Avevo nel cassetto "Ogni giono di più". Mi venne l'idea di implementare diversi linguaggi per poterla "descrivere". Così, in vista dell'esame, la feci subito arrangiare dal maestro ed amico Franco Cleopatra, pomiglianese doc, creai un powerpoint e masterizzai tutto. Scrissi una tesina per descrivere come era nata quella canzone. Consegnai tutto qualche tempo prima e poi mi presentai all'esame. Il professore non mi fece neanche sedere. Scrisse trenta e lode sul libretto e mi chiese di poter pubblicare tutto sul suo sito.
E pensare che mentre ero fuori ad aspettare il mio turno, l'ansia mi divorava, perché non potevo sapere se mi faceva qualche domanda anche sulla dispensa, che avevo letto, ma non ero riuscito proprio a capacitarmi tra tante teorie da Platone a Gadamer...
Ebbi una provvidenziale fortuna. Al professore piacque la canzone e il modo in cui l'avevo decostruita e raccontata in diversi linguaggi: scritto, cantato, illustrato in modo poetico e usando in modo scientifico le citazioni dal suo libro.
Insomma, rileggendo l'elaborato, mi rendo conto che fui ispirato in tutto anche nello scegliere le citazoni del prof., ma adesso ascoltiamo la canzone.
Così scrivevo nell' introduzione dell'elaborato per l'esame di Filosofia del linguaggio.
In queste poche pagine vorrei raccontare come
nasce una canzone.
Si parte sempre da un’esperienza carica di
emotività, che ti trascende, che fa nascere dentro sensazioni, pensieri,
colori, profumi, paesaggi e quant’altro in un modo che nemmeno sai e quando lo
racconti in parole e musica che da una parte dicono e dall’altra non dicono
tutto. Il “dentro” è difficile da raccontare, descrivere, cantare. È vero anche
che se non lo fai stai male e si è quasi “costretti” a cacciar fuori e finché
non accade è gioia e dolore.
Dividerò i paragrafi secondo la divisione delle
strofe, dei lanci e dei ritornelli della canzone, che ho intitolato: “Ogni giorno
di più”. La scrissi qualche anno fa a ricordo di un’esperienza vissuta a bordo
di un aereo che mi portava da Cagliari a Napoli. Il testo lo porrò al centro di
ogni paragrafo come in un pensiero, reso dal disegno di una nuvola, che spesso
incontriamo nei fumetti.
Il testo della canzone così è indipendente dal
narrato. Quest’ultimo farà da corona. Intendo infatti esplicitare la canzone
attraverso la descrizione e il ricorso al libro del professor Zelindo Trenti, Opzione
Religiosa e dignità umana. Allegherò allo scritto anche il CD con la
canzone registrata e musicata e il relativo power point che uso, quando svolgo
qualche incontro di formazione. Dunque la canzone può essere ascoltata con
lettore CD soltanto o anche col computer facendo partire il power point.
1. Prima strofa:
Dal silenzio
«L’uomo è dunque a contatto con il mondo perché “ha un mondo” e il mondo
ha accesso alla sua esistenza perché e in quanto questa gli fa spazio».[1]
Ma quando l’uomo si apre a questa possibilità? Quando la sua esistenza
resistendo a tutte le resistenze, si apre all’oltre?
Ero lì ad attendere l’imbarco e già pregustavo l’ebbrezza del volo e la
paura. La solita paura. Ma cosa può accadere? Ho ancora i volti degli amici che
mi hanno salutato e adesso sono solo a guardarmi dentro e fuori. Ecco ci
imbarchiamo. Solita routine. I motori sono al massimo. Si parte. Sudore, ansia,
preghiere sillabate sulle labbra chiuse. Dagli occhiali da sole guardo fuori.
Il mare, le nuvole il rosso del tramonto. «Non si può descrivere l’infinito
mentre lo si prova; ma non lo si può neppure descrivere senza averlo provato».[2]
Così Leopardi nello Zibaldone. È così vero! La paura di perdere la vita
in un attimo ti mette davanti solo la dura possibilità di accettare la morte o
la vita. Se stai attento però oltre c’è un incontro e lo scopri nel silenzio
delle possibilità, nella vita che avanza. Ci sei solo tu e un’Altra Presenza
che ti interpella, vuol farti sentire la sua bellezza, più che fartela
guardare. Lassù. Ci sono. L’aereo va oltre le nuvole. Ed è silenzio e bellezza.
