martedì 8 novembre 2016

Ogni giorno di più

Dal CD Attimi di cielo, questa canzone, mi ottenne un bellissimo voto a Filosofia del linguaggio.
Ricordo che per tutto il corso, pur sforzandomi, non ci avevo capito un granché. Menomale che il prof. Zelindo Trenti, sacerdote salesiano, ci diede un'opzione a fine corso: sostenere l'esame con la sua dispensa, che per me era ostica e chiusa come un'ostrica o scrivere un eleborato che facesse capire come l'uso di vari linguaggi potessero dare un messaggio bello, buono e forte. Optai per la seconda prendendomi a prestito un libro dello stesso professore da un mio amico che aveva seguito tutto un altro corso sulla religione e l'antropologia. Il libro del prof. era: Opzione religiosa e dignità umana, Roma, Armando Editore, 2001, mi piacque moltissimo e rispecchiava tante cose che mi portavo già dentro a proposito del modo di concepire la religione come rapporto con Dio e non come una serie di nozioni dottrinali su Dio.
Avevo nel cassetto "Ogni giono di più". Mi venne l'idea di implementare diversi linguaggi per poterla "descrivere". Così, in vista dell'esame, la feci subito arrangiare dal maestro ed amico Franco Cleopatra, pomiglianese doc, creai un powerpoint e masterizzai tutto. Scrissi una tesina per descrivere come era nata quella canzone. Consegnai tutto qualche tempo prima e poi mi presentai all'esame.  Il professore non mi fece neanche sedere. Scrisse trenta e lode sul libretto e mi chiese di poter pubblicare tutto sul suo sito.
E pensare che mentre ero fuori ad aspettare il mio turno, l'ansia mi divorava, perché non potevo sapere se mi faceva qualche domanda anche sulla dispensa, che avevo letto, ma non ero riuscito proprio a capacitarmi tra tante teorie da Platone a Gadamer...
Ebbi una provvidenziale fortuna. Al professore piacque la canzone e il modo in cui l'avevo decostruita e raccontata in diversi linguaggi: scritto, cantato, illustrato in modo poetico e usando in modo scientifico le citazioni dal suo libro.
Insomma, rileggendo l'elaborato, mi rendo conto che fui ispirato in tutto anche nello scegliere le citazoni del prof.,  ma adesso ascoltiamo la canzone. 



Così scrivevo nell' introduzione dell'elaborato per l'esame di Filosofia del linguaggio.

In queste poche pagine vorrei raccontare come nasce una canzone.
Si parte sempre da un’esperienza carica di emotività, che ti trascende, che fa nascere dentro sensazioni, pensieri, colori, profumi, paesaggi e quant’altro in un modo che nemmeno sai e quando lo racconti in parole e musica che da una parte dicono e dall’altra non dicono tutto. Il “dentro” è difficile da raccontare, descrivere, cantare. È vero anche che se non lo fai stai male e si è quasi “costretti” a cacciar fuori e finché non accade è gioia e dolore.
Dividerò i paragrafi secondo la divisione delle strofe, dei lanci e dei ritornelli della canzone, che ho intitolato: “Ogni giorno di più”. La scrissi qualche anno fa a ricordo di un’esperienza vissuta a bordo di un aereo che mi portava da Cagliari a Napoli. Il testo lo porrò al centro di ogni paragrafo come in un pensiero, reso dal disegno di una nuvola, che spesso incontriamo nei fumetti.
Il testo della canzone così è indipendente dal narrato. Quest’ultimo farà da corona. Intendo infatti esplicitare la canzone attraverso la descrizione e il ricorso al libro del professor Zelindo Trenti, Opzione Religiosa e dignità umana. Allegherò allo scritto anche il CD con la canzone registrata e musicata e il relativo power point che uso, quando svolgo qualche incontro di formazione. Dunque la canzone può essere ascoltata con lettore CD soltanto o anche col computer facendo partire il power point.

