è una preghiera di riconoscmento filiale. Senza Dio non c'è niente. Dio è la nostra Patria, è in Lui che trascorreremo il resto della nostra esistenza ultraterena. E' Lui la nostra vera Patria. Vale la pensa dedicare tutte le nostre forze per raggiungere tale meta.

Così ci esorta Azaria, angelo custode di M. Valtorta:

Ricordatevi di possedere uno spirito. Ricordatevi che lo spirito è eterno. Ricordatevi che per il vostro spirito è morto un Dio. Avete tanta paura di un malanno che poco dura, e non temete l’orrore della dannazione i cui tormenti non hanno termine.(…)
Imitate  il Maestro in ogni cosa. Ecco il segreto che salva. Se Egli prega, pregare. Se Egli opera, operare. Se Egli si sacrifica, sacrificarsi. Nessun discepolo è da più del Maestro e diverso dal Maestro.
(Dal Libro di Azaria 13.10.43)