Il mondo è piccolo coi suoi rumori, le nuvole giocano seriamente a spingersi
col vento ora formano astronavi, ora funghi giganti, ora maschere nere.
L’attimo presente è carico di presenza, se solo riuscissimo a svuotarci d’ogni
ingombro, potremmo e sapremmo incontrare quanto “presagito” dalla nostra
finitudine.
[1] Z.
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, Roma, Armando Editore, 2001, 132
[2] Citato in
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 136
2. Seconda strofa: Dai pensieri

[1]
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 133
[2]
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 132
[3] Cfr.
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 144
3.
Primo lancio: La scelta
Tra qualche ora sarò a casa, ma questa sospensione mi piace. Resterei per
sempre in questa pace, anche se frammista ad altre emozioni. La realtà dell’esserci
a volte è dura, si vorrebbe scappare. Cosa dire a quell’amico a cui hanno
diagnosticato un cancro maligno? E a quel ragazzo che fin da quando aveva
cinque anni ha ricevuto violenza su violenza ed ora vorrebbe sfuggire alla sua
omosessualità, ma se la ritrova dentro ad ogni passo. “A volte – mi diceva – mi
sembra d’impazzire”. Io non so che dire davanti a tanto dolore. Perché? So solo
che un altro ha pronunciato gridando la stessa parola. Lì, in quel grido, ha
preso in sé, tutti i dolori umani e li “ha riempiti” della sua presenza. Da
quell’evento ogni dolore è suo: “Non sono più io che vivo ma Cristo che vive in
me”, lo aveva capito Paolo. Dio umanandosi assumeva la natura umana e dava
valore e consistenza a quanto la sapienza umana non aveva mai pensato di potere
e dare valore: il dolore. Ma capirlo è altro che viverlo, sentirlo negli altri
è altro che portarselo dentro. Davanti al dolore, nonostante si potrebbero
avere le “ragioni”, so fare solo silenzio o ridiscendere nella realtà e
continuare ad essere prossimo, come posso, col poco che sono. Magari con una
canzone.
Scegliere tra il bene e il male, tra il fare o non fare del bene, tra il vivere o farsi vivere dalla vita, tra l’impegno o il disinteresse. Un’opzione che dà senso all’esserci, che ti qualifica come cittadino del mondo, che ti dà dignità se scegli la vita e se scegli di morire, diventi oggetto della tua propria disperazione. Essere equivale a relazione, esistiamo se siamo in relazione attiva, costruttiva. Direi che essa è “fondativa” per l’esistenza. Purtroppo oggi va di moda la “deradicizzazione”, ossia il vivere senza radici. Le mete sono follie o effimere rappresentazioni di palchi multimediali da sogno. Avere radici significa disporsi ad essere “linfati” dalla storia, che insegna. Significa radicarsi nel presente, che è il frutto del retaggio del vissuto e dei progetti futuri. C’è un presente dove consumare tutto e subito, ma è falso. Bisognerebbe dirlo alle nuove generazioni. Non si può vivere senza progetto consumando tutto qui ed ora. L’exstasi, la droga dell’attimo fuggente è il volto sconsolante di certe ideologie di morte che oggi purtroppo sono amplificate anche dai media.
Scegliere tra il bene e il male, tra il fare o non fare del bene, tra il vivere o farsi vivere dalla vita, tra l’impegno o il disinteresse. Un’opzione che dà senso all’esserci, che ti qualifica come cittadino del mondo, che ti dà dignità se scegli la vita e se scegli di morire, diventi oggetto della tua propria disperazione. Essere equivale a relazione, esistiamo se siamo in relazione attiva, costruttiva. Direi che essa è “fondativa” per l’esistenza. Purtroppo oggi va di moda la “deradicizzazione”, ossia il vivere senza radici. Le mete sono follie o effimere rappresentazioni di palchi multimediali da sogno. Avere radici significa disporsi ad essere “linfati” dalla storia, che insegna. Significa radicarsi nel presente, che è il frutto del retaggio del vissuto e dei progetti futuri. C’è un presente dove consumare tutto e subito, ma è falso. Bisognerebbe dirlo alle nuove generazioni. Non si può vivere senza progetto consumando tutto qui ed ora. L’exstasi, la droga dell’attimo fuggente è il volto sconsolante di certe ideologie di morte che oggi purtroppo sono amplificate anche dai media.