 
1. Prima strofa: Dal silenzio
«L’uomo è dunque a contatto con il mondo perché “ha un mondo” e il mondo ha accesso alla sua esistenza perché e in quanto questa gli fa spazio».[1] Ma quando l’uomo si apre a questa possibilità? Quando la sua esistenza resistendo a tutte le resistenze, si apre all’oltre?
Ero lì ad attendere l’imbarco e già pregustavo l’ebbrezza del volo e la paura. La solita paura. Ma cosa può accadere? Ho ancora i volti degli amici che mi hanno salutato e adesso sono solo a guardarmi dentro e fuori. Ecco ci imbarchiamo. Solita routine. I motori sono al massimo. Si parte. Sudore, ansia, preghiere sillabate sulle labbra chiuse. Dagli occhiali da sole guardo fuori. Il mare, le nuvole il rosso del tramonto. «Non si può descrivere l’infinito mentre lo si prova; ma non lo si può neppure descrivere senza averlo provato».[2] Così Leopardi nello Zibaldone. È così vero! La paura di perdere la vita in un attimo ti mette davanti solo la dura possibilità di accettare la morte o la vita. Se stai attento però oltre c’è un incontro e lo scopri nel silenzio delle possibilità, nella vita che avanza. Ci sei solo tu e un’Altra Presenza che ti interpella, vuol farti sentire la sua bellezza, più che fartela guardare. Lassù. Ci sono. L’aereo va oltre le nuvole. Ed è silenzio e bellezza. Il mondo è piccolo coi suoi rumori, le nuvole giocano seriamente a spingersi col vento ora formano astronavi, ora funghi giganti, ora maschere nere. L’attimo presente è carico di presenza, se solo riuscissimo a svuotarci d’ogni ingombro, potremmo e sapremmo incontrare quanto “presagito” dalla nostra finitudine.


[1] Z. TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, Roma, Armando Editore, 2001, 132
[2] Citato in TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 136


 
2. Seconda strofa: Dai pensieri
«La realtà parla perché l’uomo la fa parlare».[1] Per vincere la paura m’è bastato guardare fuori e le nuvole parlano e il cielo e i colori del tramonto. Eppure non riesco a capacitarmi perché tanto dolore, tante guerre… Se tutti imparassimo a vedere dentro le cose, se imparassimo a capire quanto siamo piccoli di fronte al tempo, allo spazio. Quante ideologie racchiudono l’umanità nella sua povertà. Quante volte s’è creduto col pensiero di spiegare tutto e poi di imporlo con la forza! Mai che si sia riusciti a situarsi in una realtà aperta al nuovo e alle sue radici, senza averne paura. Neppure Gesù Cristo e 2000 anni di Cristianesimo hanno potuto evitare tutti gli obbrobri delle guerre, delle sopraffazioni, dei ricchi sempre più ricchi e dei poveri sempre più poveri. «L’arte, forse soprattutto la poesia e la musica, offrono documentazione vincente».[2] Tutti dovrebbero essere poeti, musicisti, cantanti, “pastori dell’essere”, rivelatori del vero che si nasconde. Si rivela e si nasconde di nuovo.[3] L’uomo ha una “casa” dove può abitare, ma spesso non sa dove sia, preferisce le periferie, l’opaco, l’incerto o la presunzione di decifrare tutto con la sua povertà, col rischio di ritrovarsi in catene, le solite odiate ma rassicuranti catene-ideologie.


[1] TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 133
[2] TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 132
[3] Cfr. TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 144

 
3.        Primo lancio: La scelta

Tra qualche ora sarò a casa, ma questa sospensione mi piace. Resterei per sempre in questa pace, anche se frammista ad altre emozioni. La realtà dell’esserci a volte è dura, si vorrebbe scappare. Cosa dire a quell’amico a cui hanno diagnosticato un cancro maligno? E a quel ragazzo che fin da quando aveva cinque anni ha ricevuto violenza su violenza ed ora vorrebbe sfuggire alla sua omosessualità, ma se la ritrova dentro ad ogni passo. “A volte – mi diceva – mi sembra d’impazzire”. Io non so che dire davanti a tanto dolore. Perché? So solo che un altro ha pronunciato gridando la stessa parola. Lì, in quel grido, ha preso in sé, tutti i dolori umani e li “ha riempiti” della sua presenza. Da quell’evento ogni dolore è suo: “Non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me”, lo aveva capito Paolo. Dio umanandosi assumeva la natura umana e dava valore e consistenza a quanto la sapienza umana non aveva mai pensato di potere e dare valore: il dolore. Ma capirlo è altro che viverlo, sentirlo negli altri è altro che portarselo dentro. Davanti al dolore, nonostante si potrebbero avere le “ragioni”, so fare solo silenzio o ridiscendere nella realtà e continuare ad essere prossimo, come posso, col poco che sono. Magari con una canzone. 
Scegliere tra il bene e il male, tra il fare o non fare del bene, tra il vivere o farsi vivere dalla vita, tra l’impegno o il disinteresse. Un’opzione che dà senso all’esserci, che ti qualifica come cittadino del mondo, che ti dà dignità se scegli la vita e se scegli di morire, diventi oggetto della tua propria disperazione. Essere equivale a relazione, esistiamo se siamo in relazione attiva, costruttiva. Direi che essa è “fondativa” per l’esistenza. Purtroppo oggi va di moda la “deradicizzazione”, ossia il vivere senza radici. Le mete sono follie o effimere rappresentazioni di palchi multimediali da sogno. Avere radici significa disporsi ad essere “linfati” dalla storia, che insegna. Significa radicarsi nel presente, che è il frutto del retaggio del vissuto e dei progetti futuri. C’è un presente dove consumare tutto e subito, ma è falso. Bisognerebbe dirlo alle nuove generazioni. Non si può vivere senza progetto consumando tutto qui ed ora. L’exstasi, la droga dell’attimo fuggente è il volto sconsolante di certe ideologie di morte che oggi purtroppo sono amplificate anche dai media.


