mercoledì 28 settembre 2016

Quando torneró

Quanto dolore in questa canzone!
Il dolore che scaturisce dal vedere tanti "addetti ai lavori" di Santa Madre Chiesa invischiati nelle cose del mondo dimentichi della frase del Signore: "Il Figlio dell'uomo quando verrà troverà la fede sulla terra?" (Lc 18, 8). La colpa mica sarà solo della secolarizzazione, del relativismo? Penso sia soprattutto per i peccati degli addetti ai lavori...
Ascoltiamo la canzone e chi può guardi su youtube anche il video...



E' presente nel CD "In fondo all'anima"

Prima strofa

Quale Dio mi dai,
tu che non vivi?
Dici d’essere amore,
ma non lo dai;
dici d’essere dare,
ma non lo sei.

In uno scritto di M.Valtorta Gesù dice: 

"Or dunque ascoltate, e voi e voi, apostoli e discepoli. Voi apostoli avete già sentito questi concetti. Ma ora li capirete con più profondità. Voi discepoli non li avete ancora uditi o ne avete udito frammenti. E vi necessita di scolpirveli nel cuore. Perché Io sempre più vi userò, dato che sempre più cresce il gregge di Cristo. Perché il mondo sempre più vi assalirà, crescendo in esso i lupi contro Me Pastore e contro il mio gregge, ed Io voglio mettervi in mano le armi di difesa della Dottrina e del gregge mio. Quanto basta al gregge non basta a voi, piccoli pastori. 
Se è lecito alle pecore di commettere errori, brucando erbe che fanno amaro il sangue o folle il desiderio, non è lecito che voi commettiate gli stessi errori, portando molto gregge a rovina. Perché pensate che là dove è un pastore idolo periscono per veleno le pecore o per assalto di lupi.
7Voi siete il sale della terra e la luce del mondo. 
Ma se falliste alla vostra missione diverreste un insipido e inutile sale. Nulla più potrebbe ridarvi sapore, posto che Dio non ve l'ha potuto dare, posto che avendolo avuto in dono voi lo avete dissalato lavandolo con le insipide e sporche acque dell'umanità, addolcendolo con il corrotto dolciore del senso, mescolando al puro sale di Dio detriti e detriti di superbia, avarizia, gola, lussuria, ira, accidia, di modo che risulta un granello di sale ogni sette volte sette granelli di ogni singolo vizio. Il vostro sale allora non è che una mescolanza di pietre in cui si sperde il misero granello sperduto, di pietre che stridono sotto il dente, che lasciano in bocca sapore di terra e fanno ripugnante e sgradito il cibo. Neppur più per usi inferiori è buono, ché farebbe nocumento anche alle missioni umane un sapere infuso nei sette vizi. 
E allora il sale non serve che ad essere sparso e calpestato sotto i piedi incuranti del popolo. Quanto, quanto popolo potrà calpestare così gli uomini di Dio! Perché questi vocati avranno permesso al popolo di calpestarli incurante, dato che non sono più sostanza alla quale si accorre per avere sapore di elette, di celesti cose, ma saranno unicamente detriti.

Seconda strofa
Quale Chiesa mi dai,
credente del 2000,
ricca, fiacca, ventosa,
né madre e né sposa.
Quale Chiesa mi dai,
quale Chiesa mi dai?



Voi siete la luce del mondo. Voi siete come questo culmine che fu l'ultimo a perdere il sole ed è il primo a inargentarsi di luna. Chi è posto in alto brilla ed è visto perché l'occhio anche più svagato si posa qualche volta sulle alture. Direi che l'occhio materiale, che viene detto specchio dell'anima, riflette l'anelito dell'anima, l'anelito inavvertito spesso ma sempre vivente finché l'uomo non è un demone, l'anelito dell'alto, dell'alto dove la istintiva ragione colloca l'Altissimo. E cercando i Cieli alza, almeno qualche volta nella vita, l'occhio alle altezze.

Vi prego di ricordarvi di ciò che facciamo tutti, fin dalla fanciullezza, entrando in Gerusalemme. Dove corrono gli sguardi? Al monte Moria, incoronato dal trionfo di marmo e oro del Tempio. E che, quando siamo nel recinto dello stesso? Di guardare le cupole preziose che splendono al sole. Quanto bello è nel sacro recinto, sparso nei suoi atrii, nei suoi portici e cortili! Ma l'occhio corre lassù. Ancora vi prego ricordarvi di quando si è in cammino. Dove va il nostro occhio, quasi per dimenticare la lunghezza del cammino, la monotonia, la stanchezza, il calore o il fango? Alle cime, anche se piccole, anche se lontane. E con che sollievo le vediamo apparire se siamo in una pianura piatta e uniforme! Qui è fango? Là è nitore. Qui è afa? Là è frescura. Qui è limitazione all'occhio? Là è ampiezza. E solo a guardarle ci sembra meno caldo il giorno, meno viscido il fango, meno triste l'andare. Se poi una città splende in cima al monte, ecco che allora non vi è occhio che non l'ammiri. Si direbbe che anche un luogo da poco si abbelli se si posa, quasi aereo, sul culmine di una montagna. Ed è per questo che nella vera e nelle false religioni, sol che si sia potuto, si sono posti i templi in alto e, se un colle od un monte non c'era, si è fatto ad essi un piedestallo di pietre, costruendo a fatica di braccia l'elevazione su cui posare il tempio. Perché si fa questo? Perché si vuole che il tempio sia visto per richiamare con la sua vista il pensiero a Dio. 

