lunedì 14 marzo 2016

A mà

È del 2000 ed è nata dall'esperienza di grande dolore della perdita della persona a me più cara: mia madre. Forse per noi sacerdoti è il legame umano più forte che abbiamo. Per me così è stato. Dopo mesi di ospedale, gli ultimi diciannove giorni sono stati come la salita all'Everest. L'impotenza, la croce nuda e cruda che ti visita, ti lacera... credo sia stato il dolore più grande che abbia dovuto metabolizzare in tutta la mia vita. Mia mamma Raffaela è partita il sette di Gennaio del 2000, ma questa canzone ha visto la luce verso marzo, dopo tre mesi di incubazione del dolore, del distacco, in cui è maturato il mio "Sì" alla Volontà di Dio.
Non è che non accettassi che dovesse morire, ma proprio non mi aspettavo un calvario del genere che non sto qui a raccontare. E arrivò "A mà", come sfogo, come liberazione, come catarsi. Ricordo che quando l'ebbi partorita del tutto telefonai a mia sorella Maria per fargliela ascoltare. Dall'altro capo del telefono prima silenzio, poi anche per lei lacrime liberatrici.

Una piccola parentesi. Questa canzone, l'ho voluta inserire nel Cd "Attimi di Cielo" del 2005.

 "Attimi di Cielo" volevo fosse la dimostrazione che la "canzone d'autore" potesse essere un valido strumento per l'evangelizzazione; coronamento della discussione della tesi in Scienze della Comunicazione Sociale, avrebbe dovuto corredare il mio lavoro finale alla Pontificia Università Salesiana, ma secondo il mio Relatore, avrebbe complicato le cose, così il capitolo finale e il CD, stanno ancora qui a galleggiare tra le cose che ho cercato di realizzare. Inoltre, contiene anche una traccia multimediale molto carina coi video per ogni canzone e tante altre cose. Chiusa parentesi.

Ascoltiamo la canzone. (Il video è stato realizzato da Rosaria, una ragazza che ha fatto sua la canzone e ha messo le foto di sua mamma, ma rende bene l'idea anche della mia)

versione dal CD "Attimi di Cielo"

Ritorniamo ad "A mà". 

Il titolo "A mia mamma" sarebbe stato troppo lungo e scontato e così ho optato per il troncamento.

La genesi dell'arrangiamento è da raccontare. Ad Alessandro Gallo, l'allora bassista del gruppo che mi accompagnava (gruppo che io avevo soprannominato "Bioritmo", nome che a loro non è mai piaciuto), la canzone piacque moltissimo e mi convinse di fargli provare a fare l'arrangiamento. Dopo qualche tempo mi fece ascoltare il provino, che non mi convinceva molto. Nel frattempo partecipai ad una selezione per una trasmissione televisiva per canzoni napoletane, la prima selezione andò bene per cui si profilava la possibilità di partecipare e occorreva una camzone inedita e "A mà" era inedita e in napoletano. Mi venne l'idea di far intervenire sull'arrangiamento, Niki Saggiomo, che effettivamente con le chitarre le diede davvero un sound più partenopeo. Alessandro (capatosta) non era contento del risultato e mi convinse a fare delle modifiche "a modo suo", facendomi pagare altri soldi di studio e di musicisti e al Festival di Napoli mandammo la sua versione. Capitò che alle selezioni finali venni escluso e la canzone rimase nel cassetto. Quando maturai la possibilità di autoprodurmi "Attimi di Cielo" volli metterla al centro del CD, fra le altre canzoni, ma nella versione in cui Niki Saggiomo aveva aggiunto le chitarre.

Un altro episodio va ricordato per far quadrare il cerchio. 

Nella seconda parte del ritornello c'è una frase che io prendo da una poesia scritta da un giovane che ad Ischia assistette ad un mio concerto e alla fine ci volle a cena a casa sua. Fu una cena improvvisata, ma molto bella per il clima di fraternità che si creò. Questo ragazzo era agli arresti domiciliari e il concerto l'aveva sentito da casa sua. Aveva mandato la mamma a dirci che ci voleva tutti da lui. Non potemmo dire di no. Durante la cena ci fece vedere che lui in carcere aveva scritto tante poesie e una in particolare me la volle dare perché ne ricavassi una canzone. Ebbene da quel testo ho estrapolato le frasi:

"Mamma mia, mamma mia bella  (Mamma mia, mamma mia bella)
si fa ‘o viento tu me parl’,            
(se c'è vento, tu mi parli)
si me serv’ nu cunziglio               
(se mi serve un consiglio)
dint’ ‘o suonn’ arrivi tu..."           
(dentro ai sogni arriverai tu)


 Le traduzioni purtroppo non rendono il patos del napoletano, sembra una violeza inaudita a un'emozione. Ma per far capire anche a chi il napoletano non lo conosce, facciamo l'orribile traduzione.