 
4.             Primo ritornello: Il sogno
«L’uomo ha sempre sperato di dare un nome e un volto alla propria utopia».[1] Da quassù tutto sembra più semplice, anche morire. Un vuoto d’aria, un po’ di turbolenza…potrebbe accadere l’irreparabile. Ecco l’oltre che riaffiora. Sono pronto? Quante cose si lasciano giù, che non sono state finite, completate!
Vorrei un orizzonte nuovo a cui fare riferimento. Non mi basta sperare solo per me, chiedere solo per i miei progetti. Non posso far finta che gli altri non esistono. Non sono solo su quest’aereo, come non sono solo sul mondo. Si scopre che c’è un rapporto con l’altro da “restaurare”.[2] Non si può più vivere facendo finta che l’altro non esiste. «L’uomo che rischia la vita e la spende per una causa giusta paga nel tempo un prezzo che riscatta la sua vita oltre il tempo».[3] Bisogna radicarsi nella vita, cercando di non sciuparla. Una scelta  totalitaria può darle senso. Il “presagito” si mostra e nasce il “sì”. «E’ di fronte al richiamo misterioso di Dio che l’uomo legge la propria responsabilità, presagisce una consegna ed elabora una risposta».[4] La risposta coincide col sogno di Dio: renderci simili a Lui. Se il nostro sogno coinciderà con quello di Dio, pace è fatta in noi e tra noi. E’ utopia?


[1] TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 205
[2] Cfr. TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana  227-228
[3] TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 229-230
[4] TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 228

 
5.             Terza strofa: Ali di gabbiano
«L’uomo trova nel richiamo di Dio il suo spazio di libera e gratuita adesione. Dio rivela nella libera risposta dell’uomo il suo autentico volto di creatore che fonda e sollecita l’esistenza senza incupirla nelle maglie di un disegno prestabilito e obbligante».[1] Bisogna essere davvero liberi, per poter incontrare Dio. Ma chi lo è mai totalmente? Sono sprazzi di luce, attimi. Eppure la vita cambia. Guardo indietro e mi ritrovo in una fabbrica a rotolare stoffe sintetiche, a scaricare camion, a lavorare sodo fino a dieci a volte dodici ore al giorno. A sera la stanchezza era tale che quando facevamo le prove col gruppo di amici, coi quali suonavo per divertimento, mi addormentavo nonostante il rumore, nonostante che avessi tra le mani la chitarra. Il futuro sembrava non avesse altro da offrirmi. Poi le domande: ma ci sei? Esisti davvero? Perché ti nascondi? Dispostomi all’ascolto ne ho sentito la presenza. Da ateo disinteressato a tutto il mondo religioso, mi si è dischiusa addirittura la possibilità della  consacrazione.
Ma quante volte ho perso il senso! Posso dire con lucidità che i momenti di luce, quando ci sono, sono pieni, carichi di entusiasmo, il cuore  brucia. A volte risorgono ombre, il ci sei, non è mai così chiaro e la fedeltà richiede lo sforzo eroico di chi vuol esserci per amore e solo.