4.
Primo ritornello: Il sogno
«L’uomo ha sempre sperato di dare un nome e un volto alla propria utopia».[1]
Da quassù tutto sembra più semplice, anche morire. Un vuoto d’aria, un po’ di
turbolenza…potrebbe accadere l’irreparabile. Ecco l’oltre che riaffiora. Sono
pronto? Quante cose si lasciano giù, che non sono state finite, completate!
Vorrei un orizzonte nuovo a cui fare riferimento. Non mi basta sperare
solo per me, chiedere solo per i miei progetti. Non posso far finta che gli
altri non esistono. Non sono solo su quest’aereo, come non sono solo sul mondo.
Si scopre che c’è un rapporto con l’altro da “restaurare”.[2]
Non si può più vivere facendo finta che l’altro non esiste. «L’uomo che rischia
la vita e la spende per una causa giusta paga nel tempo un prezzo che riscatta
la sua vita oltre il tempo».[3]
Bisogna radicarsi nella vita, cercando di non sciuparla. Una scelta totalitaria può darle senso. Il “presagito”
si mostra e nasce il “sì”. «E’ di fronte al richiamo misterioso di Dio che
l’uomo legge la propria responsabilità, presagisce una consegna ed elabora una
risposta».[4]
La risposta coincide col sogno di Dio: renderci simili a Lui. Se il nostro
sogno coinciderà con quello di Dio, pace è fatta in noi e tra noi. E’ utopia?
[1] TRENTI, Opzione religiosa e dignità umana, 205
[3]
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 229-230
[4]
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 228
5.
Terza strofa: Ali di gabbiano
«L’uomo trova nel richiamo di Dio il suo spazio di libera e gratuita
adesione. Dio rivela nella libera risposta dell’uomo il suo autentico volto di
creatore che fonda e sollecita l’esistenza senza incupirla nelle maglie di un
disegno prestabilito e obbligante».[1]
Bisogna essere davvero liberi, per poter incontrare Dio. Ma chi lo è mai
totalmente? Sono sprazzi di luce, attimi. Eppure la vita cambia. Guardo
indietro e mi ritrovo in una fabbrica a rotolare stoffe sintetiche, a scaricare
camion, a lavorare sodo fino a dieci a volte dodici ore al giorno. A sera la
stanchezza era tale che quando facevamo le prove col gruppo di amici, coi quali
suonavo per divertimento, mi addormentavo nonostante il rumore, nonostante che
avessi tra le mani la chitarra. Il futuro sembrava non avesse altro da
offrirmi. Poi le domande: ma ci sei? Esisti davvero? Perché ti nascondi? Dispostomi
all’ascolto ne ho sentito la presenza. Da ateo disinteressato a tutto il mondo
religioso, mi si è dischiusa addirittura la possibilità della consacrazione.
Ma quante volte ho perso il senso! Posso dire con lucidità che i momenti
di luce, quando ci sono, sono pieni, carichi di entusiasmo, il cuore brucia. A volte risorgono ombre, il ci sei,
non è mai così chiaro e la fedeltà richiede lo sforzo eroico di chi vuol
esserci per amore e solo.
6. Secondo lancio: La prova
Anche questo viaggio sembra una prova. Come lo è il viaggio della vita.
Ogni giorno diventa una sfida. Non ci si può tirare indietro, bisogna accettare
la lotta. A volte sembra proprio che ti manca il respiro. Bisogna proprio
ricominciare “come l’alba”, come dice una vecchia canzone. I muscoli non
saranno mai abbastanza pronti. L’allenatore mette alla prova il suo atleta e
così lo allena per le gare. La preparazione sarà proporzionata agli sforzi per
migliorare sempre più ed essere pronti, finalmente al giorno della gara.
L’atleta avrà pure le sue doti, ma queste vanno migliorate, mai date per
scontate. Oggi che dal presente si vuole tutto e subito, un Dio che mette alla
prova sembra fuori luogo.[1]
Le sue promesse riguardano solo il futuro?