Analizziamo e spieghiamo ora il testo.

Intro del piano
Voluto da Alessandro perché diceva: "Altrimenti sarebbe somigliata a qualche canzone di Pino Daniele". A me non sarebbe dispiaciuto, ma lui diceva che aveva una sua originalità e che si doveva rispettare. Ok andiamo avanti.

Prima strofa

Mamma mia te tengo a dint’   (Mamma mia ti tengo dentro)
da matina ‘nfino a sera,         
(dal mattino fino alla sera)
da chill’ultimo respiro          
   (da quell'ultimo respiro)
primma ‘e te vede’ partì.        
(prima di vederti partire)


Mamma mia me manchi tanto:       (Mamma mi mi manchi tanto)
vas’, abbracci e parulelle:            
  (Baci, abbracci, piccole parole)
“M’ vuò bbene?” – rispunnive –   
("Mi vuoi bene?" Rispondevi)
“Te ne voglio ammore mio”.         
(Te ne voglio, amore mio)

Pensate all'incubazione del dolore per il distacco. Pensate all'esistenza a cui manca un aggancio col reale. Ora la vita andava in salita. Senza la mamma si è più soli, non c'è chi ti sostiene, colei  che con una carezza attutiva i colpi della tua storia personale, non sempre piena di soddisfazioni. Ora si era più soli con se stessi e sopravvivere a questa prova sembrava impossibile se il Signore non mi avesse dato la forza, il coraggio di andare avanti. "Quell'ultimo respiro", chi lo può dimenticare? Rimarrà come stigmata nella mia anima a ricordarmi che sono di passaggio anch'io e con quell'attimo dovrò fare i conti ogni volta che affiora il ricordo.

Manca la mamma, e come manca. Mancano gli abbracci, che tra l'altro mia mamma non poteva più fare per un ictus che l'aveva debilitata per metà, ma io prendevo quella mano e me la stringevo attorno insieme all'altra e le dicevo: Mi vuoi bene? E lei: manc nu poc (neanche un poco), ma i suoi occhi brillavano del contrario e ti faceva sentire importante, come nessuno sa fare, perché le mamme sanno amare e basta, non sanno fare altro. Quell'amore lo sentivi, caldo che ti rischiarava le nubi, scioglieva il freddo accumulato altrove. Grazie mamma.

Seconda strofa

Mamma mia ccà nun ce staje,  (Mamma mia qui non ci sei)
ma t’ trov’ a dint’ o core,          (ma ti trovo dentro al cuore)
‘mparavise mbracci’ a ‘Dio,    (in Paradiso, in braccio a Dio)
‘nsiem’ all’Angel’ e a Maria.   (insieme agli angeli e a Maria)

Mamma mia, che vita strana,    (Mamma mia che vita strana)
fatt’ sul’ e sacrifici!                   (fatta solo di sacrifici)
Ma te sacc’ mbracci’ a ‘Dio    
(ma ti so in braccio a Dio)
e me fa pace a nce pensà.          (mi da pace pensarlo)

 Se non ci fosse stata la fede, difficilmente avrei superato la prova, ma anche, se non ci fossero stati i sacerdoti della mia comunità. Quante volte don Peppino, don Virgilio, don Salvatore, mi sono stati vicino, per le notti in ospedale, nell'attesa prima dell'ingresso alla rianimazione e in tante altre occasioni. La fede dunque è l'orizzonte che si apre all'Oltre e che ti fa sperimentare che il Calvario non è l'ultima parola, esso è solo un passaggio. Sentire anche le carezze di Dio e quelle di Maria, la Mamma delle mamme, in queste dure occasioni, è davvero un dono speciale. Dopo una vita di sacrifici, l'unica pace viene dal convincermi che mia mamma era oramai in Paradiso tra le braccia di Dio e in compagnia degli Angeli e di Maria..

Il ritornello: prima parte

Mamma mia, mamma mia bella,  (Mamma mia mamma mia bella)
quanta vot’ pens’ a quann’          (Quante volte, penso a quando)
s’arapeva chella stanza               (si apriva quella stanza)
e tu pront’ a m’ capì,                   (e tu pronta a capirmi)
mò che nun ce staje cchiù,          (adesso che non ci sei più)
m’ fa mal’ a nce trasì.                 (mi fa dolore entrarci)


 È duro anche ritornare nei luoghi della presenza, il vuoto diventa insopportabile, ma di nuovo la fede riempie. Fa male, addolora il ricordo, ma la gioia del Paradiso, diventa sempre più certezza, quando si meditano pagine di mistici, che l'hanno visto e raccontato. C'è solo da attendere, perché noi andremo di là e non viceversa.