[1] TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 233


 
6. Secondo lancio: La prova

Anche questo viaggio sembra una prova. Come lo è il viaggio della vita. Ogni giorno diventa una sfida. Non ci si può tirare indietro, bisogna accettare la lotta. A volte sembra proprio che ti manca il respiro. Bisogna proprio ricominciare “come l’alba”, come dice una vecchia canzone. I muscoli non saranno mai abbastanza pronti. L’allenatore mette alla prova il suo atleta e così lo allena per le gare. La preparazione sarà proporzionata agli sforzi per migliorare sempre più ed essere pronti, finalmente al giorno della gara. L’atleta avrà pure le sue doti, ma queste vanno migliorate, mai date per scontate. Oggi che dal presente si vuole tutto e subito, un Dio che mette alla prova sembra fuori luogo.[1] Le sue promesse riguardano solo il futuro?
“Il Centuplo quaggiù…”, ne sono testimone. E’ vero. Da operaio a sacerdote, da sacerdote a studente in Scienze delle Comunicazioni Sociali… Cos’altro mi riserverà? Certo non si può star dietro a Dio, per riceverne il contraccambio. Mi è stato insegnato che Dio si deve amare per amore. Anche qui l’esserci è più complicato del pensare, meditare… Implica sacrificio, impegno, martirio e tutto ciò confluisce nella grande responsabilità delle proprie scelte e della propria dignità. Bisogna fidarsi, sapendo che si rischia.[2] «Eppure Dio chiama da una lontananza inaccessibile: si manifesta in quanto ottiene fiducia piena».[3] «La prova, soprattutto quando è fiducia che riconsegna a Dio la totalità dell’esistenza, è gesto che appartiene in proprio all’uomo: un evento nuovo nella creazione, in cui Dio è celebrato in piena gratuità».[4]


[1] Cfr. TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 235-236
[2] Cfr. TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 242
[3]  TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 242
[4]  TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 245


7.                 Secondo ritornello e finale: La speranza
L’aereo è in discesa, il mare azzurro ormai è in lontananza e le nuvole sopra di noi. Ciò che sembrava lontano, si avvicina sempre più: la realtà. I piedi ritorneranno per terra, ma il sogno di Dio non può essere disatteso. La tensione ridiventa normalità il tran tran riprende. Dentro la testa mi invade un motivo, è la classica sensazione che mi preannuncia un’altra canzone da mettere fuori, da dare all’esistenza. “Nanananana… ­nananana. C’è silenzio oltre le nuvole dove ha più senso l’anima e lo spirito va aldilà sopra ogni piccolo particolare…”. Sì, potrebbe funzionare. Arrivato a casa prendo la chitarra e le prime note FA7+, LAm7… Che gioia, quando mi accorgo d’aver imboccato la via giusta. Che goduria canticchiare la canzone completata! E che dolori quando invece provi e provi e non esce quello che hai dentro! Ma stavolta sembra proprio un dono di Dio, nasce piano, piano, come un piccolo miracolo. Fino a che è dentro non puoi vederla, ma quando è fuori diventa qualcosa che prima ti appartiene e poi quando ormai è su cd diventa di tutti (menomale che c’è il diritto d’autore). Mi succede anche che all’inizio, riprovo le emozioni che l’hanno suscitata, nitidamente, ma dopo qualche tempo diminuiscono, ma in chi ascolta si ripresentano, magari in modo nuovo, che mi stupisce. Anzi c’è chi ci vede e sente altro, andando anche oltre quello che io magari avevo percepito. Questa continua novità non è “presagio di trascendenza”? Una canzone può diventare finestra, ponte, specchio, speranza? Finestra che si apre al cielo e permette al Cielo di entrare nel nostro. Ponte, perché aggancia chi ascolta e lo porta sulle ali della fantasia e dell’emotività, sulle maglie dell’esistenza, riletta in chiave meno drammatica: poetica e musicale. Specchio, perché chiunque può trovare se stesso, le sue emozioni, o provarne altre nell’ascolto attento e meditato. Speranza, perché vi si dischiude un mondo magari occultato altrove, dall’eccesso di razionalità, dalla durezza della vita, dalle mille incomprensioni. «L’esistenza è solcata da bagliori improvvisi e proiettata in anticipazioni subitanee che affiorano gratuite ed imprevedibili».[1] Così sono le canzoni, improvvise ed imprevedibili, cariche di  novità perché cariche di speranza, che

è la più recondita risorsa dell’esistenza e del suo dinamismo. Non evade ma riempie il presente: non soffoca ma interpreta il richiamo; non si disperde tra le cose, ma accoglie e custodisce nella varietà frammentata delle situazioni, nella dispersione della quotidianità, la nostalgia dell’unità e della pienezza.[2]

 Bisogna stare attenti a cogliere l’attimo dei bagliori e che non sia mai troppo tardi. Dove? Nel presente. «Il presente è il luogo del presagio e dell’attesa; dell’elaborazione della risposta, ma il presente è anche carico di evento: è il luogo del risveglio e del progetto»[3].
Eccola dunque è nata. Ora si può ascoltare…


[1] TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 250
[2] TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 250
[3] TRENTI,  Opzione religiosa e dignità umana, 250

Alla prossima canzone per dare e cantare Dio

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