Ritornello

Quando tornerò ci sarà più fede,
quando tornerò ci sarà chi muore
per l’onestà o per la verità
o per invidia, per avidità:
è una vecchia e nuova povertà
di questa mia umanità…


Ugualmente ho detto che voi siete una luce. Chi accende un lume a sera in una casa dove lo mette? Nel buco sotto il forno? Nella caverna che fa da cantina? O chiuso dentro un cassapanco? O anche semplicemente e solamente lo si opprime col moggio? No. Perché allora sarebbe inutile accenderlo. Ma si pone il lume sull'alto di una mensola, o lo si appende al suo portalume perché essendo alto rischiari tutta la stanza e illumini tutti gli abitanti in essa. Ma appunto perché ciò che è posto in alto ha incarico di ricordare Iddio e di fare luce, deve essere all'altezza del suo compito.

Voi dovete ricordare il Dio vero.  

Fate allora di non avere in voi il paganesimo settemplice. Altrimenti diverreste alti luoghi profani con boschetti sacri a questo o quel dio e trascinereste nel vostro paganesimo coloro che vi guardano come templi di Dio.
Voi dovete portare la luce di Dio. Un lucignolo sporco, un lucignolo non nutrito di olio, fuma e non fa luce, puzza e non illumina. Una lampada nascosta dietro un quarzo sudicio non crea la leggiadria splendida, non crea il fulgido giuoco della luce sul lucido minerale. Ma langue dietro il velo di nero fumo che fa opaco il diamantifero riparo.
La luce di Dio splende là dove è solerte la volontà a pulire giornalmente dalle scorie che lo stesso lavoro, coi suoi contatti, e reazioni, e delusioni, produce. 
La luce di Dio splende là dove il lucignolo è immerso in abbondante liquido di orazione e di carità. 
La luce di Dio si moltiplica in infiniti splendori, quante sono le perfezioni di Dio delle quali ognuna suscita nel santo una virtù esercitata eroicamente, se il servo di Dio tiene netto il quarzo inattaccabile della sua anima dal nero fumo di ogni fumigante mala passione. Inattaccabile quarzo. Inattaccabile! (Gesù tuona in questa chiusa e la voce rimbomba nell'anfiteatro naturale). 
Solo Dio ha il diritto e il potere di rigare quel cristallo, di scriverci sopra col diamante del suo volere il suo santissimo Nome. Allora quel Nome diviene ornamento che segna un più vivo sfaccettare di soprannaturali bellezze sul quarzo purissimo.
  
Ma se lo stolto servo del Signore, perdendo il controllo di sé e la vista della sua missione, tutta unicamente sovrannaturale, si lascia incidere falsi ornamenti, sgraffi e non incisioni, misteriose e sataniche cifre fatte dall'artiglio di fuoco di Satana, allora no, che la lampada mirabile non splende più bella e sempre integra, ma si crepa e rovina, soffocando sotto i detriti del cristallo scheggiato la fiamma, o se non si crepa fa un groviglio di segni di inequivocabile natura nei quali si deposita la fuligine e si insinua e corrompe. 

Terza strofa

Quale volto mi dai,
tu che non vivi?
Troppo tempo allo specchio
senza guardarti in faccia,
nello scheletro un buco,
niente amore che batte.


Guai, tre volte guai ai pastori che perdono la carità, che si rifiutano di ascendere giorno per giorno per portare in alto il gregge che attende la loro ascesi per ascendere. Io li percuote- rò abbattendoli dal loro posto e spegnendo del tutto il loro fumo.
Guai, tre volte guai ai maestri che ripudiano la Sapienza per saturarsi di scienza sovente contraria, sempre superba, talora satanica, perché li fa uomini mentre - udite e ritenete - men- tre se ogni uomo ha destino di divenire simile a Dio, con la santificazione che fa dell'uomo un figlio di Dio, il maestro, il sacerdote ne dovrebbe avere già l'aspetto dalla terra, e questo solo, di figlio di Dio. Di creatura tutt'anima e perfezione dovrebbe avere aspetto. Dovrebbe avere, per aspirare a Dio i suoi discepoli. Anatema ai maestri di soprannaturale dottrina che divengo- no idoli di umano sapere.
Guai, sette volte guai ai morti allo spirito fra i miei sacerdoti, a quelli che col loro insapore, col loro tepore di carne mal viva, col loro sonno pieno di allucinate apparizioni di tutto ciò che è fuorché Dio uno e trino, pieno di calcoli di tutto ciò che è fuorché soprumano desiderio di au- mentare le ricchezze dei cuori e di Dio, vivono umani, meschini, torpidi, trascinando nelle loro acque morte quelli che li seguono credendoli "vita".