Ecco una pagina che mi ha dato tanta consolazione:

Dai quaderni del '43 a Maria Valtorta.

 "Sappiate, sappiate, o voi tutti che piangete per il dolore di un lutto recente, che colui che piangete non è morto, ma vive in Me. Sappiate che il medesimo Pane che vi ha sfamato l’anima mentre eravate uniti sulla terra, mantiene la vita e la comunione fra i vostri spiriti viventi quaggiù ed i trasumanati viventi in Me. Nulla può fare la piccola morte di male agli spiriti immortali. È la grande morte quella da temersi, quella che veramente vi toglie in eterno un vostro parente, un vostro coniuge, un vostro amico. La grande morte, ossia la dannazione dell’anima, la quale separa realmente da Me cellule del mio mistico Corpo cadute in preda delle cancrene di Satana. Ma per coloro che sono morti nel mio Nome e che hanno nutrito in sé la vita dello spirito con il Cibo eucaristico, che non perisce e che è sempre preservazione dalla morte eterna, no, per essi non c’è da piangere, ma da giubilare, perché essi sono usciti dal pericolo di morire per entrare nella Vita. Pensa, pensate che ben difficilmente chi s’è nutrito di Me può essere fratello di Giuda, simile a lui al quale il mio Pane non fu Vita ma Morte. A seconda della loro capacità di assimilazione spirituale, il mio Pane, ossia Me stesso fatto cibo per dare agli uomini la forza di conquistare il Cielo e la moneta per entrarvi, darà ad essi una più o meno sollecita entrata nel Regno della gloria, ma nel 99 per 100 dei casi dà sempre la salvezza dell’anima. Non piangete, perciò, genitori senza più figli, coniugi senza più consorti orfani senza più genitori. Non piangete. Come alla madre del Vangelo, Io, che non mento mai, vi dico: “Non piangete”. Credete in Me: Io vi renderò l’essere che amate e ve lo renderò in un regno dove la triste morte della terra non ha accesso e dove l’orribile morte dello spirito non è più possibile. Non piangete. Su voi tutti scenda questa speranza che è fede e la mia benedizione."


 Il ritornello: seconda parte

Mamma mia, mamma mia bella  (Mamma mia mamma mia bella)
si fa ‘o viento tu me parl’,           (se c'è vento tu mi parli)
si me serv’ nu cunziglio               (se mi occorre un consiglio)
dint’ ‘o suonn’ arrivi tu,              (dentro ai sogni arrivi tu)
pecché sta vita è stran’                  (perché questa vita è strana)
mo’ t’ ‘o ‘lleve e mo’ t’ ‘o ddà.     (mentre lo toglie lo da)

Il vento qui è sinonimo di difficltà, di momenti in cui le cose non girano come dovrebbero. Proprio allora si ha bisogno di qualcuno a cui dire il proprio tormento, il proprio dolore, la difficoltà sopraggiunta. Le mamme (almeno quelle di una volta), erano capaci di portare pesi enormi di tutta una famiglia e di trovare per ognuno una parola, una esortazione e magari anche una soluzione al problema o ai problemi.
Nella vecchia cultura napoletana poi, c'era il ricorrere ai sogni per conoscere o interpretare eventi passati o futuri, quasi che Dio desse dei segni, da saper interpretare. 
Nella Bibbia in diversi episodi si parla dei sogni, come nel caso di Giuseppe il sognatore, figlio di Giacobbe (Israele), che diventa per questa sua propensione ad interpretare i sogni, secondo signore d'Egitto; o anche San Giuseppe, che in sogno riceve le dritte sugli eventi dell'incarnazione... Anche nella vecchia cultura napoletana i sogni avevano il loro posto. Si credeva infatti, che i trapassati potessero venire a visitarti e dirti qualcosa... Così mi auguro nella canzone, nel momento del bisogno vorrei che mia madre mi dicesse, magari in sogno, una parola, una esortazione...per meglio affrontare la realtà... Sì, perchè la vita è strana, mentre sta andando al massimo può avere un arresto improvviso e allora bisogna essere preparati.

"A mà" dunque, per dire un grazie a Dio per essere stato amato da qualcuno, mia madre Raffaela, che nella semplicità senza troppe filosofie ed elucubrazioni, mi ha voluto bene e messo al mondo, con un atto d'amore magari non troppo consapevole, ma che una volta ascoltato il primo vagito non ha lesinato lacrime, fatiche, abbracci e baci. Mia madre era di pochissime parole. Tutto quello che voleva dire lo diceva coi fatti. Anche alcuni miei vicini di casa ricordano proprio questo suo aspetto. Se c'era da lavorare, lei c'era, se c'era da aiutare anche, ma se c'era da perdere tempo, era già altrove.

(Versione video di "A mà" dalla traccia multimediale di "Attimi di cielo")



Alla prossima canzone...

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