“Il Centuplo quaggiù…”, ne sono testimone. E’ vero. Da operaio a
sacerdote, da sacerdote a studente in Scienze delle Comunicazioni Sociali…
Cos’altro mi riserverà? Certo non si può star dietro a Dio, per riceverne il
contraccambio. Mi è stato insegnato che Dio si deve amare per amore. Anche qui
l’esserci è più complicato del pensare, meditare… Implica sacrificio, impegno,
martirio e tutto ciò confluisce nella grande responsabilità delle proprie
scelte e della propria dignità. Bisogna fidarsi, sapendo che si rischia.[2]
«Eppure Dio chiama da una lontananza inaccessibile: si manifesta in quanto
ottiene fiducia piena».[3]
«La prova, soprattutto quando è fiducia che riconsegna a Dio la totalità
dell’esistenza, è gesto che appartiene in proprio all’uomo: un evento nuovo
nella creazione, in cui Dio è celebrato in piena gratuità».[4]
[1] Cfr.
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 235-236
[2] Cfr.
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 242
7.
Secondo ritornello e finale: La speranza
L’aereo è in discesa, il mare azzurro ormai è in lontananza e le nuvole
sopra di noi. Ciò che sembrava lontano, si avvicina sempre più: la realtà. I
piedi ritorneranno per terra, ma il sogno di Dio non può essere disatteso. La
tensione ridiventa normalità il tran tran riprende. Dentro la testa mi invade
un motivo, è la classica sensazione che mi preannuncia un’altra canzone da
mettere fuori, da dare all’esistenza. “Nanananana… nananana. C’è silenzio
oltre le nuvole dove ha più senso l’anima e lo spirito va aldilà sopra ogni
piccolo particolare…”. Sì, potrebbe funzionare. Arrivato a casa prendo la
chitarra e le prime note FA7+, LAm7… Che gioia, quando mi accorgo d’aver
imboccato la via giusta. Che goduria canticchiare la canzone completata! E che
dolori quando invece provi e provi e non esce quello che hai dentro! Ma
stavolta sembra proprio un dono di Dio, nasce piano, piano, come un piccolo
miracolo. Fino a che è dentro non puoi vederla, ma quando è fuori diventa
qualcosa che prima ti appartiene e poi quando ormai è su cd diventa di tutti
(menomale che c’è il diritto d’autore). Mi succede anche che all’inizio,
riprovo le emozioni che l’hanno suscitata, nitidamente, ma dopo qualche tempo
diminuiscono, ma in chi ascolta si ripresentano, magari in modo nuovo, che mi
stupisce. Anzi c’è chi ci vede e sente altro, andando anche oltre quello che io
magari avevo percepito. Questa continua novità non è “presagio di
trascendenza”? Una canzone può diventare finestra, ponte, specchio, speranza?
Finestra che si apre al cielo e permette al Cielo di entrare nel nostro. Ponte,
perché aggancia chi ascolta e lo porta sulle ali della fantasia e
dell’emotività, sulle maglie dell’esistenza, riletta in chiave meno drammatica:
poetica e musicale. Specchio, perché chiunque può trovare se stesso, le sue
emozioni, o provarne altre nell’ascolto attento e meditato. Speranza, perché vi
si dischiude un mondo magari occultato altrove, dall’eccesso di razionalità,
dalla durezza della vita, dalle mille incomprensioni. «L’esistenza è solcata da
bagliori improvvisi e proiettata in anticipazioni subitanee che affiorano
gratuite ed imprevedibili».[1]
Così sono le canzoni, improvvise ed imprevedibili, cariche di novità perché cariche di speranza, che
è la più recondita risorsa dell’esistenza e del suo
dinamismo. Non evade ma riempie il presente: non soffoca ma interpreta il
richiamo; non si disperde tra le cose, ma accoglie e custodisce nella varietà
frammentata delle situazioni, nella dispersione della quotidianità, la
nostalgia dell’unità e della pienezza.[2]
Bisogna stare attenti a cogliere
l’attimo dei bagliori e che non sia mai troppo tardi. Dove? Nel presente. «Il
presente è il luogo del presagio e dell’attesa; dell’elaborazione della
risposta, ma il presente è anche carico di evento: è il luogo del risveglio e
del progetto»[3].
Eccola dunque è nata. Ora si può ascoltare…
[1]
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 250
[2]
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 250
[3]
TRENTI, Opzione religiosa e dignità
umana, 250
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