Quarta strofa

Quale mondo mi dai,
qual domani distratto,
distrutto già sono
dai tuoi tiepidi passi.
Accendi una luce
su quel lucernario
o morirai ubriaco
del tuo stesso misfatto.


Maledizione di Dio sui corruttori del mio piccolo, amato gregge. Non a coloro che periscono per ignavia vostra, o inadempienti servi del Signore, ma a voi, di ogni ora e di ogni tempo, e per ogni contingenza e per ogni conseguenza, Io chiederò ragione e vorrò punizione.
Ricordatevi queste parole. Ed ora andate. Io salgo sulla cima. Voi dormite pure. Domani, per il gregge, il Pastore aprirà i pascoli della Verità».

Davvero esaltante e nello stesso tempo inquietante!

Secondo  e terzo ritornello (nel terzo aggiungo una frase nuova...)

Quando tornerò ci sarà più fede,
quando tornerò ci sarà chi ama
l’onestà, la verità
o quel potere di Satana:
è una vecchia e nuova povertà
di questa mia umanità…
che se mi ama risorgerà


Oggi giorno, il neofariseismo è di moda e dietro a presunta sapienza, spesso, solo o troppo umana e, spesso abbellita da belle frasi ad effetto di "pinco" o di "pallo" della cultura atea tout court, si nascondono "figuri incollettati" dediti troppo spesso a cose che non sono DIO.

Ebbene questa canzone "Quando tornerò..." è nata dopo aver digerito le prime ingiustizie di un sistema spesso bigotto e aggiungerei "corrotto" dal quale, con l'aiuto di amici-fratelli, che la sapevano più lunga di me, e fidandomi di loro, non mi hanno fatto cadere "nel fango". Anzi mi hanno aiutato a saper discernere e a saper scegliere sempre la luce. Che toccasana è stata per me la comunità sacerdotale focolarina di cui faccio parte da quando ero ancora seminarista!

Il testo intero della canzone:

Quale Dio mi dai,
tu che non vivi?
Dici d’essere amore,
ma non lo dai;
dici d’essere dare,
ma non lo sei.

Quale Chiesa mi dai,
credente del 2000,
ricca, fiacca, ventosa,
né madre e né sposa.
Quale Chiesa mi dai,
quale chiesa mi dai?

Quando tornerò ci sarà più fede,
quando tornerò ci sarà chi muore
per l’onestà o per la verità
o per invidia, per avidità:
è una vecchia e nuova povertà
di questa mia umanità…

Quale volto mi dai,
tu che non vivi?
Troppo tempo allo specchio
senza guardarti in faccia,
nello scheletro un buco,
niente amore che batte.

Quale mondo mi dai,
qual domani distratto,
distrutto già sono
dai tuoi tiepidi passi.
Accendi una luce
su quel lucernario
o morirai ubriaco
del tuo stesso misfatto.

Quando tornerò ci sarà più fede,
quando tornerò ci sarà chi ama
l’onestà, la verità
o quel potere di Satana:
è una vecchia e nuova povertà
di questa mia umanità…

Quando tornerò ci sarà più fede,
quando tornerò ci sarà chi ama
l’onestà, la verità
o quel potere di Satana:
è una vecchia e nuova povertà
di questa mia umanità…

che se mi ama risorgerà…


Che dire a chiosa di quest'altro commento a questa canzone così particolare?
Questo grido di Gesù, mi sta sempre dinanzi e mi rimprovera quando con la mente o con il cuore svicolo e mi rimette in rotta, verso l'unica meta possibile.
Mi viene da pregare il Salmo 138:

SALMO 138, 1-12  

Signore, tu mi scruti e mi conosci, *
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri, *
mi scruti quando cammino e quando riposo.

Ti sono note tutte le mie vie; †
la mia parola non è ancora sulla lingua *
e tu, Signore, già la conosci tutta.

Alle spalle e di fronte mi circondi *
e poni su di me la tua mano.
Stupenda per me la tua saggezza, *
troppo alta, e io non la comprendo.

Dove andare lontano dal tuo spirito, *
dove fuggire dalla tua presenza?
Se salgo in cielo, là tu sei, *
se scendo negli inferi, eccoti.

Se prendo le ali dell'aurora *
per abitare all'estremità del mare,
anche là mi guida la tua mano *
e mi afferra la tua destra.

Se dico: «Almeno l'oscurità mi copra *
e intorno a me sia la notte»;

nemmeno le tenebre per te sono oscure, †
e la notte è chiara come il giorno; *
per te le tenebre sono come luce.


E con questa preghiera concludo e mi rimetto nelle mani dell'Eterno e della sua Misericordia.
Alla prossima canzone per dare e cantare Dio.

Ecco il collegamento alla mia webTv dove si può riascoltare la puntata andata in onda su Radio Fra Le Note martedì 4 Ottobre 2016: http://livestre.am/5qZuO



 

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